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Confessioni di un capovolto

Autore
Leonardo D'Isanto
A scelta dello chef
Narrativa generale
16 settembre 2023

Che poi, no? È ovvio che a uno viene il pensiero: sta a vedere che era meglio se agivo da subito per cazzi miei.

No, perché il dubbio ti sale per davvero. Non sarà che s’è rivoltato il mondo? Quel mondo che i miei dicevano di conoscere così bene, quello del merito e delle competenze, e che dovevo fidarmi, ascoltarli, accettare i consigli da chi ne ha viste di ogni e quindi obbedirgli, non fare di testa mia, e basta, vi prego, ho capito, lo faccio, però che palle.
La miccia s’è accesa dopo l’ultima foto pubblicata da Armando. Ho sentito la fiamma appiccarsi nei dintorni del buco del culo, risalire l’intestino come un ascensore supersonico per poi infrangersi all’ultimo piano della testa, esplodendo in una bella e colorita bestemmia. Una di quelle micce detonanti, non a lenta combustione. Ora io dico, no? Questo nella vita è stato bocciato due volte, una delle capre più capre che io abbia mai visto, tolto da scuola per lavorare nell’azienda del papi, e ora gestisce non ho capito cosa, in una sede non ho capito dove, con i soldi di non ho capito chi. Sul profilo si definisce imprenditore e, guarda un po’, si fa un viaggio d’inverno e uno d’estate, itinerari di un mese tutti fuori dall’Europa, – per non parlare dei week end a Pizzo Calabro, a Parigi o a pattinare a Tempelhof – guadagnando, a detta dei miei che non si sa perché sono rimasti in contatto con la moglie del papi, più del doppio del sottoscritto. Io che – sempre perché guai a non seguire i consigli di chi la sa più lunga di te, vero ma’? – ha studiato per due terzi di vita ricevendo in cambio due corone d’alloro, ora più gialle del colore del piscio di nonno quando tornava dalla festa alle cantine, e un Dottorato discusso in lingua inglese perché “si sa” che così “assume più spessore e ti aiuta coi punti” – che poi, punti per chi e punti per cosa? Dove sono arrivato, accumulando punti? A un livello superiore? Fossi un Pokemon ma questa è la vita, Cristo Dio –.
Armando sorride, lessato su un lettino in Costa Rica, e io me ne sto qui con il dubbio. Perché a uno poi viene, il dubbio. Mulina in pancia finché, come la diarrea al mattino in un giorno post sbornia, non schizza fuori perché non ne può più di venire trattenuta. E allora. Non sarà che il mondo s’è capovolto? Non sarà che questo tizio ha capito tutto, a differenza di me che non ho capito un benamato cazzo? Perché poi l’autocritica è sacrosanta. Un’analisi di sé stessi e un controllo sull’efficienza di coloro che ti circondano e ti consigliano bisognerà pur farli prima che sia troppo tardi, no? E allora. Se il mondo s’è capovolto, non sarà mica tempo che mi capovolga anch’io? Ho letto Darwin, ho letto Jared Diamond e il suo fottutissimo saggio capolavoro, ho pubblicato ventidue cazzo di articoli. Ripeto: 

Ventidue. 

               Cazzo. 

                         di Articoli,

                                         uno tra questi su Nature Ecology & Evolution, secondo giornale al mondo nella classifica di ecologia, impact factor che oscilla tra il 15 e il 19. Io però non sto in Costa Rica. Ci sta Armando, che fa l’imprenditore. 
Questo paese andrebbe preso dalla punta della Puglia, scrollato per bene e riappeso così sulla cartina. A testa in giù, così magari qualcuno cade e si spacca pure la testa. Magari qualche “imprenditore”. Andrebbe preso e riappeso così, lo stivale. Capovolto. Che sia questa la soluzione al sottosviluppo meridionale? Devo correggere me stesso e devo farlo partendo da una tesi. È così che funziona la ricerca. Hai una tesi? Dimostrala. Servono dati, prove, e io vado a cercarli, e mia madre se ne accorge. Col suo sguardo da “oddio, ora va a farsi arrestare”, se ne accorge. Mi scruta come quando rientravo dalle feste Erasmus mezzo moribondo o quando, durante gli anni del liceo, nascondevo ragazze in camera nei fine settimana fingendo di dover chiudere la porta per poter studiare, ma niente. Se ne accorgeva e tutt’ora se ne accorge. Ma io me ne fotto. Me ne fotto dei suoi timori. Ora basta, devo capovolgermi. Devo imreglovopac-armi alla svelta. Se ne farà una ragione.

Mi chiede, tutto bene? Non le rispondo. 

Non le rispondo perché l’ho sempre fatto e avendolo sempre fatto mi ritrovo comunque in questo stato nebuloso che non riesco più a gestire, perciò la via da seguire è un’altra. Questa non funziona. I dati processati dal mio cervello lo dicono, non io: il fatto che io l’abbia sempre fatto, è questo che va cambiato. Capovolto. È tempo di rivoluzione e si sa, le rivoluzioni partono dalle piccole cose. Quelle basilari, semplici, di cui ci scordiamo mentre siamo abituati a viverle. Ma lei insiste: tutto bene? 

Io rispondo: Costa Rica. Ed esco.

Mi becco al Ku Klux Bar con Silvia, la mia ragazza, che appena mi vede ha già capito tutto. 

T’ha risposto? mi chiede. 

La guardo e sto zitto. 

