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Meglio dell’alternativa

Autrice
Sabrina Costa
Ciclo #18 - Tre allegri spaghetti morti
Narrativa generale
26 giugno 2024

Il primo giovedì del mese Zia Gemma moriva. 
Non che fosse veramente mia zia. La chiamavamo tutti così ai Crociferi perché era un po’ la zia di tutti. 
Ci regalava caramelle, visioni di zizze sfuggite dalla vestaglia chiusa male e sceneggiate di alto livello. 
Il primo giovedì del mese, dicevo, Zia Gemma moriva davanti all’ufficiale giudiziario che si presentava per eseguire lo sfratto della casa popolare che occupava da anni.
La scena era sempre la stessa: l’ufficiale giudiziario compariva davanti alla sua porta, bussava una prima volta, poi una seconda e una terza. Nessuno rispondeva, lui recitava a voce alta una formula che gli aveva detto il Tribunale e forzava la serratura.
Quando entrava, trovava la casa in penombra e il corpo di zia Gemma adagiato teatralmente sul divano con la vestaglia di pizzo scivolata su un lato e il volto bianchissimo.
La prima volta che l’aveva vista in quelle condizioni Mimmo Scagliozzi, ex cancelliere del Tribunale di Torre Annunziata incaricato da pochi mesi quale ufficiale giudiziario, era sobbalzato e aveva pensato che Gemma, nonostante l’età, fosse ancora una bella donna.
Dalla seconda volta che si era presentato, e per i successivi dodici anni, aveva imparato a conoscere quel corpo in ogni suo più segreto anfratto, la serratura della porta era diventata a mano a mano più cedevole e gli spettatori più numerosi: oltre ai curiosi che si affacciavano sull’uscio, lo accompagnavano un’agente di polizia e un medico pronto a certificare, dopo uno sguardo veloce al corpo collassato, che sarebbe stato impossibile eseguire lo sfratto date le precarie condizioni di salute della donna.
A quel punto Mimmo si infilava gli occhiali che portava appesi al collo e si faceva largo tra le porcellane sistemate sopra il settimino dell’ingresso per scrivere quelle parole sul verbale, i presenti si chinavano sul foglio per firmare e Zia Gemma apriva un occhio per domandare se volessero un caffè.
Se il poliziotto di turno insisteva nel voler eseguire lo sfratto, però, lei era sempre pronta a rafforzare il suo malessere, abbandonando un braccio lungo il fianco e lasciandosi rotolare a terra fino a scoprire del tutto le sue forme.
Allora Mimmo, intanto che l’agente aiutava il medico a sistemarla nuovamente sul divano, alzava gli occhi al cielo e sospirava. «E pure stavolta at pigliat p cul a’ morte donna Gemma!» le diceva. «Vuje c’atterrate a tutt quant co sta storia ca murit ogni due e tre!»
«Tiè!» replicava lei schierando le dita a mo’ di corna.
Marcello, il figlio di Mimmo che era subentrato nella funzione di ufficiale giudiziario alla sua morte, era invece di tutt’altra pasta. Con lui Zia Gemma non aveva bisogno di prendere il farmaco che le abbassava la pressione oppure trascorrere ore al trucco per sembrare più morta.
Il ragazzo bussava tre volte, leggeva la formula del Tribunale, forzava la serratura ed entrava. Le rivolgeva un sorriso dolce, e le chiedeva: «Come va la vita?»
Lei rispondeva: «Meglio dell’alternativa». E, sotto il lenzuolo che lui le sistemava addosso, lasciava che le dita prendessero la forma delle corna come scongiuro.  Gemma lo aveva capito subito: a differenza del padre a Marcello il corpo della donna non faceva alcuna sensazione.
Il ragazzo si intratteneva all’incirca mezz’ora, compilava i fogli sorseggiando il caffè e discutendo con lei della cura delle piante che teneva sul balconcino.
«Ma tu all’ibisco me lo ammazzi se non gli dai l’acqua, Gemma!» protestava. «E ‘sto geraneo invece che t’ha fatt e mal che manco un po’ di nutrimento gli dai?»
