Berlusconi mi ha rubato la radio
Io, da bambino, credevo a tutto. Non è un mistero che da giovanissimi si tende ad essere un po’ creduloni, lo ben so. Ma io lo ero di più. Attenzione, non è una gara, beninteso. Ma se lo fosse stata, avrei vinto a mani basse. Ero, diciamo così, l’opposto di San Tommaso. Questo fatto fece sì che avessi una serie di convinzioni sbagliate ma scolpite nella pietra come comandamenti:
- Se ingoi una gomma da masticare, c’è il 99% di rischio che la cosiddetta chewing-gum si appiccichi al cuore procurando morte lenta e dolorosa.
- Se bevi troppa acqua, ci sono otto probabilità su dieci che ti crescano delle rane nello stomaco, causando nel tempo morte lenta e dolorosa.
- Tenere sempre d’occhio l’interno del water quando si minge, altrimenti, se distratti, si potrebbe cadere vittima del serpentone del film Anaconda (pellicola del 1997 con Jennifer Lopez e Ice Cube che ha provocato in me la prima riflessione sulla caducità della vita). Più complesso è quando si deve, a causa di urgenze di altro tipo, dare le spalle all’eventuale rettile gigante. In quel caso, ispezionare bene il gabinetto, sedersi e sperare che non sia ancora la tua ora. Altrimenti, morte lenta e dolorosa.
Poche regole, quasi tutte sbagliate. Una mescolanza di film di serie b, leggende tramandate oralmente dai miei coetanei o parenti di cui adesso non ricordo l’identità. Anche il fatto che la trasgressione di queste regole andasse sempre a parare con la morte, denota un ingenuo attaccamento alla vita che, a ripensarci ora, mi strappa un sorriso sardonico.
Ma uno dei capitoli più oscuri della mia infanzia fu, senza dubbio, quando Berlusconi mi rubò la radio.
Ricordo che c’era il sole, era luglio e faceva caldo. Le cicale e i passerotti del parchetto vicino casa, riproducevano quel suono che, per me, significava estate. Quella mattina, mio padre mi avrebbe portato in un circolo sportivo dove c’era una piscina molto bella e da me assai bramata. Mentre l’adulto patentato (nel senso di detentore di patente B) cercava le chiavi della macchina, il mio pensiero era rivolto soltanto ai gelati confezionati, ai tuffi a bomba e al rimprovero di Fabio, il bagnino coi rasta, con conseguente menzogna sulla garanzia che non accadrà mai più. Cullai questo pensiero anche in ascensore fino al parcheggio, quando la dura realtà mi scaraventò con forza inaudita di nuovo sulla Terra; qualcuno o qualcosa aveva rotto il finestrino della macchina e strappato via l’autoradio dal posto in cui era sempre stata, lasciando solo qualche filo colorato come superstite e tante domande. Di fatto, mentre mio padre aveva ormai smesso di camuffare le code delle sue bestemmie, il quesito che scatenava in me una miriade di dubbi era: chi è stato? Qualcuno che ci vuole male? Qualcuno che non vuole farmi ascoltare la musica mentre vado in piscina? Ora, badate bene che ero piccolo e non avevo ancora ben chiaro il concetto di ladrocinio nel senso più strutturale del termine. Per me era più simile a un dispetto che a un furto vero e proprio.
Quel turbine di pensieri era difficile da gestire. Le uniche parole che mi uscirono furono poche, ma sempre le stesse per almeno un paio di minuti ininterrotti: «Papà, chi è stato? » Infine, mio padre rispose laconico. Direi, lapidario. «È stato Berlusconi».
Non ho mai capito perché mio padre rispose così. Per un po’ ho pensato che volesse fare sillogismo: un ladro ci ha rubato la radio; Berlusconi è un ladro, ergo, Berlusconi ci ha rubato la radio. Ma credo più semplicemente che fosse solo per accontentare la mia incessante richiesta di un nome, unendo l’utile al dilettevole. Passammo la mattinata a fare la denuncia, a riparare rudimentalmente il finestrino e solo dopo fummo pronti per dirigerci verso la piscina. Un lasso di tempo percepito come interminabile e che non potevo neanche smorzare con gli 883.
Arrivai nell’oasi che tanto agognavo, ma i colori, il sapore del cloro e anche lo stesso sole, non sembravano più quelli di una volta. Può un temporale dello spirito inquinare il sorriso di un bambino? Assolutamente sì, e Berlusconi doveva saperlo benissimo.
Ed io, invece? Cosa sapevo di lui? Mi avevano detto che era milanese ed era il presidente di tante cose, i miei genitori ce l’avevano molto con lui e soprattutto con i suoi sostenitori, ma a parte questo, non potevo dire di conoscerlo davvero. Ad essere sincero, non mi importava neanche più di tanto. Quell’uomo, in un modo o nell’altro, la doveva pagare. Dopo qualche tuffo illegale, constatai che neanche più gli strilli di Fabio riuscivano a donarmi quella leggerezza che ricordavo.
Sconsolato e distratto, galleggiavo pensando a cos’altro ci avrebbe rubato, un domani, Berlusconi.
