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Ora so perché gli stupri

Autore
Tommaso Di Martino
A scelta dello chef
Narrativa generale
10 novembre 2023

Ci sono giornate come questa.

Non è una giornata particolare né una ricorrenza, è una come tante. Però pesa. Con il passare degli anni l’Assenza si è rafforzata e ha acquisito una presenza fisica, ma si mostra solo di spalle. Anche quando viene a letto.
È silenziosa, tanto silenziosa, fottutamente silenziosa – è muta, cazzo; perciò ho rinunciato a farle domande, ma ogni tanto le parlo, anche se non sono sicuro che voglia sentirmi. Eppure so per certo che una volta mi ha dato retta – un giorno in cui le mie parole, fino a poco prima morte contro una parete di roccia, all’improvviso riecheggiarono come se avessero trovato una crepa in cui incanalarsi – e la chioma che mi stava davanti prese a ondeggiare, facendomi illudere che sarei riuscito a guardarla ancora una volta negli occhi. Quegli occhi li cerco dietro ogni paio di occhiali sul viso di donne dai capelli lisci. Qualcuno potrebbe rassicurarmi dicendo che prima o poi riuscirò a liberarmi da questo riflesso condizionato, ma non accadrà perché non l’ho confidato a nessuno. A parte la chiacchierata dell’altra sera con Boris, resto in superficie. A galla. Anche se pesa. E quando si fa più insostenibile, se qualcuno o qualcosa non ti aiuta sono cazzi. Io ho preferito affidarmi a qualcosa, usando due travi già collaudate per puntellare la distanza tra me e l’Assenza: ho scelto pornografia e cocaina.

All’inizio bastava il porno ma tre mesi fa mi piacque l’idea di farmi due strisce e poi uscire a puttane. Peccato che poi mi fermai alle due strisce, e mi fermo tuttora… no, cazzata, sono già molto oltre le due strisce. Le mie serate le passo così, svuotando palle e conto in banca. Ormai le chiamo con affetto le mie serate alla pornocaina. E in giornate come questa, quando ti svegli e realizzi che sei rimasto a secco, non puoi far altro che decidere di andare a prendere un caffè al bar di Lilli.

Incontrare Lilli per caso mentre vagabondavo in una birreria in cerca di Boris è stato emozionante, perché non la vedevo da dieci anni ed era cambiata parecchio, tanto che non la riconobbi nemmeno quando, passandole accanto per la seconda volta, mi chiamò. Sulla mia faccia doveva esserci un’espressione molto eloquente perché lei dovette dirmi “Sono Lilli” per togliermi dall’imbarazzo. Aveva i capelli cortissimi e almeno quaranta chili in più, ma quel sinistro luccichio in fondo alle sue pupille c’era sempre. Uscimmo a fumarci una sigaretta e a raccontarcela un po’, poi ognuno ritornò alla propria compagnia. L’indomani, googolando l’indirizzo sul biglietto da visita che mi aveva lasciato, appurai che il bar che gestiva insieme al suo nuovo compagno stava poco distante dal mio TattooLab. Due passi a piedi.  La sera non avevo appuntamenti, così chiusi prima e andai a farmi un aperitivo. Ma in giornate come questa ho bisogno di un caffè, doppio e con doppio zucchero. Rigorosamente bianco.
Come metto piede nel bar, l’aroma del caffè mi conduce al bancone.
– Ma buongiorno, – fa Lilli preparando un cappuccio che una ragazza mai vista prende e porta a un tavolo.
– Ciao Lilli, come va?
– Bene, e tu?
– Ieri stavo meglio, – specifico io. – Massimo non c’è?
– No, per fortuna oggi e domani starà fuori dai piedi, – fa lei con un sorrisino soddisfatto. – Grazie a dio anche quest’anno è arrivato il Comics e ci va con i suoi amici cosplayer.
– E lei ti dà una mano col bar? – Dico riferendomi alla ragazza, che dopo aver portato il cappuccino ritorna al bancone con un paio di tazzine sporche.
– Già, almeno per questi due giorni io e Mada faremo coppia fissa, poi chissà; gli affari girano bene e un aiuto fisso non mi dispiacerebbe.
– Mada? Ho capito bene? Che nome è?
– È
rumeno, – interviene la diretta interessata. – È il diminutivo di Madalina. Mi chiamano tutti Mada.
– Be’, almeno non ti chiamano Lina, – commento.
– Belli questi piercing dietro il collo, – dice sfiorandone le punte d’acciaio con le dita. – Ne ho uno anch’io.
– Non voglio sapere dove, – ribatto sorridendole, e notando per la prima volta una cosa alla quale stento a credere.
– Tanto non te l’avrei detto, – replica lei scuotendo la testa in enne dinieghi.
Stento davvero a credere a ciò che ho visto.
– Cosa ti portiamo? – Chiede la ragazza.
– Un caffè, doppio, e con doppio zucchero rigorosamente bianco.
Mada risponde accigliando un punto interrogativo, Lilli no.
– Lucio lo servo io, è un vecchio amico. Piuttosto, inforna un po’ di cornetti vuoti per favore, eppoi ci sarebbero quei pomodori da affettare. Non sottili, mi raccomando, così il sandwich una volta chiuso nella pellicola sembrerà pieno all’inverosimile.
– Psicologia di mercato, – commento con ironia.
– Tu ci scherzi ma è così.
– Io un sandwich lo finisco in quattro morsi, – fa Mada.
– E io in tre, – dico con l’enfasi da rilancio in un’asta al ribasso, facendola sorridere. Le ridono anche gli occhi e ora ne sono certo, sono proprio di due colori. A meno che non stia portando lenti colorate. Il dubbio è legittimo.

