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Noi poveri morti

Autrice
Nicole Trevisan
Ciclo #18 - Tre allegri spaghetti morti
Narrativa generale
18 aprile 2024

«Quanto silenzio. I passi sono oramai spenti nel tramonto, l’eternità sterminata nella mia mente: Signore che sei nei cieli abbi pietà della mia anima e accoglimi tra le tue braccia misericord…»
«Ssht».
«Scusi? C’è qualcuno? Meredith?»
«Il mio nome è Anthony Patterson e mi duole comunicarle che non si trova in Purgatorio, ma nel cimitero di Greyfriars, dov’è stato inumato con ogni cura cristiana».
Sotto uno strato di terriccio appena smosso e umido di nebbia, il corpo morto di James ha un fremito. Riesce appena a muoversi nella cassa, finita di inchiodare non più tardi di quel mattino. Legno buono, niente di lussuoso: lo sente sotto le nocche che provano a bussare sul fondo e sulle pareti. Poi ricorda che dovrebbe urlare. Urla. Si dibatte e contorce nella profondità della sua sepoltura, ma non arriva nessun suono che gli attesti una presenza esterna in grado di aiutarlo. Solo il vano sospiro della voce alla sua sinistra.
«Cerchi di calmarsi. Lei è morto. Provi a farsene una ragione».
I colpi si ripetono. James sbatte la fronte contro il coperchio della cassa. Non prova dolore. Si accorge di non essere in debito d’ossigeno. Sbottona la camicia, riconosce la forma dei bottoni cuciti da sua madre, è quella che indossava il giorno del suo matrimonio. Si tasta la gola: non respira più. Non c’è battito.
«Presumo con certezza di essere morto, eppure…»
«No, non è risorto. È solo morto e come tale si decomporrà. È stata la benedizione del curato a svegliarla, ma è una condizione temporanea. Presto perderà facoltà di parola e di pensiero. Non la sentono là fuori, è inutile che si agiti. La sua fine è giunta, la vita non abita più il suo corpo, si tratta di un rimasuglio nervoso, impulsi elettrici e residui di coscienza».
Nulla di quanto apprende sembra riuscire a tranquillizzarlo. Scopre del liquido colargli dalle narici e ricorda la sua pleurite.
«Mr. Patterson, mia moglie».
«Si risposerà».
«Lei è, mi permetta, senza cuore».
«Come contraddirla. Ora faccia silenzio, la prego».

Il suo vicino di sepolcro si acquieta. I rumori si annullano e James scivola in una sonnolenza vigile, simile all’attimo prima di addormentarsi, quando ancora il sonno ritmava il suo essere in vita. Una voce femminile, oltrepassando lo strato di terriccio sopra di lui, lo spinge a riaprire gli occhi.
«Meredith!»
Grida, ma chiunque sia sopra di lui non lo sente, avvinta al suo stesso cordoglio. La sente crollare sulla tomba. Sono le candide ginocchia di sua moglie che affondano nella terra, sussurrando una preghiera dopo l’altra per raccomandare la sua anima a Dio. Non saprà mai che Esso l’ha rifiutato e condannato a marcire come una qualsiasi carcassa.
«Mia amata sposa, veglio il tuo lutto in queste lunghe notti di solitudine del mio corpo e del mio spirito, che per sempre…»
«Lily, alzati. Non c’è nulla che tu possa fare per questo giovane sventurato».
A parlare non è Patterson e non è la donna – Lily, a quanto pare, non Meredith. Si impone sulla voce femminile, ammutolendola come ammutolisce la propria superando l’involucro di legno della bara. Si immobilizza al cospetto dello sconosciuto, le mani giunte al centro del petto, così come dovevano averlo disposto per le esequie.
«Mio signore, aveva appena venticinque anni, un onesto lavoratore e padre di famiglia, stroncato da un fatale mal di petto. Non vedi l’ingiustizia, la spada spuntata del destino che ha reciso la sua vita?»
Il timbro solenne e maschile scorre sotto la colonna vertebrale di James, sigillando la sua sorte, ora definitiva più di quanto avesse imposto il decesso o il rito funebre.
