Categories

Lettrici sensibili

Autore
Giulio Iovine
Ciclo #15 - Spaghetty Scorretty
Narrativa generale
20 luglio 2023

Una verità universalmente riconosciuta nell’ambiente delle riviste letterarie italiane è che non verrai mai pagato, né se le gestisci, né se ci pubblichi. Chi ci lavora lo fa su base volontaria, e invii i tuoi scritti per ottenere visibilità.
Questo difetto di sistema fa parte di un ordine di problemi più grande, cioè che in Italia non si vive di arte o di letteratura, perché quel poco che i nostri compatrioti si degnano di versare nelle tasse viene perlopiù investito in elicotteri per guerre a cui neanche ci fanno partecipare, o in gargantueschi stabilimenti fuori città dove vai a vedere i culi delle cameriere, costruiti per riciclare i soldi di Farinetti. Per questa verità universalmente riconosciuta nessuno si scandalizza più, ma resta presente nelle coscienze dei membri di questa fantasmatica litweb, per fare talvolta capolino nelle conversazioni più stizzite.
Ed è per questo che si parla così tanto di ‘Lillibullero’, la rivista mia e dell’amico Emilio, che paga i contributori cinquecento euro a cartella, e dà da vivere a me e lui.
I soldi da qualche parte devono venire, ma nessuno ha ancora capito da dove. La rivista è online, bimestrale, gratuita. Io sono laureato in lettere – un lettore accanito da quand’ero ragazzino – ed Emilio in scienze delle comunicazione, ha fatto il copywriter per la Ferrari, anni fa. Abbiamo insomma la fortuna di saper distinguere la merda dalla cioccolata, e il livello dei lavori che pubblichiamo è sempre alto. Non abbiamo fisime di genere – va bene tutto, purché funzioni – e siamo aperti tanto a racconti tradizionali, ma d’ispirazione genuina, quanto alla sperimentazione più audace, purché fatta con il minimo sindacale di consapevolezza (merce rara, di questi tempi).
Ma quindi, come facciamo a fare tutti questi quattrini? Salvo la camorra, sono state tirate fuori tutte le spiegazioni possibili. Noi, serafici, rispondiamo a ogni domanda allo stesso modo: quando si crede veramente che la bellezza – e specialmente la bella letteratura – salverà il mondo, quando ci si butta dentro tutto quello che si ha, allora i mezzi per farcela saltano fuori. È una questione di fede.
– Bernardo?
– Sì, Emilio?
– Berna’, qui con tutta la fede del mondo mi sa che ci fai poco. Le foto di questo Ezio sono una merda. Lui è una merda. Gli ci vorrebbero sei anni di palestra, prima di poter uscire di casa.
– Fammi sistemare quello prima e ci pensiamo, Emi’.
– Vabbè.
Ezio è un problema. Non in generale, poveretto, ma per me e per il mio collega sì. È il quinto racconto che ci manda, ed è pure bravo. Ha una voce ben distinguibile, un giro di argomenti preferiti da cui però non è incapace di staccarsi quando gli salta il ticchio, è rilevante senza essere trendy: insomma, non mi stupirei se in capo a qualche anno riuscisse a esordire con le major – Marcos y Marcos, direi, visti i suoi temi, ma anche minimum fax. Al momento è ancora uno scrittore dilettante come ce ne sono tantissimi; fa l’insegnante precario in un tecnico di Porretta Terme e non vedrebbe l’ora di far su due lire grazie a noialtri, per cui continua a mandarci roba buona che noi, siccome è un cesso, scartiamo. Ma io sono stufo di veder pubblicare quello che manda a noi su ‘Altri animali’, ‘Spore’, ‘Malgrado le mosche’ o ‘Enne2’, insomma la crème de la crème delle riviste online italiane. Nella mia rivista uno che scrive come Ezio ce lo voglio. Quindi stavolta lo prendiamo. Certo, resta il problema di cui sopra, ma una cosa per volta. Intanto devo sistemare le foto di Nando.
Nando sì, che è guardabile. Nando lo metti in vetrina volentieri. Scrive benino e fa molti addominali da molto tempo. A quattrini è messo ancora peggio di Ezio, o almeno così ci ha scritto – una mail toccante, ormai due anni fa, piena di sogni infranti e affitti da pagare. Con Nando abbiamo già chiarito da tempo che certe cosucce si possono fare anche senza dirglielo prima, purché si rimanga sul discreto. Con Photoshop gli cambio un po’ i connotati, gli allargo i pettorali, gli metto i capelli biondi – lui si rapa a zero perché li perde – e inserisco il racconto di Ezio, dopo i soliti tre cicli di editing, sul numero di oggi della rivista, assieme alle foto truccate di Nando.