Zia Gemma gli sorrideva e pensava che due erano le cose: o lei dei giovani non capiva più nulla oppure che quel giovane là era ricchione.
Finché un giorno, al posto di Marcello, non si presentò una Signora.
Non aveva bussato al campanello neanche una volta che Zia Gemma se l’era trovata nel bel mezzo del salotto. Pareva una donna elegante, indossava un impermeabile nero lungo fino ai piedi e i capelli liscissimi che cadevano oltre le spalle.
L’aveva guardata per un po’, indecisa sul da farsi: era la prima volta che le mandavano una donna e lei non sapeva se avrebbe gradito le sue grazie allo stesso modo in cui le gradivano Mimmo e quella schiera di  agenti di polizia e medici.
«Devi venire con me» disse la Signora vestita di nero.
«Non posso». rispose Zia Gemma tentando di assumere la sua solita posizione da morta.
«Che vuol dire che non puoi?»
«Sono sul punto di morire, anzi io credo proprio di essere morta!» esclamò stendendosi sul divano con la vestaglia aperta.
La Signora annuì compiaciuta, si avvicinò a lei e le toccò la mano. Quando sentì che le dita avevano assunto la forma delle corna si risentì: «Che stai facendo?»
«No è che non si sa mai».
«Che vuol dire?»
«Che sono ventidue anni che devo morire e se poi la morte passa davvero e dice ammèn
«Sono qui proprio per questo» disse la Signora.
Zia Gemma aprì gli occhi e la osservò con attenzione. Solo allora notò che era diversa da Mimmo e da Marcello: non portava con sé una cartellina con dei fogli, né un medico e un poliziotto per l’assistenza.
«Ma facissev a schiattamuort?» domandò. «Perché a me non mi serve niente, con rispetto parlando. Cioè so che ci sta ‘sta voce in giro che io sto murenn ma io mi sento ancora bunariell. Nun c’o dicit a chill ro Tribunal pe’ carità però io me la cavo».
«No, Gemma, io sono la Morte».
«E qua la faccenda si fa più complicata».
«Devi venire con me, sono anni che ti prepari a questo momento: credo che tu sia pronta».
«Pronta mo’ m pare n’esagerazione!»
«Gemma, capisco…»
«E se me ne vado a chi resta questa casa e tutte le mie cose?»
«Dopo la morte gli oggetti rimangono sulla terra, dovresti saperlo».
«Sì ma la mia collezione di teiere di porcellana che fine farà? Ci ho messo tanto a procurarmele…»
«Credo verrà buttata».
«E la collezione di articoli di giornale su Albano? Ce li ho dagli anni sessanta…»
«Buttati a maggior ragione».
«E che spreco…» esitò un po’, poi riprese. «Sì ma io ho pure coltivato tutte queste piante. Che fanno? Devono morire appresso a me? Manco mi pare giusto. Passi per le teiere e per la collezione di articoli su Albano che comunque ci ho messo anni a trovare… ma non vi pare assurdo che deve morire tutto insieme a me?»
La Signora in nero se ne stette in silenzio per un po’. 
Zia Gemma vide la sua indecisione e capì che era il momento di insistere: «Alla fine noi stiamo fregando lo Stato rimanendo in questa casa e anche la Vita con tutte queste piante e tutti questi oggetti. Perché se io muoio la casa viene data a qualcun altro che sarà vivo e magari si fotterà le mie teiere, i miei articoli su Albano e sicuro anche le mie piante e a quel punto la Vita trionferà. Lei non ci farà una bella figura, glielo voglio dire».
«E lei che propone?»
«Di lasciarmi qua. Ma non dico assai, eh? Giusto un’altra ventina d’anni. Il tempo di sistemare le cose».

Il primo giovedì del mese successivo Marcello si presentò a casa di Zia Gemma con un poliziotto e un medico e la trovò bella pimpante, la vestaglia aperta sul seno sceso, pronta a morire per l’ennesima volta.

A illustrare: immagine creata con Bing Image Creator