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La janara saputa

Autrice
Deborah D'Addetta
Fuori menù
Narrativa Generale
3 marzo 2022

Nel paesino di San Letto sul Frecone tutti conoscevano tutti e persino gli animali sembravano avere un’accurata conoscenza della natura dei propri padroni. Accadeva quindi che il cane di Peppino cambiasse sempre strada quando incrociava la figlia di mpà Nello, che i cardellini di Glorietta smettessero di cantare quando sua nuora passava a trovarla e che il pappagallo di Pipìcacà, lo scemo del paese, garrisse pipì e cacà quando un’ambulanza sfrecciava sotto il suo balcone, ma solo se veniva guidata dal fratello di lui, Franco, che tanto dritto non era, ma nemmeno tanto scemo.
Allo stesso modo, i freconi – così si chiamavano gli abitanti di San Letto – si odiavano gli uni con gli altri, ma non erano altrettanto sinceri nel manifestarlo. Di conseguenza, andavano a sfogare dubbi e frustrazioni dall’unica persona di cui si fidassero, Donna Elvira, detta la janara saputa. Elvira dispensava non solo consigli, ma anche rimedi per ogni male. Se poi funzionassero o meno era un mistero, ma per i freconi recarsi da lei era ormai diventata un’abitudine più che una vera e propria necessità.
Quel venerdì, ad esempio, aveva varie richieste da gestire: la nuora della signora Glorietta la implorava di toglierle il malocchio, un gruppetto di ragazzini del catechismo pregava affinché Don Dante prendesse la febbre, Peppino chiedeva un rimedio per la dissenteria del suo cane e sempre la nuora della signora Glorietta, ma questo l’aveva detto dopo, desiderava consultare i tarocchi per ritrovare la sua fede nuziale smarrita.
Donna Elvira accoglieva tutti con garbo, con quel savoir-faire tipico delle fattucchiere di un certo livello, quelle senza candele e fronzoli da mentecatti. Arrivato dunque quel venerdì qualsiasi di un mese qualsiasi di un anno qualsiasi, Donna Elvira ricevette anche la visita di mpà Nello.
«Donna Elvì, buongiorno a voi» biascicò.
«Buongiorno Brunello. Com’è che parlate così? Avete di nuovo il catarro?»
«No, macché! Il motocarro sta alla vigna! Vengo per un altro fatto.»
Prima di proseguire, posò sul tavolino un fiaschetto di vino rosso come pagamento: Donna Elvira infatti non chiedeva denaro in cambio delle sue consulenze, gesto troppo grossolano per una come lei.
«Dite.»
Mpà Nello tentennò.
«Dite, dite.»
«E niente, mi serviva qualche cosa per, diciamo, la notte…»
«La notte? Non riuscite a dormire?»
«Perché, so’ ingrassato? Devo dimagrire?»
«No, ho chiesto se soffrite di insonnia. In-son-nia.»
«E che sarebbe?»
«Quando si ha difficoltà ad addormentarsi.»
«Eh! Dormo pure assai! No, volevo dire…la notte nel senso, qualche cosa per passare il tempo…»
Donna Elvira tacque.
«Per passare il tempo con la moglie…»
Nessuna risposta.
«Meh, insomma! Per fare all’amore! Qua sotto non si alza niente più!»
La donna arrossì violentemente e mpà Nello, a vederla diventare paonazza, diventò paonazzo pure lui.
«Madonna dello Sterpeto, vi domando perdono!»
«Vabbè, bastava dire che soffrite di impotenza…»
«Quant’è brutta ‘sta parola, pare che tengo una malattia incurabile.»
«No! Non vi impressionate, sennò è peggio!»
L’uomo si tastò il polso.
«La pressione sta tutto bene. Quindi che problema tengo?»
Donna Elvira fece un profondo sospiro.
«Siete stanco ultimamente?»
«Franco? Che c’entra mo’ quel fesso di Franco?»
«Dico se siete STANCO?»
«Sì, assai.»
«Vi sentite STRESSATO?»
«Eh però, che parole difficili che usate, Donna Elvì: ci credo che vi volevate chiamare madammpesant…»
«Veramente era Madame Brillant, ma lasciamo stare. Allora capiamoci: mi chiedete un rimedio contro il vostro problema maschile…di virilità diciamo.»
«Eh, la virilità…»
«Contro la mosceria… non concludete.»
«Non mi avvio proprio, altroché! Tutto morto! Prima ero così vispo, quando Rosetta mia si spogliava… un secondo ci mettevo, pum!»
«Va bene, ho capito! E per piacere, niente gestacci in casa mia!»
Si alzò, lasciò l’uomo a farsi qualche domanda e trafficò fuori dalla sua vista. Tornò poco dopo, carica di boccette e ampolline tutte di forma e colore diverse.
«Allora, aprite le orecchie: questo medicamento lo prendete tutti i giorni, tut-ti i gior-ni, per due settimane, a mezzogiorno…»
«I film porno? E mica tengo la televisione a pagamento io! Quella è roba di Peppino, quel zozzo lurido…quante porcherie che va facendo, non lo sapete voi!»
«Brunello, ti posso assicurare che so.»
«E ma certe cose… Mo’ che non ci sta la moglie poi, uh!»
Donna Elvira cominciò a mescolare polveri e liquidi. Quando finì, avvolse la boccetta in un foglio di giornale.
