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Lux Aeterna

Autrice
Alessia Del Freo
Ciclo #18 - Tre allegri spaghetti morti
Narrativa generale
06 giugno 2024

In un momento impreciso della traversata del Pacifico, al passeggero 683 apparve un messaggio della moglie morta.

I letti a tre piani si susseguivano nel corridoio in penombra, senza lasciar intravedere la fine. Sulla parete curva si stendevano uno dopo l’altro gli oblò e sotto di loro, a bordo del pavimento, una serie di prese elettriche dov’erano collegati altrettanti smartphone. Quasi tutti di ultima generazione, tutti simili, tutti rotti. Una tassonomia di crepe creava disegni indecifrabili. Dai grumi di cristalli luccicanti partivano fenditure a solcare le pianure nere degli schermi in carica. Una goccia scendeva ogni tanto da un’oblò. Era salata e tiepida, nata dalla condensa. Faceva sfrigolare qualche presa, o penetrava nell’incrinatura di un vetro e danneggiava per sempre i ricordi che quell’oggetto conteva.
L’oceano ribolliva.

Una cabina del sottomarino era diventata il ricettacolo dei telefoni dei morti. Era una stanza umida, piena di manopole girevoli e tubature a sbuffo, che alimentavano il sistema a propulsione rotante. Una nuvola di vapore avvolgeva i cellulari spenti e inutilizzati, che come lapidi avevano trovato posto ritti tra le condutture e le manovelle. 
Il passeggero 683 vi si recava spesso, da quando aveva scorto una piccola pozza in un angolo scuro. Una lieve crepa che lasciava entrare l’acqua: gli strani fenomeni erano cominciati proprio da quando l’aveva notata.

I passeggeri viaggiavano da anni nell’Oceano Pacifico, nella speranza di raggiungere un lembo di terra non ancora sommersa. Navigavano su una struttura gigantesca a forma anellare che roteando avanzava nelle profondità; assomigliava più a un’astronave che a un sottomarino. I materiali di cui era rivestita erano in grado di resistere anche alle temperature scottanti dell’acqua in superficie, perciò, di tanto in tanto, risaliva nella speranza di avvistare la terraferma. Ma ogni volta tutto ciò che appariva agli occhi della capitana e a qualsiasi passeggero si fosse affacciato agli oblò era una distesa infinita, scura, fumante.
Le profondità marine erano illuminate solo dalla rete satellitare che, come la maggior parte delle tecnologie necessarie, aveva dovuto adattarsi alla sopravvivenza subacquea. I satelliti si muovevano in gruppi di costellazioni riconoscibili per tutto l’oceano, assicurando una rete di comunicazione e consentendo l’accesso a internet.
In quei giorni, stavano navigando nei pressi di Nereide.

Certi social network che prima della crisi stavano cadendo in disuso, avevano ripreso linfa vitale nella fuga subacquea con rinnovate e inquietanti funzioni sepolcrali. Erano scrigni preziosi che conservavano intatto il ricordo dei morti, come mausolei che riunivano foto, momenti, pensieri di chi non aveva avuto una sepoltura. Tombe con la memoria piena, gli schermi infranti, gli obiettivi appannati – pezzi, lì sotto, insostituibili.
683 pensò che ci fosse qualche malfunzionamento sul suo cellulare, perché le conversazioni con la moglie riaffioravano dal passato come non lette e, se rispondeva, giungeva una notifica, con un nuovo messaggio che pareva digitato in quel momento, plausibile, tenero; umano.
Parlavano, ma il cellulare della consorte baluginava nella nebbia con la facciata nera che ammiccava al niente. Un simulacro, un miraggio digitale dove a lui piaceva cullarsi, mentre il sottomarino proseguiva nel buio oceanico.
Queste conversazioni avvenivano solo nei paraggi della cabina, dove il vapore sembrava inebriare i dispositivi elettronici di strane capacità di distorsione del tempo.
La capitana richiamò i passeggeri a raccolta: la costellazione di Nereide virava verso di loro e, per evitare di scontrarsi con un satellite, il sottomarino doveva cambiare rotta.
683 si lasciò la cabina alle spalle e mentre si dirigeva verso il punto di ritrovo, gli arrivò un nuovo messaggio della moglie.

Possiamo incontrarci di nuovo, finalmente.

Gli allarmi già suonavano per i corridoi angusti e 683 si affrettò a raggiungere la sala generale. Adocchiò il telefono: un altro messaggio, ancora. Non gli era mai successo di ricevere messaggi a quella distanza dalla cabina.

Ti scorgo.

