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Il rumore del vento

Autore
Federico Malvaldi
Ciclo #4 - Ytalia, storie alter-native
Teatro
2 aprile 2021

In lontananza si sente “I’ll Be Your Mirror”.

Il rumore del vento mi ha sempre fatto paura. Non lo so perché. Forse è per i ricordi. Di quelli che si nascondono nella mente, che restano lì e tu nemmeno li sai, ma loro ci sono e stanno tutto il tempo silenziosi, come la neve… ma forti, violenti, aggressivi… come il vento, appunto. Ricordo… ricordo che c’è stato un tempo in cui sognavo di volare, di attraversarlo il vento, senza averne paura. È un tempo molto vecchio, di quando ero bambina e ancora vivevo con mamma e babbo nella casa a metà del monte… sì, su quel piccolo monte che per noi pisani è il più alto di tutti, il più bello. Pochi mesi fa il fuoco l’ha bruciato tutto. Qualcuno, un matto forse, ha deciso di appiccare un incendio alle nostre terre, approfittando di quello stesso vento che mi ha sempre fatto paura. Ho ancora il caldo sulla pelle e ho negli occhi lo sguardo impazzito delle capre davanti casa, il loro terrore, la morte che se le prendeva una dopo l’altra. Vive sono bruciate. Vive. E il blu e il rosso e le sirene, la gente che correva, che urlava e la mia bocca che si faceva secca mentre con questa gobba cercavo di andarmene insieme al nonno, scappando verso un rifugio improvvisato dalla Protezione Civile. Che disastro. Tutti quegli ulivi. Tutta la speranza dei contadini del monte bruciata via in un alito di vento. 

(pausa

Ma quando ero piccola… quando ero piccola quel vento lo cavalcavo. Stavo lì, sempre a giocare su quei dirupi, sempre in bilico, con mia madre che mi urlava contro tutta arrabbiata e che correva, goffa goffa, cercando di prendermi, ma io andavo più forte e scappavo… sempre in bilico… scappavo da tutto. A ripensarci ora mi vengono i brividi. Prima non avevo paura di nulla, neppure della morte. Anche se mia madre mi sgridava sempre, io tornavo là: in bilico. 

(pausa

Mamma sgridava solo me e mai mia sorella. Se si rovesciava una cosa in cucina perché stavamo giocando alle bambole, la colpa era sempre mia. E così ero contenta quando si ammalava, così io potevo giocare da sola e almeno se facevo qualcosa, sì, mamma me le dava di santa ragione, ma la colpa era davvero mia, solo mia… e andava bene. Il problema non è quando la vita o chi per lei te le dà di santa ragione. Il problema è quando te le dà di santa ragione e tu non hai nessuna colpa. Già. 

(pausa

Iniziò tutto col suono di un campanello. Quel pomeriggio ero sola in casa, babbo era a lavoro in officina e mamma aveva portato mia sorella a danza. Io odiavo la danza. E odiavo tutte le cose da bimba che c’erano da fare. Così me ne stavo lì, seduta davanti al camino a far mangiare le bambole di mia sorella ai dinosauri di gomma che babbo mi aveva regalato di nascosto il Natale prima. I dinosauri le prendevano e le mangiavano staccando teste, gambe, braccia: tutto. Le prendevano sempre, come io fui presa da… (pausa, il respiro si fa pesante) Fuori nevicava e avevo promesso a mamma di non combinare guai. Niente dirupi, niente cose folli quel giorno. Ma per quanto ti impegni, a volte, i guai ti vengono a cercare… ti trovano e ti mangiano come i miei dinosauri mangiavano quelle bambole. 

(pausa

Il campanello suonò e io mi alzai dal quel tappeto morbido per andare alla porta. Ricordo che mi fermai a fissarla senza sapere bene cosa fare. Mamma e babbo mi dicevano sempre di non aprire agli sconosciuti. Tutti i genitori lo dicono, no? Tutti. Ma io ero così annoiata… così… insoddisfatta… Perché l’inverno a metà del monte è sempre così: un mucchio di noia e tempo che non passa mai. E io non potevo saperlo quello che era fuori dalla porta. Io non lo potevo sapere e così aprii: non era uno sconosciuto. Per fortuna non lo era. Ma da quel giorno un campanello, quando suona, mi mette sempre paura. 

