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Il pensionato di Madame Legrand – Pt.4

Autrice
Deborah D'Addetta
Ciclo #10 - Spaghetti volanti pazzi
Narrativa generale
26 maggio 2022

L’uomo in blu iniziò a mescolare i tarocchi mentre Adolfo si accomodava.
Notò che il retro delle carte era decorato con ghirigori e volute argentate e – cosa molto curiosa – disegni di spezie come costellazioni: lance di cannella, stelline d’anice, piccoli pianeti a forma di semi di senape, radici di zenzero come chiome di cavalli. Si soffermò anche a guardare il misterioso divinatore: era davvero grasso, praticamente obeso, ma con un portamento e una gestualità misurate, eleganti, quasi fosse senza peso. Non riuscì a distinguere il colore degli occhi in quel buio, ma ad Adolfo fece l’impressione di una vecchia divinità ancestrale, di quelle che prima ti ammaliano e poi ti fanno in mille pezzi.
Le candele tremolarono per un attimo.
«Monsieur Cappello» disse quello, con la sua voce acuta eppure profonda, e un accento lieve sull’ultima “o”.
«Sissignore.»
«Leggerò i tarocchi adesso.»
«Sissignore.»
Stese il mazzo ad arcobaleno, poi pescò alcune carte e le rovesciò sul tavolo, con la faccia all’insù. Adolfo, che non capiva nulla di tarocchi, rimase in attesa. L’uomo mugugnò, pensoso.
«L’inganno sì. Lo vedo.»
«L’inganno? Che inganno?»
Quello indicò tre carte.
«Abbiamo qui la Luna, il Papa e l’Imperatrice. Tre figure capricciose, indicano bugie o…come dite voi in italiano? La manipulation? E poi qui abbiamo gli Amanti, ma rovesciati. Quando le carte non sono dritte il significato si capovolge. Dunque gli Amanti rovesciati significa persone false nella sua vita.»
Adolfo capì il senso, ma tacque. L’uomo mugugnò ancora.
«Perché è venuto qui, Monsieur Cappello?»
«Perché mi mancano ancora tre stanze – due, esclusa questa – e poi finalmente potrò vedere Madame Legrand.»
L’altro non sembrò sorpreso.
«Intendo dire, perché è venuto qui a Paris?»
«Perché sono malato e il mio ultimo desiderio è incontrarla.»
«Lei non è malato, monsieur
Adolfo ammutolì. Guardò di fronte a sé, aggrottando le sopracciglia, cominciando a credere che quel tizio fosse un ciarlatano. Ripensò alla stanza della vecchia con le piume e si rimproverò di non esserci andato.
«Sì che sono malato, ormai mi mancano poche settimane.»
«E di cosa sarebbe malato?»
«Tumore al pancreas.»
«E, mi dica, se lei avesse un tumore tanto brutto, a quest’ora non starebbe a morire in un letto, pieno di sofferenze?»
Adolfo aprì la bocca, poi la richiuse: da quando il medico gli aveva diagnosticato il male, non aveva avuto alcun dolore né sintomi della propria imminente morte. Ci aveva pensato più di una volta, ma l’aveva interpretato come un regalo del destino.
«L’inganno» ripeté l’uomo, «Le hanno mentito. Lei non sta per morire.»
Ci furono degli istanti lunghissimi di silenzio.
«Chi lo dice?» chiese Adolfo dopo un po’.
«Le carte.»
«E le carte sono meglio della scienza?»
«Oui, monsieur
«Allora il mio dottore si è sbagliato?»
«Sua moglie. Mi parli di sua moglie. Paola? Paolina?»
Adolfo, ancora una volta, restò basito. Si chiamava proprio Paola. Le spalle gli caddero in basso, come afflosciate, e la sua mente prese a rimbalzare tra la promessa sfuggente di una vita ancora lunga, a cui non voleva affidare troppe speranze, e la rabbia di essere stato preso in giro. Gli raccontò allora di lei, della loro vita in provincia di Varese, delle sfuriate, dell’insoddisfazione, la violenza domestica e la sua figliastra Laura.