Forse c’era un’infiltrazione di quell’acqua stregata anche nella sala generale?
683 ripose il telefono in tasca, stranito. In ogni caso, non voleva farsi notare dagli altri passeggeri.
La capitana annunciò che avrebbero avvertito un senso di vuoto perché la nave doveva discendere in un canyon inesplorato, per non collidere con gli ultimi tre satelliti della costellazione.
La manovra fu eseguita alla perfezione ma la capitana si accorse che Nereide, mentre si allontanava, aveva perso del tutto il controllo sui tre satelliti, che parevano attratti da una forza misteriosa verso la gola.
Il cellulare nella tasca di 683 iniziò a vibrare.
La moglie lo stava chiamando. 
Era una videochiamata.

I tre satelliti proseguivano con la nave sommergibile verso l’abisso, uniti tra di loro ma ormai sganciati dalla costellazione madre. Tutti e tre avevano cominciato a baluginare a intermittenza e a sfrigolare, con sempre meno potenza, fino a spegnersi del tutto nelle profondità oceaniche.
La capitana valutò di risalire la gola e tornare al livello ordinario del fondale. I satelliti, spenti, dovevano aver perso forza di propulsione e non doveva più esserci pericolo di scontrarsi.
Avvisò i passeggeri che le telecomunicazioni e la rete internet erano saltati perché la Nereide aveva riportato danni alla coda dei satelliti. Per il ripristino della rete internet, avrebbero dovuto entrare nell’area della costellazione più vicina: Lux Aeterna.
Virò verso l’alto ma ben presto si accorse che il sottomarino continuava a discendere seguito dall’ombra bieca dei tre satelliti alla deriva.
Forzando la manovra di risalita, la nave sommergibile si scosse diverse volte per contrastare il moto contrario che l’attirava verso l’abisso. Il panico dilagò tra i passeggeri.

Siamo vicini, per davvero.

La capitana forzò la manovra in orizzontale, sperando di non scontrarsi su una parete dell’abisso e, al contrario, di poter sfuggire all’attrazione esercitata da quella profondità e riuscire a risalire più avanti.
L’anello faticava ma, tremante, riusciva a procedere in orizzontale, finché una caduta improvvisa non lo spingeva di nuovo verso il basso.
Mentre tentava di mantenere il controllo, la capitana scorse in lontananza un brillare di luci.
Era Lux Aeterna. 
Dovevano raggiungerla, mettersi in contatto con un’altra nave, chiedere soccorso.

683 corse verso la cabina e vi si rinchiuse dentro, le suole sull’acqua.
La pozza che fino a quel mattino era una piccola macchia circolare in un angolo scuro si era protratta per tutto il pavimento, e dalla fessura usciva adesso un rigagnolo visibile. Il cellulare della moglie era sempre là, spento, come una lapide metafisica che aberrava le leggi dello spaziotempo.
All’ennesimo scossone, a 683 sfuggì il suo di mano. Cadde nell’acqua e ricominciò a vibrare. Quando lo risollevò, era ancora acceso e funzionante.
Rispose.
Rispose, ma non comparve nulla.
Dall’altra parte l’immagine era buia e ora il suo schermo era nero, come lo schermo spento dei cellulari scarichi e in disuso dei morti, come il buio dell’oceano che li avvolgeva.
Poi, scorse un brillare quasi impercettibile.
Strizzò gli occhi e si avvicinò il cellulare alla vista.
Era una serie di puntini che si avvicinavano nel buio, e ruotavano lenti in una danza invitante.
Era Lux Aeterna.
In quel movimento soave, i satelliti parvero delineare, poco a poco, un volto umano, un volto di donna. Mentre 683 collegava i punti luminosi fino a riconoscerci il profilo familiare della moglie, la costellazione prese a brillare sempre più forte, sempre più chiara, fino a invadere lo schermo nero e la cabina e l’anello e l’oceano di un bianco assoluto.

Tempo dopo, lo scheletro dell’anello emerse in superficie, corroso dall’acqua bollente che in mancanza di comandi e manutenzione si era infiltrata nella nave. L’acqua si era presa i passeggeri, li aveva squamati, sciolti. Era entrata nelle prese elettriche, aveva spento ogni cellulare. Gli schermi neri erano rimasti sommersi, e tappezzavano il fondale dell’oceano, senza vita.
Dei passeggeri non rimaneva altro in questo mondo.
Da qualche parte, c’erano i loro simulacri digitali, fermi in un’eterna immagine. Come involucri senza contenuto, vesti senza corpi.

A illustrare: immagine creata con Canva Image Creator