Categories

La pasciona

Autore
Venereo Rocco
Ciclo #15 - Spaghetty Scorretty
Narrativa generale
31 agosto 2023

A Treppo Carnico, a preannunciare eventi del genere era il vecchio pero del For.

Giusto un palo ritorto con radi ciuffi come chioma, ma era a guardia dell’osteria “Al For” da tempi immemori. I vecchi del paese, usati ad averci a che fare fin dall’infanzia, lo consideravano un Treppino a tutti gli effetti, il Treppino più anziano.
Come voleva il costume, era al più anziano che si rivolgevano domande sul tempo, sull’andamento della stagione, se c’era da aspettarsi grandine d’estate, se conveniva portar la legna all’asciutto. E il pero, nonostante gli anni, offriva i suoi vaticini: a volte un candido corimbo prematuro a fine inverno, di buon auspicio, altre l’ennesima infestazione di mal bianco, e i vecchi di Treppo correvano ai ripari.
Ma in quell’estate innaturalmente torrida per un paese di montagna qualsiasi Treppino, vecchio o giovane, non aveva idea di cosa aspettarsi dal momento che il pero, dopo due secoli di onorato servizio a guardia del For, entrava in pasciona.
Fenomeno curioso, la pasciona.
Accade in quei frutteti anziani, con le foglie bruciate dal verderame e i rami striminziti dal rodilegno. I peri diventeranno presto legna per il fuoco e lo avvertono, e certe estati, senza alcun preavviso, regalano tanta frutta quanta se ne raccoglie in due anni. E il contadino è contento, ma anche un po’ triste.
Proprio questo rispondeva il pero ai vecchi di Treppo: entro la fine dell’estate sarete contenti, ma anche tristi.

«Pervertito! Valle a fare a casa tua certe cose».
Fuori dal For, a circondare l’anziano accasciato sulle radici del pero, c’era metà del paese. Il sangue che scorreva dal labbro dell’uomo sembrava eccitare la folla più del colpo a cui aveva appena assistito.
Le nocche erano del figlio del Bidìn,
Pietro, che da qualche mese era tornato dalla città, e la giovane fanciulla sulla porta l’oggetto del contendere.
«Non sono un pervertito, sono solo troppo arrugginito
».
Il vecchio, una stazza alta due metri, non sembrava affatto al primo pugno della sua vita; barcollando, ma neanche troppo, si tirò in piedi esibendosi in tutta la sua sovrabbondante persona, e squadrò Pietro come fa il contadino con il gallo.
Pietro avanzò di un passo.
«Fai schifo, mia sorella potrebbe essere tua nipote».
Il vecchio incrociò le braccia sul petto, impassibile.
«Tua sorella… certo, si spiega. Ascolta giovane, lascia che mi scusi come si deve e fatti offrire un giro».

«Le scuse falle a lei, io e te abbiamo parlato abbastanza. E poi perché dovrei bere con un vecchio maiale?».
Fu il vecchio ad avanzare.
«Perché questo vecchio maiale potrebbe avere
il tuo stesso problema».
I treppini guardarono prima lui, poi Pietro, che guardò a sua volta il vecchio con il pugno stretto e tremante. Lo sguardo del vecchio, con la discrezione di un giocatore di briscola, scese allora lungo il corpo del giovane, fermandosi
poco sotto la cintura.
Il ragazzo impallidì.
Girò i tacchi verso il For, si assicurò dello stato della sorella e recuperò la borsa tascapane che nella foga aveva lanciato poco più in là.
«Seguimi», ordinò al vecchio, senza guardarlo.