Ma hai gli occhi di due colori?
– Sì, dalla nascita, e in pratica da questo non ci vedo per niente, – dice indicando l’occhio destro, nero come la tormalina, mentre il colore del sinistro ricorda quello dell’ambra.
– Allora, caffè! – Taglia corto Lilli piazzando una manata sul banco e subito dopo un piattino in attesa della propria tazzina.
Getto uno sguardo a Madalina mentre si china a prendere i cornetti nel congelatore prima di sparire in cucina.
– Caruccia, – faccio a Lilli. – E sembra simpatica.
– Lo è; sia caruccia che simpatica. È la figlia più piccola della mia vicina di casa. Ha mollato la scuola e le serviva un lavoretto, e a me un aiuto, quindi mi sono detta perché no, proviamo. Oggi è il suo primo giorno, ma sembra sveglia.
– Sembra anche a me.
– Il signore è servito, – dice Lilli posando sul piattino una tazzina di caffè fumante.
– Lo sai che non lo bevo amaro.
– Già, scusami, ho dimenticato il cucchiaino, – e così dicendo ne sistema uno sulla tazzina, insieme a due piccole palline che un occhio distratto identificherebbe come due scontrini appallottolati.
Faccio quel che devo: raccolgo le palline e le serro nel pugno, poi mi gusto il caffè.
– Buono. E già che ci sono ne approfitto per saldarti il sospeso.
– Ok, – fa Lilli, prendendo un piccolo quaderno rosso e
fingendo di addizionare consumazioni mai pagate. – Sono trecento euro giusti giusti.
Do ciò che devo, poi la ringrazio.
– Salutami Massimo, – dico sull’uscio, mentre mi accendo la sigaretta e dalla cucina esce Madalina, che alza la mano in un arrivederci.

Torno verso casa soppesando i due grammi di coca che ho in tasca. Un gesto rassicurante, ma inutile, anche perché una volta a casa userò il mio vecchio bilancino – uno di quelli a bracci, non di quelli digitali che oggi vanno per la maggiore.
Scarto gli scontrini che le avvolgono e metto sul piatto quelle due perle racchiuse in un doppio strato di pellicola. Un po’ meno di due grammi, ma va bene così; la coca di Lilli non è la solita merda che trovi in giro, tagliata con l’anfe se va bene, no no, questa è roba che i suoi parenti venezuelani le spediscono dal Sudamerica. La spesa la vale tutta.
Squilla il telefono. È Boris. Non ho voglia di rispondere. Che pensi pure che sto ancora ronfando, tanto lo sa che oggi lo studio è chiuso. Per quel tatuaggio che vuole farsi lo richiamerò, mi dico, e mi accorgo che c’è una notifica. Una richiesta di amicizia. Con sorpresa leggo il nome Mada Lee. Riconosco il viso. Mi domando se Lilli l’abbia aiutata a trovarmi sui social, così come se questa richiesta voglio accettarla. Dopo aver ripensato ai suoi occhi la mia memoria fotografica torna sul suo bel culo. Piccolo ma ben disegnato, e invitante, nel suo solco valorizzato da jeans stretchati.