«Così doveva accadere. L’immortalità non può essere dispensata a chiunque, solo a coloro che sono degni. In tutta onestà, costui mi è sconosciuto per lignaggio e meriti».
La giovane sembra trattenere le lacrime, sfogando la desolazione in accenti acuti. Non ha la femminilità compita e rassicurante di sua moglie: per quanto accurato sia il suo eloquio, questa Lily ha l’irruenza delle ragazzine privilegiate, indipendenti anzitempo, e il suo dolore somiglia al capriccio.
«Per certo non possiede le elevate qualità d’intelletto e sangue che avrebbero destato la nostra attenzione prima della sua ora fatale. Eppure, la sua tomba fresca mi fa pensare al riposo delle membra che ci è stato negato, condannandoci a marciare su questa terra oscura, fetida di milioni di anime. In notti come questa avrei preferito cadere com’è caduto lui e risparmiarmi il dolore di ogni nuova alba».
«Mi ferisci incolpandomi di averti trascinata nell’eternità. Sai che l’ho fatto per un sentimento che questo mondo non poteva comprendere, per la nobiltà e la bellezza che incarni, Lily».
Uno scalpiccio di passi la separa dalla tomba di James. Si ferma quando l’uomo, raggiunta la fanciulla a qualche metro di distanza, deve afferrarla o bloccarla.
«Lasciami! Tu menti, sei stato mosso da nient’altro che codardia e solitudine».
«Femmina crudele. Pensi ci fosse una sorte diversa, per noi due insieme? Che ti avrei lasciato consumare dal mal francese, precipitando con la tua famiglia nella più sordida vergogna?»
Il pianto della giovane, che ne aveva impregnato le grida, si esaurisce sul petto del suo compagno.
«No, mio signore. No, perdonami: sono una ragazza sciocca. Una bambolina che non riflette quando dovrebbe. Passeggiamo?»
James sente i loro passi allontanarsi uno nelle impronte dell’altro.

«Ha sentito?»
«Sì, Mr. Patterson».
«Immonde creature, i vampiri».
Dal suo vicino si irradia, bassa e mista alla terra che abita, un biasimo composto e definitivo. James si rassegna, adagiando il capo sul piccolo cuscino di paglia sotto la nuca. Il turbamento alla conferma dell’esistenza dei vampiri, sospettata origliando la loro conversazione, si annulla nella consapevolezza di essere a sua volta un morto vivente.
«Ne ho sentito parlare. Si diceva frequentassero balli e salotti, non luoghi come questi».
Patterson scuote il capo. Lo sente sbattere la calotta cranica contro la bara.
«Alla ragazza, Lily Macrae, proprio quei Mcrae, piace molto Greyfriars. Si strugge per il dono dell’immortalità offerto dal suo sedicente marito, Albert Smith. Un inglese che sembra le abbia sottratto la virtù con la più completa compiacenza inducendola a darsi al vizio che infine…»
Si interrompe, marcando l’indecenza dell’argomento con una pausa e un appropriato colpo di tosse.
«…Non posso sporcare questo luogo santo con ulteriori particolari, giovanotto».
James, che era stato un cattolico fedele al vangelo e al proposito di difendere la propria integrità a costo di amputare le sue pulsioni, si indigna:
«Un inglese! E… Quel male deplorevole. La fanciulla è perduta».
«Il loro agire è contrario a ogni legge morale, il loro sangue è maledetto e contamina anche i vivi, facendone dei mostri, com’è accaduto a Miss Mcrae. Si nutrono del sangue di innocenti e lamentano di non essere a loro volta morti, poiché l’eternità è un peso eccessivo. Poi decidono che essa è in realtà la miglior fortuna che potessero auspicare, proprio in quanto immondi e senza Dio, e se ne vanno passeggiando a braccetto».
«Essi sospettano di non essere le sole creature… Morte, eppure senzienti, Mr. Patterson?»
Chiede, prudente, facendo delle buone maniere l’unica resistenza alla decomposizione.
