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I quattro angoli di una perla

Autrice
Deborah D'Addetta
Ciclo #20 - L'uccello che girava gli spaghetti del mondo
Narrativa generale
31 ottobre 2024

Una Perla – per me – così pregiata –
Che mi tufferei all’istante –
Benché – sappia – che prenderla –
Mi costerebbe – giusto una vita.
(Emily Dickinson)

A Viola piace pensare che il mondo sia affezionato al numero quattro. Le stagioni; gli elementi; le fasi lunari; i punti cardinali; gli angoli di una stanza; le particelle elementari della materia. Anche Viola è affezionata al numero quattro. Da qualche parte ha letto che le dimensioni del reale non sono tre ma quattro, che la viola – lo strumento musicale – ha quattro corde, e che la viola selvatica – il fiore – ha quattro petali; così ha preso a chiamare se stessa Viola.
Il vero nome di Viola è Ottavia, il doppio di quattro.
Vive in una casa di quattro stanze e otto finestre: soggiorno, camera da letto, bagno e cucina. Negli interstizi tra le stanze si nascondono ombrechiacchierone e occhiettiazzurri. Le pareti litigano tra loro e quando litigano cambiano colore. Sono pareti suscettibili, sensibili: arrossiscono se accarezzate, impallidiscono per il freddo, si incrinano per la rabbia. Quando succede, Viola sussurra parole gentili e dalle crepe spuntano fiori. Viole, ovviamente. Quando invece urla, perché non trova le cose, la casa prova a tapparsi le orecchie e vomita perle da ogni fessura, presa della corrente, buco di topi, falla nel pavimento. L’intero spazio viene colmato da gioielli lattescenti. Il loro rimbalzo sul marmo attira gli altri ospiti del condominio che si affacciano per ascoltare, a volte ballare, più spesso baciarsi e fare l’amore.
È un condominio allegro. Viola invece è triste.
Ha un motto tutto suo. In questa stanza preziosa, almeno per la metà della vita posso dimenticare i dispiaceri dell’altra metà[1]. La stanza di cui parla è il bagno. A volte si confonde e sussurra alle ombre dicendo che si riferisce alla camera da letto. Le ombre scuriscono, confuse, ma giacché le sono molto affezionate poi tornano chiare, danzando sul pavimento e i muri.
Sono ombre suscettibili, sensibili.
~
Viola apre gli occhi. Sente la testa affondare nella morbidezza del cuscino di piume. Il letto è caldo, tanto caldo che quasi dimentica che è sveglia e lui non c’è. Se ne ricorda quando volta la testa e sull’altro cuscino nota il libro che vi ha posato la sera prima. 
Viola, ogni sera, lascia sul guanciale un libro, uno di quelli che lui consumava a furia di sfogliare. Viola lascia libri sui guanciali degli uomini che vuole amare. Ma lui non c’è più e Viola è triste.
Le pareti quella mattina sono azzurropolvere. Il letto è caldo, ma la casa è fredda, perché è gennaio – un mese che Viola odia, così come lo odia la casa – ed è per questo che le pareti si sono dipinte da sole di azzurropolvere. Viola sospira. Al mattino la mancanza di lui è più acuta. Le scappa una lacrima sul cuscino di piume. In un angolo, la presa della corrente si lascia scappare una perla. Viola se ne accorge e si chiede che rumore fa una perla che cade sul marmo. Decide per cling.
Lui si chiamava Shi. Una sera le aveva raccontato che in Giappone “shi” significava “quattro” e che il quattro veniva ritenuto un numero sfortunato perché l’ideogramma con cui si trascriveva poteva anche voler dire “morte”. In Giappone, aveva detto lui, non esistevano servizi di piatti o confezioni di cibo per quattro – o tre o cinque – né i quarti piani in un condominio né i numeri di camera 4 in hotel e ospedali.
Viola si asciuga la tristezza con la manica del pigiama. La perla rotola sotto il letto, aggiungendosi al gruppo già nutrito di perle del mattino. Una perla per ogni risveglio triste, una perla per ogni risveglio senza Shi.