«E non le è venuto mai in mente di chiedere un secondo parere?» chiese infine l’uomo.
No, ad Adolfo non era venuto in mente. Si era fidato. Se il tuo medico ti dice che stai per morire, ci credi.
«Questa carta qui, l’Imperatrice, dice chiaramente che sua moglie ha imbrogliato. La diagnosi è falsa. Si saranno messi d’accordo, forse?»
«Paola mi tradisce con il mio medico?!»
«Le carte dicono che ha mentito, non che è andata a letto con un altro.»
«Ma perché?»
«L’odio fa fare cose orribili alle persone.»
«Ma io l’amavo! Ho anche adottato sua figlia!»
«Questo le sembra sufficiente?»
«Sì, cazzo! Deve essere sufficiente!»
L’uomo sorrise. Aveva un viso stranamente esile in confronto al resto, come se fosse stato incollato su un corpo sbagliato. Raccolse le carte, le rimise nel mazzo, poi lo posò ordinatamente di fianco ai libri. Infine, incrociò le mani sul ventre.
«Forse sua moglie si augurava che si sarebbe tolto la vita alla notizia della malattia?»
«Sarebbe una cosa nel suo stile, questa.»
«Sì?»
«Non conto più le volte che mi ha detto di levarmi di mezzo, che mi ha dato del codardo. Probabilmente era convinta che non avrei retto al pensiero, preferendo uccidermi piuttosto che affrontare l’angoscia.»
«Ed è così?»
Adolfo tacque per qualche secondo. «Sì, mi sarei ammazzato, perché Paola ha ragione: sono un vigliacco. Se mi trovo qui, vivo e vegeto, è solo per la speranza di incontrare Madame Legrand.»
Il viso dell’uomo si dipinse di una strana espressione. Sembrava turbato, o forse solo preoccupato per il verso che quella discussione stava prendendo.
«E quindi le carte dicono che non morirò» riprese Adolfo.
«Esattamente.»
«Incredibile.»
«Se non si fida del responso dei tarocchi, può andare da qualsiasi medico qui a Paris e farsi visitare tutte le volte che vuole.»
Adolfo sembrò realizzare in quel momento le conseguenze di quel nuovo risvolto.
«Ma…ma…se non sto per morire, che faccio? E Madame Legrand? Non vorrà più vedermi!»
«Perché lo pensa?»
«Perché qui tutti quanti sono con un piede nella fossa! Quel Conte Insidioso ad esempio: non è venuto qui per suicidarsi? Non è l’ultimo riparo dei moribondi questo pensionato? Se io sto bene, mi cacceranno.»
«Come mai è tanto importante per lei Madame Legrand?»
«Perché sì. Perché quell’immagine mi consolava ogni volta che avrei voluto buttarmi giù da una finestra. È una questione di fede, o no? Lei è religioso, signore? Non prega mai? Beh, insomma, io pregavo la figurina di Madame Legrand quando ero triste.»
«Quale figurina?»
Adolfo gli parlò del libricino che aveva mostrato anche ad Anoop.
«Deve essere una grande fede la sua se è venuto qui sperando solo in una réclame di anni fa.»
«Che avevo da perdere?»
L’uomo annuì. «Che intende fare con sua moglie?»
«A quanto pare Paola sta meglio senza di me.»
«E Madame Legrand? Vuole fare l’amore con lei.»
Non era una domanda. Il viso di Adolfo prese fuoco.
«Questo non è possibile, monsieur. A meno che non abbia delle…préférences per gli uomini. Ma non mi sembra, visto il suo interesse per la stanza V.»
«Uomini?»
«Oui
«Non capisco.»
«Sembra una costante della sua vita, questa.»
Adolfo non seppe che replicare, forse offeso, sicuramente un po’ arreso. In quel momento, ebbe nostalgia del levriero afgano del Conte, che tanto lo aveva compreso nella stanza delle torture bucoliche.
«L’ho osservata in queste settimane. Sicuramente lei mi ha riconosciuto nella sala principale, insieme alla mia compagna, Jacqueline. Mi ha raccontato cose interessanti sul vostro incontro nella sua stanza.»