Mentre ciondolavo come una foglia morta, lo sguardo si posò fugace sullo zaino di un bambino della mia età. Oltre ad essere a strisce di colore rosso e nero con uno strano diavoletto che stringeva uno stemma, la cosa che mi colpì immediatamente fu una scritta fatta con il pennarello che recitava a lettere cubitali: “W Berlusconi”. Molto probabilmente, quella frase che mi appariva tanto sconvolgente, si riferiva al fatto che il suddetto ladro di radio fosse anche Presidente della squadra di calcio milanese di cui il bambino era tifoso accanito, elemento che sfuggì totalmente alle mie considerazioni. In quel momento ero concentrato solo sul nemico. Ero così segretamente contento di avere qualcuno in carne ed ossa con cui prendermela che non pensai molto alla strategia da attuare per un eventuale confronto o, perché no, scontro fisico. L’unica condizione era accertarmi che lo zaino fosse suo e non accadesse il classico equivoco da bordo piscina. Mi sentivo pronto, dalla parte del giusto. Uscii dall’acqua e mi diressi da lui. Non camminavo, avanzavo, come fanno gli eroi. «Ei, bambino.» dissi io, sfidando il suo sguardo, «Per caso hai votato Berlusconi?».
Il mio nemico si mostrava a me come un fanciullo dotato di berretto, munito di game boy e un grosso paio d’occhiali che incorniciavano un naso già potenzialmente importante.
«Eeeh?» rispose lui, senza distogliere i suoi quattrocchi dalla partita a Pokèmon.
«Ti ho chiesto se hai votato per Berlusconi. »
«… Boh. »
«Come boh? C’hai scritto “W Berlusconi” sullo zaino!» Il nemico bambino guardò prima me e poi il suo zaino, poi tornò a fissarmi dritto negli occhi. Non mostrava alcuna espressione bellicosa, piuttosto la sua bocca si era corrucciata in un sorriso al contrario che consegnava solo una leggera confusione.
«Allora sì. L’ho votato.»
Rimasi spiazzato; era proprio quello che volevo sentirmi dire.
Fu un tutt’uno d’azione. Mi scagliai su di lui con ferocia ma non volevo ucciderlo, mi servivano ancora delle informazioni: cosa voleva farci con la mia radio? Ce n’erano altre? E quante? Non feci in tempo a cavargli neanche una parola che subito Fabio ci divise. Arrivarono i genitori del bambino, spaventati dall’accaduto. Sopraggiunse anche mio padre ed io, senza pensarci, subito gli urlai: «Papà, papà, questo bambino ha votato Berlusconi! Quello che ci ha rubato la radio!».
So già cosa state immaginando: mio padre in imbarazzo che si scusa con la famiglia del bambino milanista; io bimbo che non capisco l’equivoco e insisto, urlando; il bagnino Fabio che vomita il sesto gin tonic nella piscina. E invece no. Tranne quella cosa di Fabio, non è successo niente di tutto questo. Non ci sono state scene alla Ferie d’agosto di Virzì, con mio padre che si agita come Silvio Orlando mentre urla: “Ma quale consociativismo?!”.
Mio padre non si scusò con la famiglia del ragazzino milanista, non aprì bocca, mi portò solo via dal teatrino dell’assurdo che avevo montato su.
Una volta raggiunta la macchina orfana di radio, mio padre mi fece un lungo discorso che difficilmente scorderò mai.
«Figlio mio, hai presente quando svolgi un calcolo matematico e arrivi al risultato giusto ma con il procedimento sbagliato? Un po’ hai copiato, un po’ hai capito male. E adesso ti ritrovi a prendertela con chi, in fondo, non ha colpe. Nella vita ti ritroverai alle prese con boyscout, zii bigotti, studenti della bocconi, colleghi liberali, milioni di piccoli borghesi come milioni di pecore. Ma ricordati che né loro né tantomeno quel bambino sono i tuoi veri nemici».
Ma allora quali erano i miei veri nemici? Rimasi a rifletterci per tutta la sera, non seppi trovare una vera risposta ma conclusi che aveva ragione. Quel bambino era solo un ingenuotto un po’ tonto, felice come me di starsene in piscina, ignorando le storture che si verificano quotidianamente su questo mondo. Compresa la mia radio.
Alla fine, mi sentii persino in colpa di essermela presa con la quattrocchia milanista che, esattamente come me, era rimasto coinvolto in una storia più grande di lui.
Epilogo
Nel 2014, ormai ventenne, riconobbi da un articolo di giornale la faccia di quel bambino di tanti anni prima. Scoprii che era stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ebbene sì, quel bimbo non era altri che Marcello Dell’Utri.
Nota dell’autore
In verità, il racconto si sviluppa alla fine degli anni novanta. Nel ‘99, Marcello dell’Utri veniva eletto parlamentare europeo per Forza Italia. Gli amanti dei dettagli se ne saranno già accorti, ma quello che c’è scritto nell’epilogo non è propriamente corretto. Di fatto, è abbastanza improbabile che il signor Dell’Utri fosse nella piscina del circolo di tennis sotto casa mia e, contemporaneamente, a presentare disegni di legge alla Camera dei Deputati. Pensavo soltanto fosse meglio concludere con un colpo di scena, un espediente che rigirasse la situazione a mio favore. C’ho provato.
A mia discolpa, però, posso dire che la somiglianza tra i due era mostruosa.
A illustrare: un’opera originale creata con i grandi mezzi che la tecnologia moderna ci offre.