Viola posa i piedi a terra, il pavimento di marmo è freddo. La stanza è ancora in penombra, l’orologio segna le sei di mattina. Segna sempre le sei di mattina, anche quando è mezzanotte, e non perché sia rotto ma perché è un orologio suscettibile, sensibile. Anche lui sente la mancanza di Shi, perciò resta piantato con le lancette sulle sei di mattina, l’ora in cui Shi ha deciso di lasciare il mondo.
In realtà, le sei sono passate da un pezzo. Viola infila una mano nella tasca del pigiama e ne tira fuori un foglietto accuratamente piegato in quattro. Sul comodino prende la matita, apre il foglietto e scrive: ‘Anche oggi voglio morire perché Shi non è più con me’.
Pensa che forse è un pensiero banale, e poi pensa anche che quando si è tristi le cose bisogna scriverle, così non si fa la figura dei sempliciotti ma dei letterati[2]. Le ombre sotto al letto e quelle incastonate tra i mobili sorridono. Occhiettiazzurri battono le palpebre, baluginando nello spazio tra le ante dell’armadio.
Eccoci, pensa Viola, purtroppo sono ancora viva.
Si alza, le ombre si aprono come tende per lasciarle spazio. Viola si guarda intorno, poi si muove e le ombre la seguono. Cerca Shi. Lo cerca sotto il letto – ma sotto il letto ci sono solo lacrimeperle – lo cerca nell’armadio – le ciglia degli occhiettizzurri le fanno il solletico quando infila una mano – lo cerca nei cassetti della biancheria, sotto la polvere dei libri, sotto il tappeto, sotto i vestiti, sotto le coperte, sottosottosotto, ma sotto non c’è niente, proprio niente, non c’è niente in questa casa, pensa, non trovo mai niente! e urla dentro il petto, così da una crepa del muro fiorisce una viola, poi un’altra, poi un’altra e un’altra e un’altra.
Viola raccoglie viole, pensa che staranno bene in vasca per quando farà il bagno. Poi ricorda che è inutile cercare Shi: lui non è più lì, è in un altro sotto, dove forse l’orologio non è tanto suscettibile e non segna sempre le sei di mattina.
~
Il rituale di Viola: svegliarsi, accorgersi del libro, scrivere sul foglietto, piangere un po’, raccogliere fiori, cercare Shi, piangere ancora un po’, smettere di cercare Shi, salutare ombre e occhi, attraversare soglie, annegare.
Viola si spoglia del pigiama, apre l’armadio, gli occhietti fanno spazio raccogliendosi in bollicine negli angoli. Cerca il costume da bagno giallo, quello che le ha regalato Shi per il suo ventiquattresimo compleanno, quello giallo con le conchiglie. Trova solo il pezzo di sotto, del reggiseno neanche l’ombra. In questa casa non trovo mai niente, pensa. Fa spallucce, infila lo slip e resta a seno nudo. Prima di chiudere le ante, fa un grattino a un gruppo di occhietti.
«Avete per caso visto Shi dalle vostre parti?», chiede loro.
Quelli, affranti, abbassano le palpebre. La casa sospira, sbuffando un refolo di vento dalla finestra. Viola cammina, supera la porta, le ombre la seguono uncinandosi ai suoi talloni. Entra in bagno, la stanza preziosa. Apre le manopole dell’acqua – la stanza singhiozza – e aspetta che la vasca si riempia; nel frattempo sfoglia le viole, spargendo petali. Le ombre attendono, pazienti, tremolando leggermente. Viola riesce a vedere il percorso dell’acqua attraverso le tubature, come se i muri fossero di vetro, tanto generosi da lasciarsi guardare attraverso. Il bagno è tutto bianco, di un bianco bluastro, fosforescente. Sembra di stare in un acquario, pensa. La tubatura nella vasca all’improvviso gorgoglia e arresta il flusso, Viola si accorge che è incrostata di calcare. Si alza, batte una mano contro il muro, le ombre aiutano imitando il suo gesto, l’acqua rifluisce. Cerca di non pensare a Shi, a quando sedeva sul bordo della vasca e le pettinava i capelli bagnati con una spazzola di bambù a quattro denti. In questa stanza preziosa, almeno per la metà della vita posso dimenticare i dispiaceri dell’altra metà, ripete.
