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Sleepover party’s

Autore
Arnon Grunberg
Ciclo #18 - Tre allegri spaghetti morti
Narrativa generale
13 giugno 2024

Mi chiamo Jochanan Farrell. Ho ventisei anni ma ne dimostro tredici e alcuni sostengono che sembro ancora più giovane, diciamo un bambino di dieci. Sono bloccato su una sedia a rotelle, ma con un po’ di aiuto riesco ad aggrapparmi al tavolo e a rimanere in piedi per mezzo minuto. Ho braccia forti, io. Secondo gli esperti, soffro di un handicap sia mentale che fisico (in realtà ho solo un lieve handicap mentale!). Però non vado a scuola da un sacco di tempo. I miei genitori si sono separati a causa del mio handicap, sia mentale che fisico. Mio padre proprio non ne poteva più.
Ho una sorella maggiore che è del tutto sana, ha tre anni più di me e vive a Washington D.C. È una maestra d’asilo e ha deciso di non fare figli perché teme che i geni cattivi siano nel DNA della famiglia. Ciò significa che teme di avere un figlio come me, che sarà un buono a nulla. Sospetto che con questo intenda un bambino fisicamente e mentalmente handicappato e che non abbia il coraggio di dirlo davanti a me. Però io non sono poi così handicappato mentalmente! Insisto a dire che non lo sono!
Comunque, non è divertente avere un figlio che è un fallimento. Posso capirlo, dai.
Sono nato a Baltimora e i miei genitori si sono separati quando avevo due anni. Mio padre si è trasferito a San Diego, dove ha conosciuto una nuova donna con cui ha avuto altri due figli. Sono entrambi sani. Insomma, a quanto pare sono l’unico marcio della famiglia. Secondo i medici, sarei dovuto morire molto tempo fa, ma visto lo stato attuale della scienza, probabilmente possono tenermi in vita fino a quarant’anni.
All’inizio vivevo con mia madre nella piccola città di Troy, nello Stato di New York, e d’estate lavoravo nella fattoria di Jim. Aiutavo a raccogliere la frutta. Era difficile, perché, insomma, sono su una sedia a rotelle, ma nelle giornate migliori, come ho già detto, riesco a tenermi aggrappato a un tavolo per più di mezzo minuto. Raccoglievo per lo più la frutta che stava sui rami bassi.
Quando compii dodici anni, Padre Skilling iniziò a prendersi cura di me perché mia madre ebbe un esaurimento nervoso e dovette ricoverarsi in ospedale, mia sorella andò a stare da un’amica e io ero destinato a un istituto, allora Skilling disse: «Posso occuparmi io di lui».
Padre Skilling vive da solo in una casa buia che puzza di cavolfiore. Tre volte a settimana una governante viene a riordinare, perché non ce la fa a fare tutto da solo. Mi ha spiegato che Dio ha uno scopo per ogni cosa e che quindi c’è uno scopo anche dietro la mia disabilità.
Poi Skilling un giorno mi ha chiesto: «Posso farti ridere?»
Nessuno mi aveva mai proposto una cosa del genere prima. Certo, avevo visto la gente ridere, ma io non avevo mai riso, per quanto mi ricordi. Allora feci un cenno col capo per annuire, dandogli il permesso di farmi ridere. Mia madre e mia sorella mi capiscono molto bene, gli estranei invece non riescono finché non ripeto le cose per tre volte. Per questo annuii. Padre Skilling mi fece sdraiare sul suo letto e cominciò a spogliarmi.
Io chiesi: «Cosa sta facendo, Padre Skilling?»
Fu lui a non capire le mie parole. Quando mi agito perché la gente non mi capisce, sputo e basta, quindi preferisco non agitarmi. Il fatto è che ho scoperto solo dopo molto tempo cos’era quel solletico che mi faceva Padre Skilling.
Da quel primo pigiama party, sono andato almeno tre volte alla settimana a trovare Skilling, perché a mia madre piaceva. Lui mi chiedeva sempre: «Vuoi che ti faccia il solletico?»
Se gli dicevo di sì, poi mi dava una limonata.
Skilling non parlava più molto di Dio, ma continuava a dire che era Lui a dirgli di farmi il solletico, anche se poi mi confessò che avrebbe preferito qualcuno che fosse più bello e più sano di me, ma che era difficile perché “era tenuto d’occhio”. Cosa volesse dire con questo non lo so, ma mia madre si stava riprendendo dall’esaurimento nervoso quindi non volevo turbarla con quelle domande.
Mia madre era grata che Padre Skilling facesse così tanto per me e spesso diceva: «Se non ci fosse lui!»
Quando compii quattordici anni, lei mi parlò di un uomo ricco che amava molto i bambini, soprattutto quelli malati. Mi disse che aveva scritto una lettera a quell’uomo chiedendogli di tirarmi su di morale perché lei non ci riusciva e, per completezza, devo dire che a quel tempo provò con dei sonniferi a farla finita.
Sto scrivendo questo testo con l’aiuto della mia fisioterapista, la signorina Rita, che dice che dovrei includere anche questo dettaglio, cioè che mia madre non ha colpa per essersi sdraiata nella vasca da bagno con tutti quei sonniferi.
Aveva anche scritto una lettera in cui diceva a Skilling di prendersi cura di me, se la sua schiena glielo avesse permesso, e che altrimenti avrebbe dovuto affidarmi alle mani di Dio. O a qualche suora, se necessario. In qualsiasi caso, non li prese i sonniferi, uscì dalla vasca e scrisse la lettera al tizio ricco. L’uomo ricco le rispose che voleva tirarmi su di morale e che tirarmi su di morale era l’inizio di ogni guarigione. Mia madre disse che faceva musica, ma poiché sono quasi completamente sordo da qualche anno, non ne capisco niente. Riesco a leggere le labbra abbastanza bene, ma spesso le persone dimenticano di guardare dalla mia parte e allora le cose vanno a puttane.