Il racconto lo potete leggere gratis: basta andare sui nostri social. Le foto, bè. Per quelle è necessario un abbonamento particolare.
– Fatto il misfatto? – mi chiede Emilio qualche ora dopo, controllando il nostro sito.
– Sì. Foto di Nando, racconto di Ezio.
– Le hai truccate bene. Non sembra la stessa persona.
– Oggi con Photoshop fai veramente di tutto.
– Comunque Ezio scrive proprio bene, sai Berna’? Prima ero perplesso, ma ora che mi rileggo Aurore tradite
– Sì?
– Cazzo, è bravo proprio Ezio.
– Eh.
– C’è quell’anticchia di Cortázar, perché è assurdo, però anche quel distacco atroce, mi spiego? Mutis, Márquez. Borges no.
– No, con Borges proprio non c’entra. Ma sì, è fissato coi sudamericani, ce lo diceva nella bio. Non mi sembra strano che sia finito a imitarli.
– Ma non li imita, li riscrive. E pure bene.
– Eh. Capisci che a ’na certa uno si rompe le scatole di dirgli di no.
– Eh sì. Mi tocca darti ragione.
Poi si schiarisce la gola.
– Ridendo e scherzando, abbiamo una richiesta per Ezio.
– …di già?
– Eh. Un appuntamento. Domani pomeriggio. Te lo smazzi tu?
– Per forza. Bisogna brieffare Nando prima. Chi è lei?
– La Sonia.
– Amore dello zio, lei. Conferma pure l’appuntamento, solito posto. Io contatto Nando.

Il giorno dopo, mi reco con Nando sul luogo dell’appuntamento, un condominio che sorge in riva al mare in un paesino dove vent’anni fa qualcuno ha pensato di ricostruire tutto, per poi ripensarci dopo tutti i pizzi che gli hanno chiesto. Lascia in eredità il predetto condominio, malinconico come un gigante in attesa che i suoi compagni tornino a riprenderlo dopo essere salpati un millennio fa. Nando ha gli occhiali scuri, un cappello a falda larga, e siede basso sul sedile del passeggero; io guido con flemma, il braccio sinistro fuori dal finestrino. Eh, bisogna godersi questo marzo ventoso e tiepido, col clima di adesso fra un mese qui non si respirerà più.
La mia apparente arroganza cela un’amarezza che mi porto dietro da tutta la vita: il fatto che la gente – con poche eccezioni, tipo me – ami scopare più di quanto ami leggere. Non è colpa loro, sono fatti così – è una cosa dei neuroni, quando vedi un genitale ti parte una scarica più intensa di quando leggi Kafka. Per questo sistema vecchio di milioni di anni noi europei facciamo le guerre, picchiamo le persone, stronchiamo le economie africane e mostriamo il culo nudo a quelle asiatiche. Credete che avremmo il collasso climatico, se fossimo lettori un po’ più entusiasti?
E tuttavia la lettura fa bene, e bisogna combattere per essa, senza scrupoli e senza pregiudizi.
– Com’è questa Sonia? – chiede Nando scendendo dalla macchina. Il cortile del condominio è deserto. Soffia il vento. Sentiamo il rombo del mare.
– È un’idealista.
– Parla molto?
– Non hai idea. Ma in queste circostanze si vergogna. Credo ti lascerà in pace.
Nando annuisce.
– Hai letto il racconto di Ezio? – gli chiedo.
– Certo. Il titolo è un po’ idiota, ma lui scrive molto bene.
– Ha insistito per Aurore tradite. Non ho potuto evitarlo.
– Oh, è il suo pezzo. Alla fine decide lui.
– Mi raccomando, dille che ti sei rasato e stai attento a non farti colare via il trucco. Deve pensare che sei lui.
– Tranquillo. Ma se poi sul sito vede le mie foto sotto il mio profilo?
– Non può, le abbiamo oscurate per lei.
Attendiamo in silenzio nell’androne del condominio; quando arriva qualcuno ed entra nell’ascensore, fingiamo di chiacchierare del più e del meno, tipo la posizione dell’edificio, il costo degli appartamenti. Un bel momento ecco spuntare Sonia, in foulard e occhiali neri. Basta un’occhiata, mi riconosce; entra nell’ascensore, sale al quinto piano. La seguiamo dopo cinque minuti. È già entrata nell’appartamento, di cui – in quanto abbonata premium a ‘Lillibullero’ – ha diritto a una copia delle chiavi. Brava signora, molto discreta, ben messa a soldi.