«Naturalmente no. Sono esseri egocentrici e ciechi. Si considerano i padroni del cimitero e della città. Per stanotte non torneranno. Ma è per questo che le raccomandavo il silenzio. Preferiamo non sospettino che assistiamo alle loro indegne conversazioni».
«Anche se nessuno ascolterà mai la nostra voce?»
«Proprio così, giovanotto».

Lo studente arriva dopo le tre del mattino. La storia delle guardie al cimitero, ha scoperto, è falsa: riesce a scavalcare il muro di cinta senza essere interrotto. Ha una pala di legno, la getta in una chiazza d’erba umida prima di saltare dall’altra parte. Non fa rumore. Sa dov’è la tomba e inizia a lavorare. Suda. Fa freddo e non se ne accorge. Lo pagheranno bene, deve solo dissotterrare la bara, prelevare il corpo e consegnarlo. Una cosa da niente, i morti sono morti, è dei vivi che c’è da aver paura – si ripete, conficcando colpi sul terriccio, spalando fino a toccare il legno della cassa. Affonda la vanga, di taglio. La cassa si spacca, una crepa scheggia il coperchio e lo percorre in lunghezza. Insiste finché non appaiono i piedi, si china e afferra le caviglie del cadavere. Comincia a sfilarlo, arretrando nel buio. Si ferma, raddrizza la schiena e alza le mani, temendo la comparsa di una guardia, quando calpesta qualcosa alle sue spalle, una lingua di seta azzurra distesa a terra. Il ciglio dell’abito di Lily Mcrae.
Tutto ciò che sa è che dei vivi c’è da aver paura, non dei morti, e scambiando per viva la fanciulla morta, perplessa, abbigliata a festa e profumata di rose, troppo fuori posto per essere reale, lo studente abbandona le sue convinzioni razionaliste e comincia a correre.
«Ah, questi pezzenti, pidocchiosi ladri, profanatori…»
Lily inveisce contro di lui, raccoglie le sue stoffe e accenna a inseguirlo, ma quello ha sentito il fiato del demonio sulla nuca ed è già dall’altra parte del muro. Col suo sacco e la pala di legno.
«Che succede?»
Albert Smith sbuca dal retro di una cappella di famiglia abbottonandosi il panciotto. Anche la gonna di Lily è in disordine: dalla sua prospettiva, mezzo di fuori e mezzo dentro alla cassa, James capisce che doveva esserci un’accezione di passeggiata che né lui né Patterson avevano considerato. Manda un grido che soffoca troppo tardi nelle mani.
Avverte uno strattone ai polpacci.
«È vivo! Presto, aiutami a tirarlo fuori».
Albert Smith scoperchia la sua bara, strappando il coperchio dai chiodi. James rivede la volta celeste, nera e invasa dallo sbigottimento dei due vampiri. Sono restii a toccarlo. Esce da solo dalla fossa, facendo forza sulle braccia e finendo a rotolare di schiena, ridicolo a fronte dei due, stupefatti e sdegnosi. Ugualmente, cerca di darsi un tono spolverandosi gli abiti.
«Signori…»
Albert scherma la giovane dietro di sé, come si conviene tra gentiluomini che proteggono una fanciulla dal pericolo. Avanza di un passo e lei lo segue, aderendo alle sue spalle. Schiarisce la voce.
«Lei è forse… Un abominio?»
«Prego?»
James porta due dita alla fronte, com’è solito fare per aggiustarsi il cappello, ma la sua testa è nuda. Immune al freddo, non lo è alla vergogna di ritrovarsi di notte, fuori casa, senza cappello. Nemmeno Albert lo indossa. Ma lui è un essere corrotto che lo imbocca, brutale:
«Un non morto, un cadavere ambulante».
