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Scena 11 – Est. Notte

Autore
Alessia Del Freo
Ciclo #2 - La vibrazione di un corpo
Narrativa generale
17 dicembre 2020

Forse era stato il rumore delle onde sulla parete di roccia, perché Emma non aveva sentito nessuno arrivare e di colpo si trovò davanti Théo, il cappotto beige impeccabile, l’aria saccente di chi è abituato a essere filmato.
«Ciao, vengo a controllare che tu abbia occupato la casa nel modo giusto.»
Erano le due di notte e se Emma non dormiva era solo per il fuso orario. Aveva sfatto lo zaino che da due anni conteneva ormai le stesse cose; poi era andata alla finestra e aveva bevuto una tisana che veniva dall’altro capo del mondo.
«Che ci fa questa roba?»
Théo passò in rassegna l’infinità di monete diverse sparse sul letto. La polvere di pietruzze e rocce bucherellate aveva sporcato le coperte nuove. Tra biglietti di viaggio accartocciati e scoloriti spiccavano dei moschettoni e una provetta.
«Questa qui sarà la casa di un personaggio raffinato. E le ambientazioni risentono di chi le vive nella realtà, Cristo. Non si può mettere una colonna sonora su tutto,» si buttò all’indietro sul materasso, facendo volare le cianfrusaglie «Come farò a recitare qui?»

Quando erano in viaggio attraverso la brughiera, Théo li aveva obbligati a fermare l’auto e farlo scendere.
Aveva urlato e poi vomitato.
Lei era rimasta in macchina con Elliott.
«Sono i nervi,» le aveva spiegato lo scozzese «Ha avuto crisi assai peggiori. Tuo zio ti ha raccontato di quando voleva a tutti i costi Alexandre Desplat anche se era completamente fuori budget?»
Théo, nonostante la comune cittadinanza statunitense, aveva fatto di tutto per ignorare Emma e non solo perché trovava illegittimo dare un passaggio a qualcuno estraneo al set: lui era cresciuto nel Connecticut, ma era nato a Parigi, aveva studiato a New York mentre lei veniva da qualche città sconosciuta del Midwest. E dopo due anni con lo zaino in spalle si sarebbe accomodata, solo ed esclusivamente grazie allo zio produttore, nella casetta sulla scogliera che era parte del film – una produzione internazionale pensata per valorizzare le origini di Théo e proiettarlo verso gli Oscar.
«Pensava che bastasse la sua presenza per convincerlo. Ma è vero che ci tiene molto. La sceneggiatura se l’è scritta da solo, tutta. Credo sia molto personale.»
Emma osservò la sua figura stagliata contro il paesaggio umido e arancio vivo; il vetro già si cristallizzava per il freddo.
Elliott doveva scattare delle foto lungo il cammino, mancava ancora qualche location e Théo sembrava molto adirato al riguardo. Si erano fermati altre due volte, e lui non era più sceso di macchina.
«Puoi fare delle foto anche tu, eh» aveva detto a Emma «Non è questo che fai, su Instagram?»
Ma non aveva scattato alcuna foto, nemmeno tirato fuori il telefono.

Emma poggiò la tazza sul davanzale e cercò in qualche modo di rispondere alla sua provocazione: «Alla cena avevo capito che era il cibo dell’hotel a crearti problemi d’interpretazione.»
Théo rimase disteso sul letto qualche secondo, poi si alzò sui gomiti senza guardarla.
«Ho lo stomaco delicato. In ogni caso, mi riferivo ad altro. È quell’attrice… quella Charlotte-sono-tutta-io. Non c’è assolutamente intesa. Le ho proposto un aperitivo prima di cena, ma niente. Si è fatta giusto riportare a casa, tanto per mantenere un po’ di decoro. E ci credo. Ha passato la cena a fare gli occhioni al regista, e ogni volta che era distratta da tuo zio lui le ha riempito il bicchiere. Come faccio a recitare se non c’è, dico, se non c’è assolutamente intesa? Poi vengo qui e trovo un altro disastro.»
E lanciòun’occhiata di sbieco alle cose rovesciate sul letto.
«E la tua strategia per cercare dell’intesa sarebbe provarci?»
Emma non si era mossa dalla parete di legno accanto alla finestra. Le ante erano ancora aperte, ancora piene di onde.
«Non metterla così. Ti assicuro che si sentono tutte lusingate. E con te come posso fare perché questa spazzatura scompaia?» fece per indicare le cose rovesciate, ma la torsione del gomito sul materasso molle lo fece avvicinare più del dovuto, fino a toccare la provetta ingiallita che spiccava solitaria.
Emma si precipitò verso il letto e agguantò alla rinfusa qualche pietra e tutti i biglietti dei viaggi, tornando poi alla sua postazione alla finestra. Nel tragitto qualche angolo di carta svolazzò a terra.
«Sono cose a cui tengo ancora.»
Lo guardò accigliata.
«Dai, scommetto che lo sai benissimo che in realtà ti stimo per la vita che hai scelto di fare. Ma non perché sei una che è andata oltre ai suoi limiti e bla bla bla» Théo allora si alzò e con i pugni sul giro vita osservò dall’alto gli oggetti sparsi sul letto. Raccolse una matita con una piuma dai colori sgargianti, che fino a quel momento doveva esser rimasta sotto a un biglietto.
«Andarsene in giro per il mondo, poi clic facile, post online…. No, in verità non so come funzionano queste cose. Ma posso dirti che essere filmati è un’altra storia… evolvi lì dentro. Non importa quanto sia tutto finto. Sei pur sempre nel mondo reale. E tutto si muove.».
Si era avvicinato lento, costringendola a guardarlo negli occhi; poi prese a tracciare la circonferenza della tazza sul davanzale, lasciandovi scorrere la matita: «Senti le onde come si muovono. Se ti dicessi che sono io?»