Si chiamava Girolamo Badalamenti e non era di quelle parti. Si faceva notare, oltre che per l’altezza spropositata, per una camicia a fiori dai colori dolorosamente brillanti, da una coda che partiva dai pochi capelli reduci sulla nuca e da un pesante anello d’oro che pendeva dal lobo sinistro. Pietro si rasava la testa e per la maggior parte del tempo la copriva con il cappuccio della felpa.
Parcheggiò la panda di fronte ad un pub di Tolmezzo, che da quelle parti era l’abitato più vicino ad una città.
Girolamo prese posto al primo tavolo vuoto, e con lo stesso contegno con cui aveva accolto il pugno riprese la conversazione.
«Ho sentito che hai studiato a Padova…».
Ma l’altro lo zittì con la mano, ordinò tre grappe, le svuotò una dopo l’altra e non lo lasciò continuare prima di averne ordinate altrettante.
«Ti stavo dicendo che a Padova mi è rimasto qualche amico, vecchi compagni di Lotta Continua…», continuò.

«Non volevo picchiarti», lo interruppe ancora una volta Pietro. Girolamo inarcò le sopracciglia, in attesa.
«Non picchio la gente, non sono un violento. Non ce l’avevo con te. Chiariamo, sei stato uno stronzo, ma volevo solo-», una cameriera appoggiò davanti al vecchio una grappa barricata, «volevo menare qualcuno».
Girolamo bevve in silenzio dal bicchiere.
«Ciò detto, rimane il fatto che hai invitato mia sorella a bere, una minorenne».
«Vero».
«E che hai insistito quando ha rifiutato».
«Già, ho davvero perso la mano».
Pietro sbatté il bicchiere sul tavolo.
«E quando ti ha chiesto di andartene, hai tentato di molestarla».
«Ora vacci piano, giovane, le ho solo annusato i capelli. Le mani le avevo in tasca».
Entrambi i bicchieri restarono a lievitare sopra il tavolo: Pietro fissava il suo, vuoto, mentre Girolamo fissava a sua volta il ragazzo chiedendosi se davvero stesse pensando a sua sorella in quel momento.

«Come l’hai capito?», chiese Pietro senza mai staccare gli occhi dal bicchiere.
Girolamo finì il suo, e prima di rispondere ne ordinò un altro.
«Che sei
impotente? Sono un po’ di sere che ti osservo all’osteria. Sai, quando non ti tira per cinquant’anni certe cose le riconosci a colpo d’occhio. Le mani in tasca, il tuo dare sempre il fianco, il modo in cui eviti lo sguardo delle ragazze… è recente, dico bene? ».
«Sei mesi fa».
«Molto recente».
«Già».
«E come?»
«Un fermo dei carabinieri».
«Cazzo».

«La manifestazione per gli operai morti delle Acciaierie Venete a Padova. Ci avevano raggiunti dei compagni da Roma e a fine giornata si era tutti fuori dall’osteria a passarci le canne. La solita osteria e le solite canne, ma quel giorno c’era stata la manifestazione, settemila in piazza».
«Me la ricordo» fece il vecchio. «Brutta storia».
«Ci portarono in caserma. Io, Bortolo, il Gallo… il direttivo al completo, guarda un po’. La cosa divertente è che non avevamo niente con noi, non portiamo mai niente alle manifestazioni; il fumo era dei compagni romani».
«Ma ai carabinieri non interessava il fumo».
«Esatto, ai carabinieri interessava intimidirci. Ci fecero spogliare e piegare sul tavolo, tutti in riga. Quando toccò a me, entrò una donna…»
«E?»
«Usò il
manico di una scopa. Al dolore ero pronto, a scoprire che mi sarebbe venuto duro no. Quei maiali mi fecero avere pure la foto, della mia ultima erezione».
«Figli di troia».

«Almeno posso ricordarmi com’era».

Arrivò l’ordinazione, e il ragazzo ingollò nervosamente il contenuto dei primi due bicchieri.
Quindi affondò il viso tra le mani e prese ad ansimare, prima lentamente, poi sempre più veloce, finché non scattò in piedi e corse in bagno a espellere i cattivi ricordi in un luogo più appartato. Girolamo lo aspettò in silenzio.
«Ti sei mai fatto vedere?»

