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Sabba

Autore
Iago Menichetti
Ciclo #3 - Spaghetti does it better
Erotico
25 febbraio 2021

Quando arrivi a inseguire un uomo fino a un capannone abbandonato, nella periferia più desolata della città, ci sono molte probabilità che l’uomo in questione stia già inseguendo un’altra donna.
Questo è anche il mio caso e lei è una stronza. Quasi quanto me, solo che lei è la stronza di cui lui è perdutamente innamorato mentre io sono la stronza che accetta di fare da terzo incomodo al concerto di una cantante con un nome ancora più stronzo.
«Betta, reggiti, ho un biglietto in più per il concerto di 8eith, stasera al Capannone. Sia chiaro, non accetto un no come risposta.»
« Eit… Wow! Ma come hai fatto… cioè, ma sei certo di volerlo dare a me?»
«Stai scherzando? Io e Alessandra ti vogliamo con noi a tutti i costi. Sarà l’unica data italiana di 8eith, non puoi mancare!»
Mi sembrava impossibile. E infatti lo era.
Non so se sia solo stupidità o masochismo, so però che dovrei smetterla di sottopormi a queste torture, purtroppo il mio corpo non la pensa alla stessa maniera. Dopo tre pullman e trenta minuti di scarpinata, mi ritrovo in mezzo a una torma di nostalgici della New Wave con le Brandit stringate ai piedi e cappottoni neri a coprire delle shirt rigorosamente bianche.
«Ah, sei arrivata finalmente, muoviti che ora inizia!»
Filippo mi viene incontro subito, mentre la stronza manco mi saluta.
«Sì, scusa. Il pullman ha fatto ritardo. Uno dei tre, si intende.»

Il Capannone è un vecchio prefabbricato industriale occupato, dove sempre più di frequente tutti gli alternativi della città si ritrovano per concerti di artisti improponibili e per drogarsi. Soprattutto per drogarsi. Cosa anche abbastanza coerente visto che questa un tempo era una fabbrica di prodotti chimici. Capace che qualche esalazione tossica nell’aria è anche rimasta.
All’entrata ci ferma una ragazza con un maglioncino blu acceso, una mosca bianca in mezzo alla folla, che dopo avere tagliato i biglietti ci dà in omaggio un francobollo nero e un flyer pieno di robe esoteriche: stelle a cinque punte, ascoltare il proprio io, l’influsso delle onde, e altre di quelle stronzate. Al primo angolo me ne libero accartocciandolo in un cestino e sarei tentata di fare lo stesso con il francobollo, quando Filippo mi ferma la mano. No, no, dice scuotendo la testa, «Quello va sulla lingua mia cara. Non fare la verginella che non ti crede nessuno. »

Titubo un po’. Non è il mio primo acido, temo più la sveglia domani e il mal di testa a lavoro. Poi noto Alessandra che si sta lasciando sciogliere in bocca la sua parte, così mi calo la mia maledicendola.

L’interno del Capannone è malamente illuminato da luci avvizzite, con una sala tinta di un bianco asettico, e al centro, sul palco, un piano nero sgarrupato quanto un corvo. Di 8eith ancora neanche l’ombra, anche se la folla di tipi alternativi qualunque si è già assiepata tutt’intorno, segno che deve mancare poco all’inizio.
Filippo controlla da lontano la fila per le bevute, prima di mettere mano al portafogli e girarsi verso di me.
«Che volete? Offro io» 
«Non lo so, fanno qualcosa che non sia un Moscow Mule qui?»
«Forse, vado a chiedere. A te che prendo?»
Alessandra ordina una birra senz’anima, poi lo ringrazia con un bacio a stampo, l’esibizionista.
Vorrei dirgli che lo accompagno, ma credo suonerebbe fuori luogo. Così lo osservo dileguarsi in lontananza e resto a fare compagnia alla stronza.
«Mi dispiace ti sia dovuta fare tutto quella traversata col pullman. Se ce lo dicevi potevamo passarti a prendere noi.»
Ammazzati. Non c’era bisogno tu ti degnassi di rivolgermi parola, vivevo bene anche senza.
«Tranquilla, nessun problema. È stato un po’ difficile capire quali prendere, però alla fine con Maps si arriva dovunque. »
Non sembra minimamente interessata alla mia risposta, sta con la testa bassa a cincischiare con quel suo maglioncino lilla aperto sulle spalle.
«Siete amici da tanto?»
«Scusa!?»
Che domanda del cazzo!
«Nel senso… mi chiedevo se vi eravate fatti tanti concerti… questo è il primo da quando stiamo insieme. Sono un po’ agitata. Non so perché ma temo di fare qualche cazzata.»
Per fortuna lui ci interrompe sfoggiando una birra in una mano e un Moscow Mule nell’altra.
«Sorry, facevano solo questo per davvero.»
«E te pareva.»
Mi serve il cocktail poi fa per allungare la birra ad Alessandra ma, prima che lei possa agguantarla, la sorprende con un bacio. Lei sorride e ricambia con una carezza affettuosa sulla guancia. Sembrano tanto carini insieme.
Come vorrei che lei sparisse.