Adolfo, per una volta, capì che si stava riferendo alla ragazza della stanza IV.
«È muta, sa? È nata così. E lei, Monsieur Cappello, è stato molto gentile, cosa di cui le sono grato. Alcuni si comportano male, allungano le mani, la molestano o la picchiano – il suo amico Conte, ad esempio – ma è il senso di quella stanza: dare il potere a una persona e costringerlo a interrogarsi sulle proprie azioni.»
«Picchiano? Ma è una bambina!»
«Jacqueline ha quasi trent’anni. È arrivata qui quando ne aveva diciotto.»
«Non potrei mai picchiare nessuno, io.»
«Le persone non sono fatte tutte uguali. E lei lo sa bene, c’est vrai
Adolfo pensò a Paola. Si era interrogato molte volte sul perché lei si fosse sentita di comportarsi in quel modo – forse non era stato abbastanza affettuoso? non aveva portato molti soldi a casa? le aveva fatto mancare qualcosa di fondamentale? – ma non aveva mai saputo rispondere. S’era messo l’anima in pace, giustificandola come una persona dal carattere irascibile. Ma quella storia della finta malattia era troppo. Se voleva levarselo dai piedi avrebbe potuto semplicemente chiedere il divorzio. Certo, l’aveva in qualche modo gabbata, perché si stava convincendo sempre di più che tutta quella faccenda serviva a toglierselo da piedi nel tempo più rapido possibile. Anche lei era una vigliacca, avrebbe potuto ammazzarlo se tanto ci teneva, invece l’aveva imbrogliato. Poi però pensò che non avrebbe mai avuto il coraggio di partire per Parigi se non avesse temuto per la sua vita, non sarebbe mai arrivato al pensionato o trovato lo spirito d’avventura per cercare Madame Legrand, e quindi la ringraziò.
L’uomo grasso fece un sorriso affettuoso.
«Anche Anoop mi ha parlato bene di lei.»
Adolfo sobbalzò.
«Anoop? Del sexy shop?»
«È stato molto fortunato a incrociarlo sul suo cammino. Poche persone sanno dove si trova il mio pensionato.»
Adolfo non colse l’attributo.
«È stato lui a dirmi che vuole fare l’amore con Madame Legrand.»
«Quello spione! Dannato pakistano! S’è messo pure a ridere quando gliel’ho detto.»
«E non s’immagina il motivo?»
«Forse gli ho fatto pena. Madame Legrand deve essere ancora una bellissima donna.»
L’uomo scoppiò a ridere per la prima volta. Adolfo si stranì.
«Monsieur Cappello, mi dispiace molto deluderla, ma Madame Legrand non è una donna. Madame Legrand sono io.»
Adolfo sentì un fischio acutissimo attraversargli le orecchie da parte a parte. La vista gli si annebbiò per un momento, e ringraziò il cielo di essere seduto. La stanza, già buia, volteggiò un poco, le candele si sdoppiarono. Prese a fare degli ampi respiri, mentre il divinatore lo fissava con un misto di tenerezza e ilarità.
«Ma…co-come? L’immagine sul giornalino…non capisco…»
L’uomo si alzò. Era altissimo, un gigante – si rese conto che era la prima volta che lo vedeva in piedi – e ne provò un improvviso timore.
«Mi stai imbrogliando anche tu, vero?» chiese.
L’altro allungò la mano, invitandolo ad alzarsi. Adolfo lo guardò in viso: non c’era traccia di malizia o disonestà, anche se sapeva che le sue capacità di analisi delle persone o d’intuito non erano affatto buone.
Si fidò, che avrebbe mai potuto fare?
Afferrò la mano dell’uomo, si lasciò guidare nella stanza, oltre il buio, oltre una tenda di velluto scuro che non aveva notato, e si ritrovò in un altro cubicolo, più angusto ma ben illuminato. Guardandosi intorno, mentre cercava di adeguare la vista alla luce, capì di essere in una sorta di camerino, colmo di abiti, scarpe, trucchi, fotografie in bianco e nero appese alle pareti, ninnoli di ogni tipo, sistemati con una cura e un ordine maniacali. In fondo alla stanza, su una parete spoglia, c’era Madame Legrand – la sua Madame Legrand – ritta e immobile, abbigliata come nell’immagine del suo giornalino, con tanto di ghepardo impagliato ai suoi piedi.