«I medici dicono che il problema non è fisico. Ma da uno strizzacervelli non sono andato… non ancora».
«Ti passerà».
Pietro grugnì.
«Sei giovane, e prima o poi accetterai il fatto che il tuo corpo e la tua testa non vanno sempre nella stessa direzione».
«Hai avuto esperienze di scope in culo?»
«Oh no. A me è toccata un’altra storia».
La cameriera passò a ritirare i bicchieri. Nel chinarsi, i seni danzarono per un secondo sotto la camicia, proprio di fronte a Girolamo, che sorrise.
«A me è toccata
Cuba, l’anno della rivoluzione. È toccata una canzone, Pueblo Nuevo, e una ragazza, Amaranta».
«Orco» fece Pietro, colto alla sprovvista. Faticava ad immaginare quel molestatore di sorelle combattere al fianco del Che, ma l’ipotesi di aver menato un vecchio barbudo riusciva a distrarlo dalle sue miserie.

«Quando sbarcai al porto dell’Avana, la Rivoluzione aveva appena compiuto un anno e io diciannove. Per un paio di mesi condivisi un letto con altri due italiani, ma in breve riuscii a farmi raccomandare per un posto da inserviente all’università, dove ottenni i contatti che stava cercando. Raggiunsi i barbudos di Fidel quando i rivoluzionari avevano in mano metà dell’isola e preparavano l’attacco alla capitale».
«Eravate degli eroi», lo incalzò Pietro.

«Eravamo dei poveri coglioni», ribatté Girolamo, «Fortunati, ma coglioni».
Pietro quasi si rovesciò sulla sedia: negli ambienti che frequentava era un’argomentazione sufficiente per scatenare una rissa. Quel millantatore a Cuba non c’era mai stato, sicuro, ma perché allora inventarsi un passato del genere per poi cagarci sopra?
«I libri la raccontano diversa», disse freddamente.

«I libri li scrive chi vince. Tu non l’hai mai vista una guerra, Pietro: in una guerra non ci sono eroi né codardi, ci sono solo padroni e schiavi, come del resto in tempi di pace. E dei barbudos che tu e i tuoi amici tanto rispettate ci avresti trovato, insieme a fanatici come Fidel ed Ernesto, poveri, straccioni e morti di fame. Oltre a me, certo, che ero il peggiore di tutti. Io cercavo l’avventura…».
Dalla vetrata del Pub si vedevano le montagne: la cima dell’Amariana, incorniciata dalla catena del Montasio, andava colorandosi di tutte le tonalità dal giallo al magenta, man mano che i raggi del sole diventavano orizzontali. Era da prima dell’università, meditò Pietro in una corsia periferica dei suoi pensieri, che non saliva sull’Amariana; si chiese se, tornando su quella cima, avrebbe trovato la stessa vallata di un tempo, pulita e ordinata, o se qualcuno era riuscito a rovinargli anche quel paesaggio.
L’oste si avvicinò ai due avvisandoli che avevano il tempo di un ultimo giro. Il vecchio guardava ancora la cameriera dall’altra parte della sala.
«Sai, ai miei tempi neanche le puttane si vestivano come le donne di oggi…»