Quando la vasca è piena Viola si immerge. Le ombre si sganciano dai suoi talloni e si accucciano sul tappeto. Non amano molto bagnarsi. Sono ombre suscettibili, sensibili.
Viola giura cieca fedeltà alla regista della tragedia intitolata: “Non dimenticare Shi”[3]. La regista è lei stessa. Mentre si lascia cullare dall’acqua si convince di riuscire a sopravvivere alla mancanza di Shi solo perché, come per i viaggi, tutto il piacere sta nel prima e nel dopo e non nel durante: l’innamoramento e il lutto; la lussuria e l’apatia; le farfalle nello stomaco e le mosche sul cadavere. Adagia la nuca sul bordo della vasca, fissa il soffitto, riesce a vedere la coinquilina del piano di sopra mentre ciabatta in cucina. Viola sa che si chiama Rosa. Rosa sono anche le sue mutande, da quella prospettiva privilegiata può dire anche che non si è depilata. D’altra parte è gennaio. Rosa è una delle ospiti del condominio che si affaccia quando la casa di Viola sputacchia perle. 
Rosa bacia il suo compagno, cling cling, e Viola trema.
Rosa abita al quarto piano del condominio e forse è per questo che è felice.
Viola ricomincia a piangere. Le pareti del bagno si rattristano e diventano bluscuro, le ombre risalgono le piastrelle della vasca e si raccolgono intorno alla sua testa, annodandosi tra i capelli. Le lacrime cadono nell’acqua, il livello piano piano si alza, Viola piange così tanto che, a un certo punto, l’acqua straborda e inizia ad allagare il pavimento. Le ombre sfrigolano. Non amano bagnarsi. Sono ombre suscettibili, sensibili. Sono ombrelettriche.
Poi Viola ricorda che quello è uno spazio prezioso, che solo lì può dimenticare. Chiude gli occhi, immerge la testa, poi tutto il corpo. Si sente al sicuro. Riapre gli occhi, le ombre si sporgono per guardarla annegare ancora una volta, un’altra volta, un’altra mattina, un altro risveglio senza Shi.
Guarda le ombre guardarla attraverso il velo tremulo dell’acqua.
Viola viene tirata giù dal peso delle conchiglie del costume da bagno giallo. Sprofonda lentamente, il fondo della vasca si allontana, diventa pozza, pozzo, pozzanghera, lago, fiume, mare, oceano, abisso. Viola cola a picco in un mondo d’acqua calda e silenzio, di conchiglie e occhiettiazzurri e ricordi felici. Viola pensa che in quella tragedia di cui è regista la parte principale non spetta a lei e nemmeno a Shi, ma al modo in cui le persone ricordano quelli che hanno amato: un libro sul cuscino; una fotografia; una confessione; una stanza preziosa; la purezza in disfacimento; le catene del rimorso e del rimpianto.
Gli infiniti, diabolici: “e se”.
E se gli avessi detto più spesso ‘non preoccuparti, ci sono qui io’. E se gli avessi detto più spesso ‘non preoccuparti’. E se avessi detto più spesso. E se avessi. E se. 
Naufragando, pensa che non ha mai detto ‘ti amo’ a Shi. Viola apre la bocca, urla, l’acqua frizza e vibra, le sue conchiglie partoriscono perle. Si rannicchia, finalmente tocca il fondo. Sul fondo c’è un tappeto di conchiglie e perle neonate. Si adagia sul fianco, incassando il viso tra le ginocchia.
Pensa al numero quattro. Ricorda che il suo vero nome non è nemmeno Ottavia, ma quello che le ha dato Shi quando si è innamorato di lei. Shinju. Perla. Shi-nju. Shi+nju. Anche nel suo nome c’è un pezzo di Shi, una radice, un bulbo, una fonte, l’origine del desiderio. Ciò che più le manca di lui è la sensazione di appartenere a qualcosa, a uno spazio fatto apposta per. Shi era la sua conchiglia.