Adolfo sentì la bocca spalancarsi: era impagliata anche lei, i suoi seni, le gambe, i capelli riccissimi, era vera, ma non del tutto. Non capì se fosse viva o morta, sembrava una statua di cera, uno scherzo di cattivissimo gusto.
«La mia bisnonna, la prima Madame Legrand» disse l’uomo con solennità.
Adolfo lo guardò, gli occhi vacui, la gola secca, le parole incastrate sotto la lingua. Lo vide avvicinarsi alla figura, accarezzarla con un certo affetto.
«Si chiamava Doris. Doris Legrand. Era la mamma della mamma della mia mamma.»
«Ma…ma…è vera?»
«Lo è stata. Prima di morire, mia nonna lesse il testamento e venne a sapere che voleva essere impagliata, come anche il suo ghepardo. So che è una questione piuttosto bizzarra, ma desiderava essere vista, ammirata, anche dopo la sua morte.»
«Non è possibile.»
Adolfo si avvicinò, impaurito ma anche tremendamente affascinato: la pelle sembrava quella di una marionetta di cartapesta, i capelli integri, i seni ancora turgidi. Sembrava quasi viva, eppure era immobile, cristallizzata.
«Una mummia.»
L’uomo scoppiò a ridere. «In effetti, lo è.»
Adolfo staccò lo sguardo da lei e esaminò le foto alle pareti: la mostravano in varie circostanze, spogliarelli, spettacoli di burlesque e danza, performance circensi – in una foto il ghepardo saltava in un cerchio di fuoco – abbracciata a uomini e donne, vestita con abiti scintillanti e cascate di frange, circondata da luci di scena, bicchieri di champagne e aspic spaventosi dalle forme più disparate.
«Come fai tu a dire di essere Madame Legrand?» chiese infine.
L’uomo s’intrecciò di nuovo le mani sul ventre.
«È un po’ come un titolo. Come Lupin III. Si tramanda di generazione in generazione e visto che mia madre non ha avuto figlie femmine, il pensionato e il nome sono passati a me.»
«Ma il giornale…mostrava la sua foto…»
«Forse era un giornale molto vecchio. Da quanto tempo lo possiede?»
In effetti, Adolfo non seppe rispondere. Anche se provava a sforzarsi, non riusciva a ricordare dove l’avesse trovato o comprato e la didascalia sotto la foto era talmente piccola che non si era mai preso la briga di leggerla meglio.
«Quindi non solo non ha chiesto un secondo parere per la sua malattia, ma credeva anche di venire qui a Paris e trovare viva, vegeta e giovane una donna di cui non sapeva niente. Lei è pazzo, Monsieur Cappello. Pazzo, o solo un grande sognatore.»
Ad Adolfo venne da piangere. D’improvviso ricordò la vecchia del pianerottolo di fronte al pensionato, di quel gesto, quel circondarsi il corpo con le braccia, e delle risate maliziose di Anoop: loro sapevano che Madame Legrand non era una donna, sapevano che era un uomo grasso che non avrebbe potuto portarsi a letto.
Si sentì un completo idiota e neanche il pensiero di sopravvivere riuscì a sollevarlo.
«Non sono più un morto che cammina.»
«Non è contento di vivere, infine?»
«La mia vita è tutta una farsa.»
«Allez, monsieur Cappello! Se ci tiene tanto a morire faccia come il suo amico Conte.»
«Lui almeno ha il coraggio di suicidarsi!»
L’uomo – ovvero Madame Legrand – scoppiò a ridere.
«Il Conte Insidioso non farà nulla di tutto questo! Viene qui al pensionato ogni anno solo per godersi la vita e scrivere poèmes de merde con l’illusione di ingannare la noia.»
