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Quartetto Alchemico – La discrezione

Autore
Giulio Iovine
Quartetto Alchemico
Narrativa Generale
10 febbraio 2022

per Enrico F.

Ma voi ci pensate che quando c’è il terremoto i cimiteri diventano maracas sotterranee?
Arianna

* * *

Conosco Enrico da meno anni della maggior parte dei suoi amici, ma sono l’unico che lui voglia a vegliare sul suo sonno.
Non è una questione di affetto, stima o confidenza. Non sono il primo in nessuna delle sue liste. Si tratta solo di essere la persona giusta per quel particolare compito che è stare svegli, e stare in camera con lui, mentre lui dorme. E io lo sono per due ragioni. Tanto per cominciare non siamo amici: liberi da confidenza o intimità, non dobbiamo discutere di nulla che riguardi quelle notti e quei sonni. Enrico, che non ama il contatto con le altre persone (tantomeno parlarci) si sente più a suo agio se sa che non è obbligato a raccontarmi nulla. In secondo luogo, sono anni che soffro d’insonnia, per cui non rischio di addormentarmi sul più bello.
Durante i viaggi di Enrico lui dorme, ma io devo stare ben sveglio.
Enrico viaggia almeno tre notti a settimana. Si addormenta di regola poco prima della mezzanotte. Il nostro accordo tra gentiluomini stabilisce che posso passare la serata dove meglio credo, ma quando ha bisogno di me sono tenuto a trascorrere la notte da lui. Dato che quasi mai sa dirmi in tempo utile se una notte viaggerà o meno, cerco di evitare impegni dopo le undici di sera, per essere pronto a fare la sacca e andare a casa sua in qualunque momento.
Quando mi convoca, mi presento non più tardi delle undici. Enrico vive nell’attico di un condominio in un quartiere pieno di giardini; dalle sue finestre si vede un parco di cui non riconosco i confini, con un lago in mezzo e nugoli di papere a mollo o che svolazzano tra i cedri. Dalla porta di casa sua entri subito nel salotto. Il parquet a spina di pesce sul pavimento, i muri, i divani e buona parte del mobilio sono in diverse tonalità di blu e azzurro, con disegni geometrici e stampe alle pareti dove riconosci i triangoli impossibili di Penrose, le foreste notturne di Magritte, i belvederi di Escher e le sue scale insensate, o i suoi paesaggi grigi, pieni di silenzio. Enrico mi lascia guardare per qualche minuto – va molto fiero di come ha arredato casa sua – ma il tempo stringe. Scambio con lui pochi e brevi convenevoli, recupero la sacca con la mia roba, entro in bagno, e ne esco meno di mezz’ora dopo in pigiama con lo spazzolino tra i denti e il phon acceso sui capelli.
A quell’ora di solito Enrico è già a letto, immerso nel sonno alchemico. Nella camera gli scaffali arrivano fino al soffitto, e sono pieni di libri che non ho il permesso di toccare. Il letto di Enrico, due piazze e mezzo e piumone azzurro oceano, sta in un angolo della stanza, davanti alla porta finestra che dà sul balcone; il mio, un lettino a una piazza con un tavolo accanto che mi serve da comodino, scrittoio, nonché tavola se mi prende la fame di mezzanotte, è dal lato opposto. Ci separa un mare di moquette a colori freddi.
Come da programma, prima di coricarmi controllo che Enrico stia bene. Di solito giace supino, la testa ricciuta e nera sul cuscino, un braccio fuori e uno dentro le coperte. Ad un certo punto smette di respirare, comincia a sudare, diventa pallido e freddo e spalanca due orrendi occhi senza pupilla. È il segnale per me di spegnere le luci: comincia la nostra notte.
Non ci vuole molto perché nelle tenebre escano fuori gli Spettri. Sono bianchi e hanno un corpo diafano, vitreo. Volteggiano nella stanza come petali di rosa, ma presi da una sorta di delicata malevolenza nelle loro giravolte. Vengono, ovviamente, per Enrico, approfittando della prima parte del suo sonno alchemico, quando è vulnerabile.
Ho letto su un’enciclopedia che certi metalloidi come l’arsenico o l’antimonio hanno effetti tossici sull’organismo perché interferiscono con il metabolismo delle cellule, inibendo più di duecento enzimi diversi. La mia funzione in questa camera da letto è più o meno la stessa, solo che io non inibisco il metabolismo di Enrico, ma quello degli Spettri. Per farlo devo appunto essere sveglio, insomma cosciente: se dormissi, la protezione che offro sarebbe molto più debole. Credo che ciò abbia a che fare con la mia diversa natura quantica, nel senso che io sono stato concepito e vivo nel Mondo, Enrico e le altre creature sono invece abitanti dell’Antimondo; ma Enrico non mi dice niente in proposito se non quello su cui è impossibile non convenire, quindi non lo so di preciso. Fatto sta che gli Spettri volteggiano, sibilano, roteano, magari mi guardano pure (con che occhi non lo so), ma non c’è niente da fare per loro. Enrico prosegue tranquillo il suo coma finché il suo corpo astrale, uscito dalla bocca spalancata, si innalza sopra di lui nella stanza.
È il momento in cui la notte intorno a noi, intorno al condominio, intorno all’intero quartiere diventa giorno. Il corpo astrale di Enrico somiglia ad un lenzuolo di luce, molto lungo e dagli orli tremolanti, come se fosse fatto di acqua. Se uno ci guarda attraverso gli vengono in mente cascate di latte, magari latte di mandorle a giudicare dall’odore, o l’acquetta delle mozzarelle. La porta finestra si apre e il corpo astrale ne esce, con gli Spettri che gli si fanno incontro, per poi dileguarsi. Finché il corpo astrale non tornerà, rimarrò da solo nel buio della stanza con il cadavere di Enrico sepolto nelle sue coperte azzurre. Cosa faccia Enrico in queste notti di viaggio non lo so. So solo che la città gli appartiene. Molti dei miei conoscenti hanno paura di lui.