Si spengono le luci.
La folla intorno al palco comincia a rumoreggiare. Lei è Arrivata.
Una serie di candele disposte su file parallele traccia il sentiero percorso da una donna dal volto esangue, incorniciato da un caschetto di capelli corvini. Cammina lenta, trasportata dal fisico esile, nascosto da un vestito quasi incorporeo, tagliato sopra le ginocchia. Ogni passo è accompagnato dallo sbattere delle perline che porta legate alle caviglie sottili.
8eith si siede al piano. Il pubblico applaude quando con dita d’avorio accarezza i tasti. Lei si volta per ricambiare la calorosa accoglienza con lo sguardo. Sento scorrermi addosso quelle due pupille verde pallido, come fossero concentrate su me e su me soltanto.
Con un colpo della testa fa schioccare nell’aria i capelli in tanti colpi di frusta, così attacca una melodia ipnotica dall’andamento ricorsivo. Le note acute riecheggiano nell’aria con sacralità rituale, mentre la luce di un riflettore illumina 8eith trasformandola in una sacerdotessa di qualche assurda divinità pagana.     
Sudo freddo. L’acido che comincia a fare effetto; sbando, Filippo mi sorregge. 
«Tutto ok?»
«Sì… scusa, cerco un attimo il bagno.»
Non vorrei lasciarlo in compagnia della stronza, ma temo di vomitare da un secondo all’altro. Mi allontano dalla calca. 8eith comincia a cantare di momenti di vetro e atmosfere tattili. Ho come l’impressione che i versi della canzone mi brillino intorno, nel buio, come le luci che si vedono quando si premono le dita sulle palpebre. Non so come, ma riesco ad arrivare in fondo alla stanza. Siedo a terra, con la schiena appoggiata al muro. Ho un litro di saliva in bocca; sfilo di dosso il giubbotto mentre sento la pelle andare a fuoco.
Doveva essere roba forte, non mi ero mai sentita così male prima.
Il Moscow Mule si rivela utile almeno per tamponare la fronte. Vedo una mano tesa davanti le mie ginocchia. Deve essere Filippo che è venuto a cercarmi. La afferro, provo a tirarmi su anche se le gambe reggono a stento, alzo la testa per ringraziarlo ma di fronte mi si para un volto vuoto. Nessuna espressione. Né occhi, naso, bocca, lineamenti: una lastra di carne nuda. 
Lascio subito la presa. Finisco a terra senza che le gambe riescano a opporsi. Lancio un urlo.
La voce di 8eith  continua a spandersi nell’etere cullata da note sempre più gravi. È una melodia che scorre tra le persone radunate nella stanza bianca. I loro visi sono spogli, identici a quello dell’essere che mi aveva teso la mano prima. Immobili mi osservano senz’occhi, come tanti alberi privi di fogliame.
Provo a chiedere aiuto ma non ho parole. Dalla mia bocca escono acuti incomprensibili che si incastonano nella melodia in cui tutti ora naufraghiamo.
Tento ancora e ancora senza riuscire a fare altro che aggiungere qualche ulteriore nota alla composizione. Con gli occhi cerco Filippo o Alessandra, ma nulla, sono spariti, forse mescolati al resto di quella folla senza volto. Così piango, perché non mi resta altro e credo di morire; piango, con le ginocchia strette al petto; piango e mi maledico per aver accettato di venire a quel concerto.
Per essergli andata dietro un’altra volta.