(pausa

Sono cresciuta col grande cinema americano, mamma ne andava matta, la faceva sognare. Cary Grant, Gary Cooper… quei personaggi lì facevano bei film e anche a me piacevano. Mamma poi, aveva un fratello gli che assomigliava a quegli attori lì. Bello, gentile… un uomo tutto d’un pezzo, un uomo pieno di fascino. Ricordo che a Natale ci riempiva sempre di regali e suonava la chitarra per noi e noi stavamo ore ed ore ad ascoltarlo cantare. Io ogni tanto mi inventavo una poesia e gliela recitavo e lui rideva e rideva e mi accarezzava la testa con quella sua mano grossa. In modo gentile, in modo… in quel modo che ti lusinga. Quando aprii la porta scoprii che era lui ad aver suonato quel campanello. Mi chiese dove fossero mamma e babbo e io glielo dissi. Poi mi chiese se potevo offrirgli qualcosa da bere, che aveva viaggiato tutto il giorno ed era stanco e che, se volevo, potevo recitargli una delle mie poesie: l’avrebbe ascoltata volentieri. Io avevo fiducia negli uomini… mio padre era un monumento all’onestà e credevo che anche zio Ed lo fosse. Ma… quando gli portai il suo bicchiere di Averna, mi chiese di avvicinarmi perché voleva vedermi meglio, più da vicino, e io lo accontentai. Mi piaceva stare lì, a pochi centimetri da lui. Mi piaceva sentire la pelle della sua mano ruvida accarezzarmi la testa e perdermi in quegli occhi neri che sapevano raccontarti che la vita è bella e giusta e che tutto andrà bene per sempre. Ma la vita alle volte è metà ingiustizia. Non tutto va come deve andare e mentre gli passavo quel bicchiere di liquore… mentre glielo passavo, zio Ed mi attirò a sé con un gesto morbido e pieno di affetto. 

(pausa

Mi sentii risucchiare verso di lui, con lo spazio tra noi che si annullava in una corrente d’aria improvvisa… mi sentii risucchiare e sentii che mi stava baciando, il suo alito caldo come quel fuoco che questa estate mi bruciava la pelle. Non sapevo cosa dire. I-io… io non capivo e all’inizio mi sentii lusingata. Ma dopo l’inizio tutte le cose iniziano a essere peggio e zio Ed iniziò a parlarmi di cose che non avevo mai sentito… di cose che… d-di cose che… (parlando a fatica) parlava di segreti che non dovevo raccontare a nessuno… di cose giuste che altri, però, non avrebbero capito. Parlava, parlava, parlava e con quella mano grande continuava ad accarezzarmi la testa. Poi mi baciò ancora e le sue dita… le sue dita lasciarono i miei capelli e iniziarono a scivolare giù… sempre più giù. E io lo guardavo. E poi non vidi più nulla. Solo il vento e la neve fuori dalla finestra. 

(pausa)

Ero stordita, confusa dal suono della sua voce e da quel vento violento che soffia sempre lì a metà del monte. Potevo dire di no. Potevo scuotere la testa, urlare, arrabbiarmi, piangere, fare qualsiasi cosa… ma non feci niente. Quella sera zio Ed rimase a cena ma io non mangiai nulla. Mamma, babbo e mia sorella ridevano e scherzavano insieme a lui e mamma mi chiedeva perché avevo quel broncio, perché non ridevo… non ridevo più. Ma chi glielo diceva a lei? Come glielo dicevo? L’uomo che più in assoluto aveva amato in vita sua… 

(pausa

Chiesi se potevo alzarmi da tavola e passai le due ore successive in bagno a cercare di lavarmi con tutta l’acqua che riuscivo a gettarmi addosso. Mi lavavo e piangevo. Mi lavavo tutta con disperazione, grattandomi quella pelle che mi faceva schifo, ribrezzo. Me la sarei voluta staccare, scorticare, rimanere senza. Non cenai per molto tempo e non andai più a giocare sul dirupo. Non avevo più voglia di volare… non avevo più voglia di nulla e non sapevo come dirlo. Mamma e babbo si accorsero che qualcosa non andava, ma non riuscirono mai a capire cosa. Psicologi, dottori, preti… le provarono tutte. Ma io… io non avevo voglia. Semplicemente non avevo voglia. 

Così passarono gli anni. Passarono fino a quando un giorno conobbi l’uomo che avrebbe cambiato la mia vita. Ero in biblioteca e tuo nonno mi vide. Era un matto, uno tutto fissato con il Rock’n’Roll e la musica americana. Mise Lou Reed a tutto volume. In biblioteca. Ma te lo immagini? Che matto. I’ll Be Your Mirror… la conosci? 

(Canticchia

A mamma non ho mai detto nulla. A nessuno… solo… solo al nonno, questa estate, dopo essere sfuggiti per miracolo alle fiamme dell’incendio. Eravamo io e lui e là fuori tutto il resto del mondo… in mezzo a quel turbine di gente che aveva perso tutto: il bestiame, gli orti, la casa… Io e lui, mano nella mano. 

(Pausa

Gliel’ho detto e lui mi ha baciata. Era tanto che non mi baciava… era davvero tanto. Te lo immagini che ridicoli? Due vecchi che si baciano in un campo di sfollati. Ma lui mi ha baciata e io, per la prima volta dopo tanto tempo, non ho più avuto paura del rumore del vento. 



Illustrazione originale Irene Masi
Lettura scenica Alice Bachi