Viola riapre gli occhi. Vede Rosa al piano di sopra: si è seduta a tavola, mangia un piatto di pasta. Viola allunga un braccio verso di lei, muove l’indice come a volerle fare il solletico. Rosa sobbalza, si guarda intorno, la forchetta a mezz’aria. Il compagno le chiede se va tutto bene. Rosa risponde che ha sentito un formicolio sotto le piante di piedi. Poi si baciano. Con la lingua. Viola trema. Lascia cadere la mano nell’acqua. La mano fa un rumore che le piace, come uno schiaffo giocoso, uno di quelli dati per scherzo. Allora ripete il gesto – ciaf ciaf ciaf ciaf – fin quando le ombre non le tirano i capelli per dirle di smetterla. Non amano bagnarsi. Sono ombre suscettibili, sensibili. Ombrelettriche. Ombreffimere. 
Sono le ombre di Shi. Sono rimaste con lei dopo che lui ha lasciato il mondo. Tocca a lei prendersene cura.
~
Viola si ritrova nel suo letto. Affonda nella morbidezza del cuscino di piume. La morbidezza, pensa Viola, però si accorge che la sua testa preme contro qualcosa di molto più rigido di un cuscino di piume. Si volta convinta di incontrare il libro di Shi, e invece incontra il lampadario. La luce del giorno filtra attraverso palline di polvere e ragnatele. 
Viola rimette la testa dritta, sfrega gli occhi, i capelli e il pigiama sono zuppi d’acqua. Il letto è attaccato al soffitto. Il letto, il comodino, l’armadio, i libri, le ombre, le perle. Si mette a sedere. Sto sognando, pensa, ma quando prova a posare i piedi sul marmo freddo avverte una superficie dura, tiepida, granulosa. Si guarda intorno, non c’è niente – a parte il lampadario – tutti i mobili sono sospesi sulla sua testa.
La casa è sottosopra, pensa, sono seduta sul soffitto. Fa spallucce. La sua è una casa suscettibile, sensibile. Si alza, cammina intorno al lampadario lasciando piccole pozze, poi lungo le pareti. Ne approfitta per catturare polvere e ragnatele dagli angoli e darle in pasto alle sue ombre. Viola sorride perché sembrano spassarsela. Allunga le braccia verso l’alto – il sotto che adesso è sopra – ma non arriva a toccare il letto. La presa della corrente stilla una perla. Viola la vede scivolare lungo la parete e poi fermarsi proprio ai suoi piedi.
Si risiede a gambe incrociate, sente un po’ freddo, aspetta, pensa a Shi. Le viene in mente che potrebbe mettersi a cercarlo lì, visto che ha sempre provato col sotto e mai col sopra, solo che sul soffitto non ci sono posti in cui cercare, a parte gli angoli, e negli angoli ci sono solo le sue ombre che sgranocchiano ragnatele.
Le pareti quella mattina sono rosaconfetto. Si domanda se Rosa del piano di sopra – sotto – adesso possa vederla. Viola abbassa la testa: nello spazio tra le sue gambe incrociate vede solo l’impenetrabile intonaco del soffitto.
Sente un fruscio, solleva lo sguardo. Nell’aria volteggia un oggetto quadrato e bianco, una farfalla di carta. Viola apre le mani a coppa per accoglierla. Si accorge che è un foglietto accuratamente piegato in quattro. Dà per scontato che sia il suo, quello che tiene sempre in tasca. Deve essere caduto quando il sotto è diventato sopra, pensa, ma si sbaglia. Viola lo dispiega. Si rende immediatamente conto che quella non è la sua scrittura. La calligrafia è minuscola, sottilissima. Ci sono solo ideogrammi giapponesi. Viola sente il petto esplodere, da una crepa di fianco a lei spunta un mazzo enorme di viole.
“Anche oggi voglio morire perché Shinju non è più con me”.
“Ho giurato fedeltà al regista di una tragedia intitolata: Non dimenticare Shinju”.
“Il mio orologio segna sempre mezzogiorno, l’ora in cui Shinju ha deciso di lasciare il mondo”.
Cling cling cling cling cling cling cling clingclingclingclingcling.
Quando Viola finisce di leggere la stanza è colma di perle e viole. Rosa e il suo compagno si affacciano, si abbracciano, sorridono, ballano, si baciano. Con la lingua. Stanno per fare l’amore. 
Quando Viola finisce di leggere ricorda che è inutile cercare Shi: lui non è più lì, è in un altro sotto, dove l’orologio è ugualmente suscettibile ma segna sempre mezzogiorno e non le sei di mattina.