Rumore leggero di perline.
Lo sento venire verso di me. 8eith è scesa dal palco e si avvicina. 
Non è più seduta al piano, eppure la musica non smette di suonare, interrotta solo dallo sciabordio delle perline. Alzo gli occhi ed è come se riuscissi a toccare quelle gambe di velluto, mentre il vestito, ora quasi invisibile, lascia trasparire un seno soffice, come disegnato per riempire la coppa di un calice. Nel volto brillano, rubizze, labbra di un rosso irreale per appartenere a una carnagione così pallida.
8eith mi si inginocchia di fronte. Con dita assetate scivola sulle mie guance così da raccogliere una lacrima e portarsela alla bocca sulla punta dell’indice. Prima lo lecca, poi lo succhia, ingorda, saziandosene compiaciuta.
È l’acido, penso, non sta succedendo davvero.
«Chiedilo ancora.»
La voce di 8eith non è di questo mondo. Mi risuona dentro, quasi il mio corpo fosse la sua cassa armonica.
«Desideralo. Chiedimi di farla sparire, posso farlo. Prenderò solo una piccola cosa in cambio.»
L’indice di 8eith, con ancora la sua saliva sopra, scende lungo il mio corpo, mi entra sotto la maglia e sale fino al seno per disegnare un cerchio intorno al capezzolo. La sento, con l’altra mano infilarsi dentro la gonna, quella nera di jeans, che avevo messo perché una volta Filippo aveva detto che mi stava bene; 8eith la schiude, insieme alla mie gambe, e le sue dita penetrano nelle calze finché l’indice culmina sul clitoride.
«Dimmi che lo vuoi.»
Faccio appena in tempo a sentire il suo sussurro all’orecchio, poi un calore corroborante si irradia dal basso in tutto il mio corpo. Muovo il pube avanti e indietro per averne ancora e lei mi soddisfa riempiendomi la fica con due dita. Chiudo gli occhi. Ogni dolore scompare e mi bagno mentre immagino Filippo guardarmi negli occhi mentre viene dentro di me confessando di essere mio, mio e di nessun altra. 
Continuo a dimenarmi, su e giù, apro la bocca per urlare che sì, lo voglio, voglio che la smetta di scoparsi quella puttana e che si accorga di me, ma dalla bocca non escono parole, piuttosto uno stridio assordante, distorto, storpio, mostruoso.
Le vengo nelle mani.

Quando riapro gli occhi sono fuori, sul retro del Capannone, stesa tra un cassonetto e una chiazza di vomito odor Moscow Mule. Nella bocca, un sapore di schifo e rammarico. Il primo riflesso è quello di portarsi la mano in basso per controllare. Mi tocco l’inguine: mutande asciutte, nessun bruciore o segno particolare.
Giuro che questo è l’ultimo francobollo che mi calo. Comincio ad avere un’età e c’è un numero ragionevole di volte in cui una persona si dovrebbe fare schifo. Ingoio a forza la saliva. La situazione nel mio stomaco è quella di Cobain a 27 anni, e credo anche le aspettative di vita siano le stesse. Dal locale sento provenire ancora la musica, ne deduco che il concerto non sia finito. Meglio tornare dentro e far cenno agli altri che sono ancora viva.
Mi rimetto in piedi alla meglio e sistemo la gonna, cercando di strofinare via le macchie di vomito. Le calze non sono strappate ma credo le butterò via comunque, per evitare di doverle disinfettare col lanciafiamme. Rientro dalla porta posteriore.
8eith è seduta al suo piano. Suonare le giova, sembra quasi ringiovanita dall’inizio del concerto. Stavolta canta di errori della pelle e di eclissi, su una melodia perfetta per augurare il buongiorno a un vampiro. Probabilmente l’ultima traccia.
Ho sempre l’impressione mi fissi, ma dev’essere un residuo del trip, perché stavolta tutti intorno sono tornati ad avere le loro facce e si godono il concerto normalmente: c’è chi limona, chi controlla il telefono, chi sbevazza eppure, per quanto possa cercare, non riesco a trovare Filippo e nemmeno Alessandra.
Faccio un ultimo giro, quindi decido di uscire di nuovo per provare a chiamare, visto che dentro non prende, così supero la tipa col maglioncino blu e imbocco l’entrata principale.

Davanti a me, di fronte al Capannone, due infermieri stanno caricando Alessandra su un’ambulanza.
È pallida come un lenzuolo, col volto coperto da una maschera per l’aria.
Lui non mi vede, sta parlando col buttafuori. È sconvolto: borbotta che non pensava potesse succedere nulla, che gli aveva detto che si era già calata roba simile senza avere avuto problemi, che non era la prima volta e che ci aveva bevuto sopra solo una birra. Ha paura.
A un certo punto si gira, forse mi ha intravisto con la coda dell’occhio. Mi corre incontro e mi abbraccia. Non riesce a contenere le lacrime. Mi stringe a sé senza dire nulla.
Con lui stretto a me, osservo l’ambulanza partire con le sirene spiegate.
Desidero di sparire insieme a tutto questo mondo, al mio corpo, alla mia fica.
Stavolta, però, nessuno mi ascolta.


Illustrazione di Anders Rokkum