Entriamo nell’appartamento anche noi. Ci attende, muta, nell’anticamera. Si è tolta il foulard e gli occhiali: è una delle nostre abbonate più strane – tutto sommato bellina e anche giovane, non avrà più di trentacinque anni, quando di solito le nostre clienti più affezionate sono signore obese, in là con gli anni, con dentature oscene, strabiche o gobbe. E però, come anticipato a Nando, Sonia è un’idealista.
Nel silenzio, la mia voce è roca:
– Ezio, questa è Sonia. Sonia, Ezio, autore di Aurore tradite. Due ore a partire da adesso. Niente informazioni personali, nessuna violazione del consenso. Io sono qua in giro. Se avete bisogno, in due minuti sarò alla porta.
Nando intanto si sta già spogliando, perché, come fa notare con un sorriso malandrino:
– Saltiamo i preliminari, che tu sei già fradicia.
Sonia gli guarda l’arnese e deglutisce. Io sono già uscito, discreto come un serpente.

Mentre passeggio in riva al mare, finendo il sigaro, rifletto su quella statistica che lessi tanto tempo fa, prima di fondare ‘Lillibullero’. In Italia leggono solo le donne. Scrivono, anche, ma il sistema è maschio–friendly, quindi se sei un’autrice devi faticare per farti notare. O almeno, questa è la spiegazione che danno di solito. Io ritengo invece che gli autori uomini saltino più all’occhio solo perché i lettori sono perlopiù donne (o uomini gay). La domanda crea l’offerta, non il contrario. Un dettaglio ulteriore, che le statistiche non dicono ma che noi maschietti impariamo alle medie, è che la donna che legge non cerca alcunché di diverso da quella che non legge: ma lo vuole impacchettato diversamente. Quindi alle nostre lettrici più affezionate offriamo non solo la migliore letteratura contemporanea in lingua italiana ma, per una cifretta ragionevole, anche un ulteriore giro di giostra.
Dite quello che vi pare: la mia rivista paga i contributori, dà da vivere a me e al mio collega, ospita le migliori penne del nostro tempo e rende felici tante passere turbate.
(O culi.)
Se non che, a sigaro ormai finito, mi chiama Nando sul cellulare.
– Berni, c’è un problema. La signora Sonia piange.
– In che senso?
– Eh, in che senso. Sta qui a sciogliersi in lacrime.
– Aspetta che vengo.
Mi accoglie nell’anticamera dell’appartamento, con un panno attorno ai fianchi.
– Lo stavamo facendo ed è scoppiata a piangere all’improvviso. Le ho chiesto se le avevo fatto male. Mi ha detto che non è colpa mia. Si è chiusa in bagno e non vuole uscirne.
– Ok. Ci penso io.
– Ma va tutto bene, Bern? Io non…
– Tranquillo. Te l’ho detto che è un’idealista. Non è colpa tua.
Mi siedo accanto alla porta del bagno. Non è chiusa a chiave. Busso e la socchiudo.
– Chi è?
– Sono io, Sonia.
– Bernardo!
E scoppia a piangere di nuovo.
– Sonia, mi vuoi dire qual è il problema? Nan… Ezio si è preoccupato. E anche io sono preoccupato, sai.
– È tutto così futile – singhiozza lei – così senza senso, Bernardo. Pagare uomini per scopare! Ti sembra? Come sono caduta in basso.
– In realtà paghi la rivista, che ti organizza l’incontro con un autore – preciso io dolcemente. – Non è la stessa cosa che se prenotassi un gigolò.
(Lo è, ma Sonia è un’idealista. Giochiamocela con l’ideale.)
– A me comincia a sembrare la stessa cosa. Il fallimento, ecco cosa mi sembra. La fine di tutti i miei sogni. Ho lottato tutta la vita per trovare un affetto vero, un amore profondo, la condivisione. Non c’è, mi è negato.
– Ma benedetta ragazza, che discorsi fai. Hai i quattrini, quindi puoi incontrare i tuoi autori preferiti. Da quel che mi hai raccontato, sei sposata con un uomo di buon cuore e che ti vuol bene – a cui tu stessa vuoi bene, tra l’altro. Hai tempo per leggere, mioddio – il tempo più prezioso del mondo. Mi devi spiegare qual è il problema, perché non lo capisco.
(L’ho capito benissimo, ma le fa bene parlare.)