Pietro lo arpionò con uno sguardo omicida e batté violento il pugno sul tavolo.
«Hai ragione, la rifaccio… intendevo dire che al giorno d’oggi è tutta immagine, capisci? Hanno inventato tanti di quei trucchi che camminando per strada non vedo più delle femmine, vedo delle dee. Allora non era così, pure le caviglie tenevano coperte, pure ai tropici. Una follia. Per farla breve, erano altre cose che ci facevano girare la testa». Pietro estrasse dalla tascapane del trinciato e iniziò a girarsi una sigaretta. «Eravamo di base a San Jàime, un villaggio alle porte di Santa Clara, la città che stavamo assediando. La gente del posto ci aveva accolti come liberatori. Ma non tutti: c’erano le famiglie che sotto Batista avevano prosperato, che non ci volevano lì, che aspettavano pazienti che ci ricacciassero in mare.
Amaranta proveniva da una di queste. Era scappata di casa attirata dai balli che il villaggio offriva in nostro onore nella piazza centrale: l’habanera, la charanga, il dànzon… Sentii Pueblo Nuevo per la prima volta. L’odore, Pietro, l’odore di femmina ti resta più dell’immagine. Amaranta sapeva di tarda estate, aveva l’odore dei fichi maturi che mia madre si lasciava pescare dal grembiule».
Un raggio di sole colpì le finestre della banca antistante il Pub e rimbalzò sulla vetrata e sulle spalle di Girolamo, trasfigurandolo nella stessa tonalità del vespro. La luce sbieca entrava tagliente negli occhi di Pietro, ferendoli, ma il ragazzo si costrinse a guardare. Girolamo quanti anni aveva, adesso? E le sue parole da dove arrivavano?
«E quella notte facemmo l’amore per la prima e unica volta. Avevo vent’anni, e avevo visto così tanti cadaveri in quei pochi giorni… quella notte mi votai a lei. Dopo aver preso l’Avana, le dissi, avrei preso anche te. Ma come dicevo, ero un povero coglione».

Riusciva a vedere solo l’ombra del vecchio, impassibile. Ma il bicchiere tremava, riflettendo una macchia di luce che si agitava per tutto i locale.
«Una settimana dopo la trovai impiccata sul mango della piazza centrale, proprio quella piazza in cui avevamo ballato Pueblo Nuevo. Qualcuno le aveva appeso al collo la scritta “TROIA COMUNISTA”».
Fece come per aggiungere dell’altro, ma si fermò.

Pietro intuì il momento buono per raccogliere le sue cose, pagare, e seguire fuori Girolamo, all’aria aperta.
Respirò rumorosamente la sera. Girolamo estrasse dal taschino della camicia un toscanello rosicchiato.
«E da allora?», sussurrò Pietro.
«Da allora sono rimasto fedele anima e corpo alla mia Amaranta. Ma non fu una scelta, sai?».

Pietro si appoggiò al vetro del pub e si prese la testa tra le mani. Faticava a tenere gli occhi aperti e sputava a ripetizione.
«Ma chi sei, Girolamo? Che ci fai da queste parti?»

Il vecchio rise, poi lo guardò con dolcezza.
«Ragazzo mio… non l’hai capito?
Sono venuto a morire. Sono sempre stato attratto da questi luoghi: andare in montagna qui è come andare in chiesa».
«Cinquant’anni di castità e vuoi morire adesso?»

«Ma tu credi che un uomo abbia davvero facoltà di scelta su cose come l’amore o lo morte? Ma andiamo! Comunque, dopo questo pomeriggio, non so se ho ancora voglia di morire».
Pietro, che aveva cominciato a tremare nonostante il caldo, si irrigidì; la bocca impastata non frenò il grido che ne uscì.
«
Mia sorella
«La
prima autentica erezione in mezzo secolo di carestia».
«Ti finisco, pezzo di merda».
Girolamo esplose in una risata più giovane della sua età.
«Facciamo che prima ti fai una dormita».
«Sicuro, ma poi ti finisco».

Si fece dare le chiavi, lo trascinò fino alla macchina, e lo riaccompagnò al For.
Da solo, in direzione dell’albergo, si bloccò d’improvviso davanti al pero. Quei frutti doppi, sodi fino alla deflagrazione, contrastavano i solchi annodati del legno. Slacciò la cinta e si guardò nelle mutande: non riusciva a smettere di pensare a quella ragazza.
Un vento di ponente gli servì all’olfatto il petricore della tempesta che sarebbe montata quella notte, e Girolamo si sentì contento, ma anche un po’ triste.


Ad illustrare il racconto: nello snippet, frutti del ‘Peter Pepper Red’ (Capsicum annuum), pianta originaria della Louisiana (USA); nella pagina, una tavola di Andrea Pazienza (1956-1988).