Mentre è fuori, ammazzo il tempo in qualunque modo mi venga in mente. Come dicevo soffro d’insonnia e di dormire non c’è verso – d’altronde nemmeno potrei. Di solito mangio, perché a guardare il corpo astrale di Enrico mi viene fame. Ci sono molti ristoranti che consegnano di notte in questo quartiere e mi diverto a provarne uno diverso ogni volta. Altrimenti studio, ché la mia tesi di dottorato non si scrive da sola – o finisco un articolo per una rivista, o correggo bozze. Riesco sempre a mettere da parte un po’ di tempo per leggere – ne ho approfittato per finire tutto Franzen, non so come ho fatto a vivere senza – o per vedere qualche serie su Netflix. Può succedere che Enrico passi nel quartiere durante le sue peregrinazioni, e allora vedo alla finestra questa luce radente, orrenda, che come un lampo mi fa vedere il parco, i confini degli alberi e i muri delle case. Ma poi, niente.
E poi ogni tanto, l’imprevisto. La settimana scorsa uno Spettro è entrato, da solo, in camera. Enrico era lontano, ma quando gira per la città i confini tra Mondo e Antimondo sono viscidi come placente, e molti Spettri sconfinano. Io non viaggio nell’Antimondo e dunque sono un oggetto privo di interesse per chi ci abita: nessuno Spettro vorrebbe mangiarmi, come cercano di fare con Enrico, ma sono comunque creature molto curiose. Lo Spettro si è avvicinato al mio letto, inondandolo di luce e d’un fruscio di seta. Non aveva occhi, ma sentivo che mi stava guardando. È rimasto immobile, irretito dalla mia presenza. Ho messo in pausa il film horror che avevo sul mio laptop perché sentivo che stava per succedere qualcosa. E infatti lo Spettro mi fa: «Ci pensi che quando c’è il terremoto i cimiteri diventano maracas sotterranee?»
Mi è rimasta impressa la sua voce: secca, rugosa.
Ho deglutito, inghiottendo l’onigiri. Senza dar segno di paura ho risposto:
«Non credo che i cadaveri facciano in tempo a decomporsi nelle bare. Li levano prima.»
Ma lo Spettro si era già dileguato alla terza parola. Peccato, perché raramente ho la risposta così pronta.
Poco prima dell’alba Enrico ritorna, un torrente di fumo e fulmini, un ciclone di vapori incandescenti, la sua immagine che ha preso corpo in un titano di pura energia. La porta finestra si apre da sola, devo chiudere gli occhi per la troppa luce e comincia pure a fare molto, troppo caldo. Poi torna tutto normale, il buio si fa strada nella camera, riapro gli occhi giusto in tempo per vedere Enrico assottigliarsi, farsi bianco e sereno, ritornare nella bocca del corpo fisico che ha lasciato a letto, e pian pianino rianimarlo da quel sonno mortale. È lì che, di nuovo, è vulnerabile – qualche Spettro prova a seguirlo per tormentarlo – ma ci sono io in stanza, quindi niente, l’Antimondo non può saziarsi. Mi alzo e controllo Enrico: da freddo torna caldo, il cuore ricomincia a battere, ricompare la pupilla negli occhi che finalmente si chiudono al sonno. Esce dal coma alchemico che il sole è già spuntato, ed entro un’ora o due si sveglierà.
Di solito mi trova in casa, già in cucina che faccio colazione con due sfogliatelle e un caffè presi al bar sotto casa. Ci salutiamo a malapena, mi ringrazia della veglia, comincia a fare colazione anche lui con i suoi biscotti. Non gli chiedo com’è andata o come sta, non mi informo sui dettagli del suo viaggio. Sono mattine molto silenziose. Ho la sensazione che se aprissi bocca per un secondo più del necessario gli darei fastidio. Di solito mi lascia l’assegno sulla sua scrivania, io lo intasco, gli firmo la ricevuta – siamo fiscalmente responsabili –, ci stringiamo la mano e me ne vado in università a lavorare. Non faccio in tempo a sedermi alla scrivania che i colleghi si accalcano nel solito capannello per strapparmi una confidenza, un’impressione. Ma io non ho talento per il pettegolezzo, e ho troppo l’abitudine a farmi i fatti miei per dare loro autentica soddisfazione.
«Io non ho capito se lo fai perché ti costringe, tipo che ti ricatta, o perché ti ha reso schiavo con un incantesimo.»
«Non è un mago e non mi ricatta, Liprandi. Mi paga. Vuoi vedere le fatture?»
«Ma mentre fai la doccia ti spia dal buco della serratura? O cerca di entrare in doccia con te?»
«Morlacchi, ma che stai dicendo.»
«Ma se hai già uno stipendio, perché hai bisogno di soldi?»
«Ma se stai con Sandra, perché vai a letto con Carla?»
Morini, arrossendo per l’imbarazzo, se n’è andato senza rispondermi, seguito a ruota dagli altri colleghi che fischiettavano, tossivano o ridacchiavano.
Lo so, sono stato poco delicato, ma quando è troppo è troppo.


This remarkable, sometimes incoherent transcript illustrates a phantasmagoria of fear, terror, grief, exaltation and finally breakdown.

A illustrare l’episodio Dream Idyll (A Valkyrie), di Robert Hughes