«Facciamo così, visto che l’impotenza non è l’unico problema che avete, vi scrivo tutto su un pezzo di carta, così sapete come dovete prendere questa medicina, va bene? Sapete leggere, no?»
«Uff! A voglia!»
«Sicuro?»
«Sine!»
«Allora prendete qua, mettetela in tasca e non vi fate vedere.»
Mpà Nello si alzò, prese le mani di Donna Elvira e le baciò.
«Grazie, grazie assai! Siete una benedizione! Se funziona, vi faccio ammazzare un capretto per Pasqua, tutto per voi!»
E fatta la promessa, se ne andò.
Passarono i giorni e Donna Elvira ebbe altre visite: Pipìcacà passò per chiedere un intruglio d’amore, cotto da sempre della figlia di mpà Nello che però, a sua volta, era cotta da sempre di Franco; Glorietta la pregò di levarle il malocchio, proprio come sua nuora, perché era convinta che si stessero maledicendo a vicenda e che la iettatura rimbalzasse da una all’altra, mentre Peppino, ancora alle prese con la dissenteria del suo cane, chiese consiglio su cosa poter regalare “a sua moglie per il loro anniversario”.
Una settimana o due dopo, in un altro venerdì che non era un venerdì qualsiasi, mpà Nello uscì in piazza e cominciò a urlare che Donna Elvira era una santa e che aveva fatto il miracolo. Allora tutti iniziarono a indagare sul motivo di quella gioia, fin quando, ancora preso dall’euforia, non fu mpà Nello stesso a confessarlo e a mostrarlo a Pipicacà, sicuro che nessuno avrebbe creduto allo scemo del paese.
La superstizione però, in un paese come San Letto sul Frecone, era un’erbaccia difficile da estirpare e finì che tutti credettero a Pipicacà e ai poteri miracolosi della janara saputa. Invece però di rallegrarsi, cominciò a serpeggiare tra loro una sorta di malcontento velenoso, un timore taciuto perché non condiviso: fintanto che tutti credevano si trattasse solo di svago, Donna Elvira non rappresentava un pericolo; ma, a causa di quella svolta inaspettata, le cose si tinsero di una luce funesta.
Glorietta, che aveva l’abitudine di chiacchierare coi suoi cardellini, esternò una certa preoccupazione per il malocchio: era stata l’ultima ad andare da Donna Elvira, tutto stava filando finalmente per il verso giusto, e doveva impedire a tutti i costi che sua nuora invertisse ancora una volta l’incantesimo.
Quest’ultima, appurato che i poteri della janara saputa funzionavano per davvero, s’impanicò, sicura che la donna avesse scoperto coi tarocchi che non aveva davvero perso la fede nuziale, ma che l’aveva venduta per pagare i debiti di gioco del marito.
Don Dante prese sul serio una febbre da cavallo, però gettò nel water la medicina che Donna Elvira gli aveva preparato, nel timore che anche a lui si drizzassero protuberanze indesiderate. Recitò quattro Ave Maria e dieci Padre Nostro, pregando di liberare il paese da quella sventura demoniaca.
Dal canto suo, Pipicacà ricevette uno sguardo dolcissimo da parte della figlia di mpà Nello e si convinse che la pozione d’amore avesse finalmente fatto effetto. Prese così la decisione di fare di tutto affinché quel neonato amore rimanesse intatto.
In ultimo, Peppino, avendo confessato tutte le sue scappatelle extraconiugali a Donna Elvira, semplicemente temette che lei prima o poi avrebbe informato sua moglie. Inoltre, il suo cane aveva ancora la cacarella.
Mpà Nello invece, felicissimo per aver riacquisito le proprie doti erculee, decise di prendersi una vacanza e di portare Rosetta a fare all’amore altrove.
Seguì una riunione, che tra i freconi era cosa più unica che rara, che produsse un verdetto unanime: Donna Elvira doveva morire. Si affidò il compito a Pipicacà, proprio perché era lo scemo del paese. Qualche ora dopo l’assemblea, proprio sotto il balcone di casa sua, sfrecciò un’ambulanza guidata da Franco, e il suo pappagallo garrì pipì e cacà.
Quando mpà Nello tornò dalle vacanze, appresa la notizia della morte di Donna Elvira – che gli altri spacciarono per una disgrazia – pianse amaramente, confessando sulla lapide della defunta di non aver mai letto le istruzioni per assumere la medicina contro l’impotenza, perché né lui né Rosetta sapevano leggere, e per questo, per aver addirittura previsto la sua ignoranza e la sua menzogna, la credette una santa.
In suo onore eresse nel giardino di casa un altarino: la foto di Donna Elvira campeggiava in primo piano, incorniciata da una corona di fiorellini, e il marmo in basso portava l’epitaffio: “A madammpesant. I capretti saranno sempre per voi”.


A illustrare il racconto, una fotografia a rullino dell’autrice presso il Museo La Neomudéjar, Madrid.