La casa l’aveva mandata a costruire Théo, così come l’aveva immaginata mentre scriveva la sceneggiatura. Di legno, su una scogliera, a due piani; blu profondo col tetto bianco, come le onde.
Ed era stato lui a volere che qualcuno ci vivesse per un po’, prima delle riprese. Aveva bisogno di renderla vera, autentica; vissuta. La sua ennesima richiesta era stata esaudita quando Emma aveva chiamato lo zio per farsi sistemare da qualche parte per un po’.
«Sono così felice che tu sia qui» l’aveva abbracciata l’uomo appena arrivata al porto, mentre Théo si allontanava con Elliott senza salutare né voltarsi «Se poi ti piace questo mondo puoi lavorare con me. Anche noi viaggiamo tanto, bambina.»
Aveva accettato l’invito alla cena con la produzione solo per riconoscenza, e perché c’era Elliott con cui si era trovata bene. Durante la traversata in traghetto le aveva raccontato altri aneddoti su Théo – mentre lui era rinchiuso in cabina – poi qualche storia sulle Orcadi, e la trama del film.
«Dicono che queste cose dei poteri vanno di moda. Soprattutto nelle serie TV. Io non ne so niente, non le guardo mica… mi limito a cercare i posti dove filmarle.»
Le isole cominciavano a delinearsi all’orizzonte.
«Ma Alexandre Desplat ha detto di sì dopo aver letto la sceneggiatura.»

Quel pomeriggio, con Elliott, era andata a vedere le riprese. Da lontano sull’erba scura e umida di una vallata priva di echi, si sentiva la battuta di Théo ripetersi all’infinito sul mare. Avevano già provato la scena decine di volte (Théo avrebbe dovuto cambiare la sua propensione verso Charlotte) e quando si accorse della presenza di Emma incalzò il monologo con rinnovato vigore finché non irruppe un suono sordo: la parete d’una falesia poco più in là franò in acqua, e i getti arrivarono fin sopra di loro.
Mentre il regista incredulo prese a gridare – questa la teniamo! – e la troupe si assicurava che non ci fossero danni alle attrezzature, Théo rivolse lo sguardo a Emma e la vide vicino al ciglio, bagnata d’onde.