Solleva il mento, aprendo le braccia a schermare la sua donna. Che, pure più alta di lui, riesce a superarlo e a fissare l’orrore da cui lui la difende. James abbassa gli occhi, sensibile a un’autorità che l’ha soverchiato per nascita, vendendo stoffe alle Lily Mcrae della città. Vede la croce infissa sul tumulo occupato da Patterson, come lui condannato a terminare i suoi giorni per decomposizione. Piccoli aghi d’erba affiorano sopra di lui. Qualcuno gli ha portato dei fiori, ma nel mazzolino restano solo due campanule selvatiche. La terza, un fresco bocciolo, è impigliata tra i riccioli secchi e gonfi di Lily Mcrae.
James, pur morto, capisce che la rabbia è ancora viva e sistema il suo inesistente cappello, preparandosi a reagire:
«Disdicevole epiteto da parte vostra, egualmente estranei alla grazia di Dio».
La giovane, scandalizzata, ritira a sé le gonne, nascondendo il volto come in preda a un improvviso rossore. La vergogna si dimostra un sentimento immortale quanto la sua rabbia.
«Albert! Come si permette? Che ci dica come ha fatto, quale sortilegio per la sopravvivenza nella morte, pur privo del Dono…»
James spinge un passo in avanti, sfidando il vampiro che si erge a difesa di lei. Il cappello immaginario viene calcato sulla sommità della testa.
«Signorina, se anche conoscessi le circostanze del mio stato, non le condividerei con voi».
Albert, rigido nella sua parte, si scompone. Ha tratti regolari, barba e baffi curati e impomatati, una genetica di buone maniere che appare nell’inclinazione del suo accento e nella nitidezza del suo avanzare incontro a James.
«Come osa rivolgersi alla mia signora?»
«Oso, in quanto non siete altro che mostri, parassiti che divorano un brav’uomo per ogni giorno che conquistate su questa terra e lei, signore, è colpevole di aver sottratto la virtù a questa giovane, trascinandola in un destino di tenebre e depravazione».
Lily Mcrae, disperata, si appende alla schiena dell’amato, cercando scampo dalle parole che lo sconosciuto le schiaffeggia in faccia.
«Faccia silenzio! Lei è pazzo, è malato».
Implora, ordina nella pretesa di potere che possiede per nascita, ma James non è un vivo, non ha sangue né possedimenti, nulla che lei possa desiderare. Nemmeno la paura della morte che lei incarna: ha già perduto ogni cosa.
«No, non tacerò. Lily. Lei scioglie lacrime ipocrite sulle tombe di questo cimitero, su noi poveri morti, per esaltare il privilegio dell’immortalità. Entrambi ve ne lamentate sapendo che non c’era altra possibilità per la vostra abiezione se non prosperare nella stessa».
«Come osa parlare in questo modo alla mia signora e a me? Lei è solo un poveretto, cibo per vermi che si tiene a malapena in piedi».
«Albert! Albert, mi offende, come puoi permettere che continui?»
James sradica la croce dal tumulo di Patterson, la impugna a due mani e cerca di brandirla contro i vampiri. Armato del nome del suo più recente amico e della sua storia, incisa a scalpello nelle date di nascita e morte.
«Vi accoppiate come cani nei luoghi sacri, sottraete i fiori che lasciano i nostri cari per compiacervi in specchi che non vi riflettono, essendo voi senz’anima. E osate offendere me, morto di pleurite e risvegliato affinché sentissi il mio corpo disfarsi nel sepolcro! Chiamandomi abominio!»
Albert spinge via Lily, che cade emettendo l’ennesimo grido oltraggiato, ed estrae da sotto la giacca una pistola, esplodendo un colpo singolo contro James. Il proiettile gli perfora la tempia sinistra. Sente il cappello immaginario volare via, ma non l’impatto del suo corpo sul fondo della fossa assegnatagli alla sepoltura. La croce con cui aveva tentato l’assalto viene gettata su di lui insieme al cappello – gli sembra, ma le cose intorno cominciano a sbiadire in nero e le voci si smorzano. Non sente Albert e Lily andarsene. Nemmeno Mr. Patterson che lo chiama, offrendogli un aiuto impossibile.
Lei scende nei suoi occhi. È venuta a prenderlo.
Raccoglierà anche il suo cappello.

A illustrare: Unruly via Pinterest.