T’ha risposto, si risponde da sola.

Ordino una IPA. Lei si volta di scatto a fissarmi mentre il tizio se ne va. Non reggo l’alcool che c’è dentro un Mon Chéri, figuriamoci un intero boccale di birra. Silvia mi punta addosso il suo sguardo interrogativo, io le rispondo solo: Costa Rica. Al che si incazza, ma me ne fotto. Perché qui l’unico che ha il diritto di essere incazzato sono io. Le dico della mail ricevuta dal prof, le dico che il posto, l’unico disponibile nell’intera facoltà, è stato praticamente già assegnato allo studente raccomandato dal Capoccia, e che quindi il mio Dottorato finisce qui e che, a detta del prof, rappresento una grave perdita per l’Università; che purtroppo non ci sono fondi sufficienti per assumere più gente e se un domani dovesse uscire una qualunque posizione mi terrà presente ma che per adesso faccio bene a guardarmi attorno, perché uno come me non se lo lasceranno di certo scappare, eh eh! Ma sono io che voglio scappare. E poi le dico di Armando che fa l’imprenditore e che beve Coco Loco sulle spiagge della Costa Rica, e la informo che mi sono rotto il cazzo.
Ma non ti conviene puntare a un posto più sicuro? Tipo la FAO o un qualche tipo di azienda. Col tuo curriculum potresti avere una chance, dice lei, mentre la mia IPA plana sul tavolo.
Inizio a sorseggiare pensando che se la mia ragazza non è in grado di capirmi la cosa è più grave del previsto. Ma ci vuole così tanto a capire? penso io, in attesa del primo capogiro. 
RICERCA, mannaggia a tutti gli Armandi, gli Armadilli, gli Armamenti, gli Armani jeans e tutto ciò che inizia con quelle quattro dannate lettere. Voglio fare ricerca, e allora glielo dico.

Mi sa che mando tutti a cagare e accetto il posto a Bristol. 

Vuoi mandare a cagare anche me?

Io me ne sto zitto, ed è qui che ci si caga sotto.

Vieni con me, staremo una bomba. 

Eh, la fai facile tu.

Ma ci pensi? Niente più traffico, giriamo in bicicletta. Fanculo tutta la burocrazia. Diventiamo vegani e non usiamo più il cash. Poi magari mettiamo su una di quelle start up che vanno tanto di moda adesso, una di quelle compagnie robotiche collaborative mezze green, che se ci butti in mezzo la parola green ormai ti finanziano pure lo sputo, e spicchiamo il volo. Io e te insieme. Senza più superiori che millantano meriti o che impongono scadenze impellenti. Io e te, a fare i signori in Inghilterra.

Ripeto. La fai facile tu.

La faccio facile perché la vedo facile, oggi più che mai. Facile e difficile non c’entrano, capisci? È la paura del vuoto a non farti buttare. Questa idea del futuro stabile c’ha rovinati, per loro vali solo se ti presenti come “ordinario”, se hai una prole e una pensione complementare. Ma adesso ho capito.

Che hai capito?

Che è la nostra testa a dirigere il teatrino, e noi siamo solo dei miseri burattini. La domanda è: tu chi vuoi essere davvero? Pinocchio che sta zitto e si fa usare o Mangiafuoco che da su muove i fili? Io per una volta ti dico Mangiafuoco, per cui mi butto. Mollo tutto.
Ed è qui che l’ho visto. Il capovolgimento. Tutta questa certezza, e non mi riferisco tanto a quella racchiusa nelle mie parole quanto a quella che trasuda nei miei occhi, la fa titubare. Cazzo se la fa titubare. Le guance le finiscono risucchiate verso l’interno come Vincent van Gogh con l’orecchio bendato, mentre le sue pupille iniziano a vagare nel cielo in cerca di chissà quale segno che le infonda coraggio. Infine, una lacrima.

Il giorno dopo devo fare da assistente a un esame. Interrogo sei studenti: metto tutti 30. Ho solo un’idea in mente: rovesciare il sistema che ha rovinato tutto. Basta voti; non conta la media, i punti, le pubblicazioni, è la rivoluzione.
Al termine della seduta contatto Bristol, gli dico che accetto. Poi mi siedo su una panca di legno, da solo. Un odore di caffè aleggia lungo il corridoio che percorro da quasi dieci anni. Osservo le matricole e i loro sguardi enfi di utopia e ambizione. Provo invidia per le loro anime non ancora disilluse e, d’un tratto, provo pena per me. Una porta si apre e dal bagno esce fuori una ragazza cinese che ho appena interrogato, mi saluta facendo un mezzo inchino per poi allontanarsi. La guardo scendere le scale. Dalla Cina è venuta a stare dove sono io; il luogo dove sono nato e lo stesso da cui rifuggo. Mi rendo conto che mi piacerebbe parlarle, chiederle com’è vivere da soli e se soli ci si sente davvero; dover pensare alle bollette e a stipulare un’assicurazione medica. Che poi chissà se in Inghilterra è gratuita o se ti sparano un capitale. Poi ripenso a Silvia e a quel suo rigagnolo d’acqua e sale. Ed è qui che mi accorgo d’aver sfilato il cellulare dalla tasca; vado sulle mail inviate e clicco sull’ultima. La mia accettazione. 
La rileggo.

Ora sì che mi sento capovolto.


Ad illustrare il racconto: foto da “Uptied”, progetto fotografico di Benjamin Alexander Huseby