Per il mio quindicesimo compleanno mi fu permesso di andare dal tizio ricco. Prima in aereo, poi in un altro aereo e poi in macchina. Viveva in un parco e mia madre diceva che rallegrava i bambini malati. Che lo faceva perché era un benefattore come pochi. Mi misero su una sedia a rotelle in una stanza piena di giocattoli, ma quella volta rimasi seduto perché, come sapete, ho problemi a controllare i muscoli.
Skilling non era contento che andassi dal ricco signore.
Mi disse: «I ricchi sono persone cattive».
Dopo aver aspettato a lungo nella stanza piena di giocattoli entrò qualcuno. All’inizio pensai che fosse un altro bambino malato che aveva bisogno di essere tirato su di morale come me. Mi ero già visto allo specchio, ma questo sembrava ancora più malato di me, anche se non era su una sedia a rotelle. Poi cominciò a parlare e venne fuori che il bambino malato era l’uomo ricco e che il suo nome era Mr. Jackson, ma non mi era permesso chiamarlo così, dovevo chiamarlo Peter Pan e anche lui mi faceva ridere, ma in modo molto diverso da Padre Skilling. Dormivamo insieme in un letto, che era molto accogliente. Molto diverso da padre Skilling, perché lui diceva sempre: “Dopo il solletico, alzati dal letto. L’ozio è la radice di tutti i mali”.
Quando tornai, padre Skilling mi chiese se ero stato nel letto del Mr. Jackson e, quando feci cenno di sì, disse che Mr. Jackson era il diavolo. Spiegai che in realtà si chiamava Peter Pan, ma Padre Skilling ancora una volta non riuscì a capirmi.
Cominciò a imprecare con violenza e disse: «Dopo tutto quello che ho fatto per te, mi sei così infedele. Vergognati. Che ragazzino marcio che sei».
Poi mi diede un forte schiaffo sull’orecchio. E poi un altro. E poi un altro. E poi un altro ancora. Skilling non riusciva a smettere di colpirmi.
Andai da Peter Pan qualche altra volta, ogni tanto mi sbagliavo e lo chiamavo Mr. Jackson. Peter Pan disse che amava tutti i bambini malati, ma me di più, perché ero il bambino più malato che conoscesse. Una volta mi salì in grembo, una cosa che fece un po’ male, poi mi abbracciò e cominciò a piangere. Peter Pan pianse per almeno un’ora e io non sapevo cosa dire, ho solo pensato: forse essere il bambino più malato che Peter Pan conosca dovrebbe rendermi orgoglioso, perché secondo Padre Skilling ci sono molti bambini malati nel mondo e anche Cristo era un bambino malato che amava farsi fare il solletico. Un sacco.
Prima di andarmene, Peter Pan mi ha detto di tornare presto. Skilling volle di nuovo una cronaca dettagliata di quello che era successo, ma siccome mi spiegavo male si arrabbiò e cominciò a urlare: «Se quel pervertito ti tocca di nuovo, lo uccido. È sempre così con quei negri».
Poi mi mostrò le sue natiche. Me le aveva già fatte vedere. Quella volta le schiacciò contro la mia bocca. Erano sporche di merda e Padre Skilling disse che quella era la punizione per le persone come me che erano mentalmente e fisicamente disabili e che giocavano con gli sporchi negri. Io risposi che Mr. Jackson si chiamava Peter Pan e non era uno sporco negro ma un bambino malato come Cristo, ma il prete Skilling, di nuovo, non mi capì.
Dovetti mangiare la merda che aveva tra le natiche. In realtà non era quella la parte peggiore, la parte peggiore erano i peli che crescevano tra le sue natiche e ai quali si attaccavano tutte le altre schifezze. Sarò anche mentalmente e fisicamente disabile, ma non mi piacciono i peli nel mio cibo.
Sulle natiche del prete Skilling c’erano centinaia di brufoli. Anch’io ho delle macchie rosse sulle natiche, ma è perché sono sempre seduto. Skilling era in grado di camminare, quindi Dio solo sa perché aveva un eritema da pannolino.
Una volta mangiato tutto quello che c’era tra le natiche di Skilling, lui ha ricominciato a lamentarsi che avrebbe voluto qualcosa di più sano e di più bello di me, non qualcosa che marcisse su una sedia a rotelle, ma che non poteva farlo perché l’FBI lo teneva d’occhio e non poteva più farsi vedere in nessuna piscina. Disse anche che ero talmente disabile che all’FBI non importava comunque di me.
Ogni anno mi era permesso di andare da Peter Pan. Quando tornavo Skilling era sempre più sconvolto e io dovevo mangiare tutto quello che c’era tra le sue natiche. Peter Pan disse che aveva rinunciato ai bambini, ma che aveva fatto un’eccezione per me perché ero troppo malato. Aveva un letto grande, un letto molto bello. Con un sacco di cuscini.
Skilling diceva sempre: «Se quel negro ti tocca ancora, lo faccio a pezzi». 
Secondo la governante di Skilling, ha problemi a dormire per il mal di schiena e per questo non sopporta i negri. Cosa c’entrino esattamente i negri con il mal di schiena di Padre Skilling non lo so, ma c’è qualcosa che non capisco. La signorina Rita dice che, allo stato attuale della scienza, possono tenermi in vita fino a quarant’anni. Lo dice praticamente ogni giorno. 
In realtà, spero che non ci voglia così tanto.

Traduzione dall’olandese all’inglese e dall’inglese all’italiano di Deborah D’Addetta.

A illustrare: dipinto di Ekaterina Popova.