Théo era tornato a sedersi sul letto. Passò in rassegna le monete, erano di diversi colori e dimensioni, alcune incise di caratteri indecifrabili.
«Tuo zio dice che hai smesso di fare foto.» Con la mano sinistra spingeva impercettibilmente la matita piumata lungo la sua coscia, quasi nascondendola tra il cappotto e il materasso. «Su quest’isola c’è un posto con delle pietre, una specie di Stonehenge meno conosciuto. Ci vorrei tornare a breve. Le location che ha trovato Elliott mi hanno scocciato.»
Eppure era venuto con la sua macchina e quando Emma gli propose di recarsi subito al menhir, si tradì: «Non so se Elliott sarebbe felice a infangare tutta la macchina, ci si arriva da una strada sterrata» ma poi s’alzò in piedi, non volendo apparire vigliacco, e fece rimbalzare le chiavi nella mano: «Però se domani passa a prendere Mademoiselle Charlotte potrebbe essere un’ottima idea.»
A rompere il silenzio durante il breve viaggio erano solo le imprecazioni di Théo contro l’auto, a prova di quanto poco fosse abituato a guidarne una. Emma guardava fuori, a debita distanza dal finestrino per evitare capocciate, e si compiaceva di essere riuscita a metterlo in difficoltà con quella passeggiata notturna.
Lasciarono la macchina a fianco di una bassa recinzione, già si vedevano le sagome delle pietre più avanti contro l’acqua brillante di un lago.
Théo proseguiva rapido, senza guardarla, con la luce del cellulare che puntava a terra.
«Gliel’ho detto a tuo zio, la prima volta che mi ha parlato di te. Che secondo me hai bisogno di esplorare gli spazi in modo diverso.»
«E che ne sai tu di cosa ho bisogno?» Emma procedeva più indietro, rilassata, godendosi la luce delle stelle.
«Dopo un incidente come il tuo, un’isola farebbe bene a chiunque. E poi non sottovalutare la mia empatia, anche se con Charlotte delle mie brame non sta andando come si deve.»
Adesso si distinguevano chiaramente le lunghe ombre che un esile spicchio di luna creava dentro e fuori il cerchio.
«Sai quanti ruoli ho già interpretato?»
Théo si voltò e solo allora si accorse che Emma era rimasta ferma, con l’aria crucciata.
«Se sono qui è perché non vorrei sentirne parlare.» disse lei, e gli passò accanto tirandogli una spallata, diretta sotto le pietre. Lui si tastò le ampie tasche del cappotto, assicurandosi che la matita fosse ancora lì.
«Charlotte si è lamentata con tuo zio. Gli ha detto qualcosa tipo… fammi ricordare… che sono scontroso?» lo fece suonare a mo’ di domanda, come se fosse ovvio il contrario «Pensi lo stesso?»
Emma era intenta a percorre la superficie di un monolite, non rispose finché il suo sguardo non ne toccò la punta: «Perché me lo racconti?»
«Adesso vuoi fare tu la scontrosa con me?»
Théo si girò di scatto, dando le spalle alla pietra, mentre lei passava in esame un altro blocco.
«Non so perché ti sono venuta dietro.»
«Allora, pensi che sia scontroso o no?»
«Sì, lo sei» risposte ma senza dargliela vinta: continuava a dimostrare più interesse verso la forma scolpita delle pietre «Ma non so perchè te l’abbiano detto e non mi piace quando mi chiedono―»
«È che ogni tanto mi prende così, come quando eravamo in viaggio per venire qua con Elliott.» Théo fece qualche passo a testa bassa, calciando via dei sassi. Si ritrovò quasi al centro del cerchio. «Oppure mi viene la febbre bella alta, pensa che mi ha toccato quaranta.»
«Ma come mai?»
«Perchè è successo che una volta sono dovuto stare due giorni a letto e ho ritardato tutte le riprese e le ho fatto saltare un cavolo di casting che per lei era importantissimo.»
Théo era giunto al centro e la sua ombra collegava quelle delle pietre opposte: una lunga sagoma nera che tagliava in due il circolo.
Emma era rimasta nascosta sul lato esterno.
«Intendevo perché ti succede. Comunque non devi dirmelo per forza… immagino sarà un problema di nervi.»
«Ah no, no, è la catarsi.»
Lei mugolò qualcosa, ma rimase dietro la pietra.
«Sì, mi succede quando mi immedesimo in un personaggio. E questa volta è peggio che mai perché questa sceneggiatura che ho scritto è… cioè, è più personale delle altre. Ma questi sono proprio belli» improvvisamente tornò a considerare le pietre «Devo chiamare Alexandre subito. Deve farci un pezzo su questi sassi, dovrà essere il più bello di tutta la colonna sonora. Cavolo, forse devo riscrivere una scena» e si tastò di nuovo le tasche del cappotto appurando la presenza della matita «Ci vorrebbero delle foto adesso, maledetto Elliott. Magari con il cellulare…» e lo tirò fuori puntandolo davanti a sé.
Nell’inquadratura si vedeva un semicerchio di pietre dai contorni sgranati, che la luce forzata della camera cercava di far emergere dal buio.
«Te che sei una fotografa, magari mi puoi dare qualche consiglio…?»
Poi si accorse della sua assenza. Abbassò il cellulare, ma nel cerchio di pietre non apparve nessuno. Emma era ancora sul lato esterno, ferma con la schiena contro una roccia.
«Che ti succede?» Théo mise via in fretta il cellulare «Cristo, non ci ho pensato, non volevo chiederti di…»
Lei rimase immobile, mosse solo gli occhi, stavolta per guardarlo.
«Non preoccuparti,» gli disse «Domani, magari domani posso venire qui. A fare due foto alle pietre. Per la location intendo.»
Théo s’infilò le mani in tasca, poi le tolse, poi le mise di nuovo in tasca. Prese a rigirare la matita all’interno.
«Vuoi rimanere sola per un po’?»
Mentre finiva la frase, lei gli fece cenno con la testa, indicandogli una tasca del cappotto. Théo si lasciò scappare un singulto, poi si rese conto che gli stava solo segnalando che il flash del telefono era rimasto acceso.

Quando Emma tornò in camera notò che la tazza si era spostata di qualche centimetro rispetto alla circonferenza tracciata da Théo. Ma la finestra era ancora aperta, e si era alzato un leggero vento. Prese i biglietti sbiaditi dei viaggi in treno e in bus e in aereo, li stirò per bene e li ordinò per data e paese, poi quando ebbe finito li ammucchiò in una sola colonna e lì tranciò in due tutti assieme.

Nella foto, Calanais Standing Stones, Isola di Lewis, Regno Unito