Accendo il laptop. Accedo al mio profilo. Accendo anche il fornello della cucina e lo metto al minimo. Prendo un piatto pulito e ve lo adagio sopra per qualche secondo, con una presina lo tiro via, chiudo il gas e lo porto sul tavolo. Estraggo la tessera sanitaria dal mio portafogli e comincio a polverizzare una di quelle palline di coca.
Il beep di una notifica prova a distrarmi ma sono impegnato a farmi una bella striscia… È Mada, che mi ringrazia per aver accettato la sua richiesta e chiude con un “Wow non sapevo che sei un tatuatore!” seguito da un cuore, nero come il suo occhio destro e come i miei inchiostri. Le rispondo con un pollice su, poi chiudo la chat e apro PopPorn. Scorro la home con le anteprime dei video, selezionati e proposti in base alle mie ultime visualizzazioni. Il cliente si deve fidelizzare. Però oggi non mi va di buttarmi sul sesso di gruppo né di vedere stupri, veri o simulati che siano. Scrollo ancora, e poi ancora, passo anche alla pagina successiva ma niente cattura la mia attenzione. Decido di affidarmi al menu che in un click si espande in tutte le sue categorie. Come sempre, quando mi trovo davanti a un qualsiasi menu, prendo tempo, anche se ne conosco le voci a memoria, anche se stavolta ho le idee più chiare. Mi accendo una sigaretta, poi clicco su Teen.

Dietro il fumo del tabacco compare l’Assenza, muta e di spalle come sempre.
– Hai qualche preferenza? – Butto lì, e decido di salutare la sua apparizione con una seconda striscia.
– Nessuna in particolare? Ok, scelgo io, – dico spostando la testa dal piatto allo schermo del PC.
Scelgo io mi fa ripensare con nostalgia alle serate in cui nessuno aveva idea di cosa guardare e passava anche un’ora prima di decidere che film avremo visto.
– Ero felice quando mi dicevi che ti era piaciuto il film che avevo scelto, – dico all’Assenza. – E mi dispiaceva se non ti era piaciuto, ma non per motivi di ego…
Mi interrompo, sento che devo scegliere bene le parole.
– Volevo che i nostri occhi, insieme, vedessero solo il bello.
Nessuna risposta.
Soffio il fumo della sigaretta sull’Assenza e alcune sue ciocche si spostano, lasciando intravedere una piccola porzione del collo là dove scende lieve sulla spalla, e torno a scrollare la pagina finché tra le anteprime che la popolano intravedo una rossa con gli occhiali e i capelli lisci. Parte il video ma non sembra un granché; così sbircio i video correlati, ché a volte l’algoritmo funziona e fa proposte interessanti. Infatti ne trovo più d’una. Bastano pochi secondi di anteprima che sto già ad accarezzarmelo. Lancio un video.

La tipa ha un culo piccolo ma ben disegnato, che ricorda quello di Mada. Ho un fremito. Rallento il ritmo. Per un po’ chiudo gli occhi.
Quando li riapro la faccia della rossa è in primo piano. È davvero brava; mi ricorda qualcuno.
Usa la lingua proprio come la usavo io.
L’Assenza mi sussurra queste parole all’orecchio e l’erezione sfuma in un nulla di fatto. Mi è accanto, di spalle come sempre, anche se non mi ero reso conto che si fosse avvicinata così.
Ora so perché scelgo gli stupri, – commento io chiudendomi la patta.
Preparo una striscia di consolazione. Tiro e quando torno su l’Assenza mi sta di fronte, dalla parte opposta del tavolo.
Apro la cronologia e la scorro fino a che non leggo stupro di gruppo tra i titoli delle pagine visitate. Richiamandola, potrei dare un’occhiata ai video correlati – è questa la mia idea. Ma un’idea ne evoca un’altra, perché il pensiero non lo arresti: forse coca e porno non li ho scelti per puntellare la distanza tra me e l’Assenza, ma perché sono una brutta persona. In fondo lo so che
da quando ho lasciato Yuko non me fotte più un cazzo di essere un uomo migliore.

Lo penso con lucida convinzione, quando dal cortile di un condominio vicino arriva il suono di un pallone che rimbalza tra le voci accalorate di ragazzini; qualcuno urla “facciamo una tedesca!” e io ne riassaporo tutto il gusto amaro da scena d’altri tempi.
Non mi ricordo dove, ma recentemente ho letto che il tempo devi fartelo amico, o qualcosa del genere… Forse non ha tutti i torti, e per iniziare nel migliore dei modi potrei (o dovrei?) offrigli una striscia.


Ad illustrare: Bar di Jev55 (su Flickr: https://flic.kr/p/NEw4BP), nonché E. Hopper, Nighthawks (particolare)