– Io voglio bene a mio marito. Ma è come tutti i miei fidanzati prima di lui, come tutti gli uomini che mi fanno compagnia. Crede che Jane Austen sia un’autrice per ragazze, legge il calendario Pirelli, non capisce mai come sto e se un suo amico non è felice, risponde che deve scopare. Io leggo per passione, lui mi fa patpat sulla testa e dice ai suoi amici che sono cose da femmine. Mi regala abiti rosa. A me fa schifo il rosa! Sono tutti così, cazzo. Tutti. Dai tempi dell’università. Dal liceo!
– Noi maschietti siamo un po’ tutti uguali, questo devo ammetterlo. Ma sono sicuro che attorno a te ci sarà qualche uomo in grado di ascoltarti, o di condividere le tue passioni.
– Hai voglia, certo. Coi froci mi trovo da dio. Però non mi scopano. E mi regalano comunque abiti rosa. Rosa, cristoddio. ‘Così siamo gemellini’, mi dicono. Gli darei fuoco.
E scoppia nuovamente a piangere.
– Sonia.
– Scusa, scusa, Bernardo. Non so cosa mi sia preso. Non riesco a smettere. Tutto quello che sono, che ho imparato, che rappresento, tutto quello che in me non è mangiare, dormire, cacare e fottere, tutto quello che costituisce Sonia, per i maschi della mia vita non significa assolutamente nulla. È solo un gioco per bambine, una cosa con cui farmi sfogare. Ma io che devo fare, Bernardo? Che deve fare una donna per essere compresa e rispettata? Perché non ci sono alternative a questo maschio qui?
– Sonia, se anche ci fossero, tu non le vorresti.
Silenzio. Sonia ha il singhiozzo.
– Scusa?
È venuto il momento dell’aneddoto.
– Da ragazzino portavo sempre il motorino di mio padre dal meccanico sotto casa. Il meccanico era un signore corpulento e godereccio, collezionava calendari con donne nude. Riteneva di essere un maestro di vita, e spesso mi regalava preziosi minuti di dottrina.
– Solo minuti?
– Sì, più di così non lo avrei sopportato, puzzava come una capra morta. Ma ricorderò per tutta la vita una cosa che mi disse quando venni a lamentarmi che non capivo cosa passasse per la testa della mia morosina di allora.
– E cosa disse?
– La topa vuole l’uccello.
Silenzio.
– Non vuole altro – continuo – Mi disse così. E io da quel giorno conosco il meccanismo del mondo.
– Non è vero – grida Sonia – Non solo quello. Io voglio di più. Voglio migliorare me stessa, crescere, allargare i miei orizzonti.
– Tutte le lettrici dicono di volere questo. Ma le lettrici sono donne, cara Sonia. Se gratti la crosta intellettuale, c’è la minchia. O la passera, se sono lelle. È tutta una questione di cosa usi per incartare la minchia, se la cultura, il cibo, lo sport, a meno che – come alcune coraggiose fanno – non ostenti la tua voglia di minchia nuda, senza superfetazioni. Però gira gira si torna sempre qui. La letteratura è bellissima, ma voi lettrici volete anche scoparvi gli autori boni.
Sonia piange.
– Sognate di poterli amare, che vi amino, che condividano le vostre passioni. In realtà vi attizzano perché scrivono bene – e voi siete sensibili alla bella scrittura – e perché sono boni – la minchia, di nuovo. È tutto molto semplice. E io ci campo.
Sonia scarta qualcosa. Non vedo bene dalla fessura della porta – medicine?
– No. Non è vero. Non è vero, io voglio più di questo.
– Sonia, se vuoi scopare, ci sono i maschietti che ruttano. Se vuoi parlare di libri, ci sono i froci o le amiche femmine. In rari casi, trovi me che per qualche ora ti faccio sentire come se avessi trovato il tuo uomo ideale.
Sonia inghiotte tre pasticche di qualcosa. Passano un paio di poco confortevoli minuti di silenzio. Poi la sento singhiozzare.
– Sonia…?
– Sono un cigno.
– Sonia…?
– Sono un cigno bianco. Lohengrin. Io riporterò nel mondo la purezza. Il candore.
– Sonia, cos’hai preso…?
Un tonfo mi avvisa che è cascata sul pavimento. Apro la porta del bagno. Grazie al cielo era già seduta, quindi cadendo non si è fatta male. Ha ingoiato tre Tavor, effetto fulminante. È nuda, a gambe aperte e la schiena inarcata. Le esce dalla bocca una bava biancastra, e mormora, gli occhi rivoltati:
– Sono un cigno… un cigno bianco…
– E invece sei una troia, come tutte le altre. Dormi, Sonia.
La sollevo tra le braccia e delicatamente la poso sul divano.
– Nando, precedimi in macchina. La portiamo al pronto soccorso. La rivista non deve morire.


A illustrare: Immagine presa dal web