«Ma ha detto che un suo antenato è venuto qui ai suoi tempi, che ha conosciuto la prima Madame Legrand!»
«Non potremo mai sapere se sia vero o meno.»
«E gli altri ospiti? Anche loro sono sani come me?»
«La mia bisnonna ha aperto Le Pensionnat tanti anni fa come una specie di…club? bordello, forse direste voi in Italia, ma questo non è un bordello. È un rifugio, un posto sicuro per chi non ha più uno spazio nel mondo. I gemelli, ad esempio: sono stati abbandonati dai genitori da piccoli e io li ho trovati in un orfanotrofio. E Jacqueline, lei è scappata da una casa chiusa, dove la costringevano a prostituirsi. E persino Louis, che ti ha accolto alla porta, ha trovato qui un luogo in cui poter essere se stessa, vestirsi come vuole, truccarsi o mettersi i tacchi e tutto il resto. È quello che desiderava la mia bisnonna e io faccio del mio meglio per continuare la tradizione.»
«E i soldi? Avete preso i miei diecimila euro.»
«È qui da due mesi, monsieur, mangiando e bevendo a sbafo, usufruendo delle stanze, dormendo sotto il mio tetto. Paris è una città molto cara e io devo badare a tutti gli altri.»
«E che faccio io ora? Sono costretto a vivere!»
«Vedo che ha ancora braccia e gambe, dunque può lavorare.»
«Non conosco la lingua!»
«Imparerà.»
Adolfo gemette, esasperato.
«Non potrei restare qui al pensionato?»
«Certo che può restare qui.»
Quella risposta non se l’aspettava. «Davvero?»
«Non le ho appena detto che il pensionato è un luogo sicuro? Dovrà di certo darsi da fare però.»
«Come?»
Madame Legrand sorrise. «Qualcosa le troveremo da fare. Stavo giusto meditando con Jacqueline di aprire una nuova stanza delle spezie. Forse andrebbe bene “curry”? o “safran des Indes”?»
«Oh già, perché tutta questa fissa per le spezie?»
«La mia bisnonna ne andava matta. Conobbe un certo principe che l’adorava, un egiziano ricchissimo, generoso in regali e complimenti. Fu quel signore a farla impagliare, sa? Sono popoli che ci sanno fare con le cose morte.»
«È ancora vivo?»
«Perché me lo chiede?»
«Oh, avrei voluto sentire la sua versione della storia.»
Madame Legrand fece spallucce, poi condusse Adolfo fuori dalla stanza. A lui sembrò di essere uscito da un ventre e di aver passato lì dentro giorni e giorni. Si sentì bollito, mentalmente e fisicamente.
«E sua moglie e la sua figliastra, alors?» gli chiese infine.
«Che vadano a farsi friggere dal demonio.»
Adolfo tornò nella sua stanzetta, non prima di aver lanciato un’occhiataccia al Conte Insidioso, meditando di rapire il suo levriero prima o poi, e prese il suo giornalino. Andò alla pagina piegata, ammirò nuovamente l’immagine della vecchia Madame Legrand, poi si concentrò sulla didascalia. I caratteri erano minuscoli, in corsivo e mezzi cancellati. Riuscì però a decifrarli dopo qualche minuto di analisi concentratissima e dicevano:
“La famosa Doris Legrand posa insieme al suo ghepardo Grégoire nella sua casa in Rue Daguerre, Montparnasse, Parigi. 1921.”
Adolfo scoppiò a ridere. Lanciò un’ultima occhiata alla sua bambola gonfiabile, mezza storta, con gli occhi inanimati spalmati sul letto. Quegli occhi gli ricordarono lo sguardo di Madame Legrand, spento eppure reale, un tempo.
M’hanno proprio dovuto dire che ero prossimo alla tomba per godere di tutto questo pensò, per l’ultima volta.
Si diede del fesso, ché fesso era e sempre sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni.


Ad accompagnare: Henri de Toulouse-Lautrec, “Marcelle Lender che balla il bolero al Chilpéric“, 1895-96. Olio su tela.
145 × 149 cm. National Gallery of Art, Washington DC.