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Un istante di luce

Autore
Giulio Lepri
Ciclo #3 - Spaghetti does it better
Erotico
4 marzo 2021

Si alzò dal letto e mosse i piedi nudi in direzione della finestra. Pochi passi sul parquet dell’hotel e fu davanti alle tende. Strusciò la mano delicatamente, come una carezza, cercando di indovinare il tessuto. Non aveva mai avuto talento per queste cose ma le sembrarono di seta. Nel buio erano diventate marroni, la luce le avrebbe riportate all’originario verde smeraldo.
Scostò un lembo, quanto serviva perché si insinuasse dalle persiane un misero raggio che andò a perdersi nel letto. Si levò una voce soffocata dal cuscino: «Aspetta».
Avevano dormito forse quattro ore ma la voce era già roca dal sonno: «Ancora un po’».
«È tardi.»
«Ancora un momento.»
Lei sorrise e lasciò stare la tenda, «pigrone!», così saltò sul letto, si avventò sulla sagoma da cui proveniva la voce e cominciò a fargli il solletico.
La sagoma si dimenò un po’, bofonchiando qualcosa di simile a una risata. Le sue mani nivee passarono lentamente dal premere a lisciare i fianchi, come se potesse indovinare di quale tessuto fosse fatta la carne degli uomini. Con la mano sinistra risalì fino alle scapole e poi, con un solo dito, percorse all’indietro ogni vertebra della schiena.
Sollevò entrambe le mani e in ginocchio si mise a contemplare quella figura ombrosa.
Nel buio, in quella posizione, poteva avere qualunque età. Lui si sarebbe dato cent’anni, forse serio, forse scherzando, e a lei questo mistero sarebbe piaciuto.
Si girò verso l’alto, cercò gli occhi di lei nella stanza, fu facile, bastava seguire la linea dolce delle gambe, continuare sul bacino scoperto, appendersi al piercing che le tagliava in due l’ombelico e risalire fino ai seni, le vene del collo, la mandibola liscia, indugiare sulle labbra sottili e arrivare agli occhi. Pure al buio erano rimasti verdi.
Le afferrò i polsi e se li portò al petto: «Tu resti qui».
A lei si allargò il sorriso per un attimo, come se stesse aspettando quelle parole da sempre. Poi le pieghe delle sue guance cedettero alla gravità e lui salì più in alto, alla ricerca degli occhi, per capire cosa fosse successo: non guardava più verso di lui ma accanto. Girò la testa e vide la macchiolina gialla formata dalla luce sul materasso. Afferrò il lenzuolo e ci avvolse entrambi. «Presa!», scherzò. Lei lo guardò serissima. Contraendo gli addominali, si portò all’altezza del suo petto e iniziò a baciarlo. Gli spinse la testa a fondo e lasciò che le dita si perdessero nei folti capelli scuri.
«Quanto può durare?» mormorò.
Lui si bloccò. Girò la testa verso il lenzuolo e lo pizzicò con le dita: «Reggerà».
«Ne sei sicuro?»
«Se lo vuoi reggerà.»
Lo baciò premendo duramente sulle sue labbra, tanto da sentire la forma dei denti. Percepì la sua erezione crescere sotto di lei e lasciò che entrasse.
Mosse i fianchi con dolcezza, gustando ogni centimetro di godimento, mentre il battito cardiaco accelerava e il respiro si faceva più affannoso. Incontrò il suo sguardo sotto di sé, colmo di piacere. Gli avvicinò la bocca per farsi baciare, lui in risposta l’afferrò per il collo e la spinse contro il materasso, ansimandole in faccia per farle sentire il suo desiderio. Lei lo sentì muoversi sempre più forte, tanto da spezzarle il fiato. In quella posizione erano un unico essere perfetto e indivisibile. Girò la testa di lato con gli occhi semichiusi e vide il filo di luce che si avvicinava al loro corpo.
«Fai presto, o il mattino ci scoprirà!».

Il telefono squillò nella stanza buia e lui si svegliò di soprassalto.
Accanto a lui spuntava impertinente, tra le lenzuola scombussolate, una macchiolina di luce gialla. Seguì quell’istmo luminoso fino alle tende verdi che nel buio sembravano marroni e le aprì ma il volume della luce non aumentò.
Spalancò la finestra e poi le persiane ma davanti a sé trovò solo la notte. Intuì allora che quella macchiolina proveniva da un lampione di fronte all’albergo e provò uno strano senso di tristezza.
Solo in quel momento si accorse di essere nudo e istintivamente si coprì con le tende. Scoppiò a ridere per la sua imprudenza. Chiuse le persiane con la mano libera tenendo ben strette le tende con l’altra.
In bagno accese la luce e si confrontò con il grande specchio. Si sentiva cent’anni e le rughe intorno agli occhi suggerivano che fosse molto più possibile di quando ci scherzava da ragazzo. Nonostante l’età però, notò con un poco di orgoglio, là sotto era bello turgido.
Fu così che capì di averla solo sognata.

Lei stava seduta sul letto e lasciava che il sole illuminasse il suo corpo nudo, con la gamba sinistra appoggiata al petto, mentre la testa guardava la città, oltre la finestra.
«Non adesso, ti prego, ne abbiamo già discusso troppo spesso», disse lui mentre raccoglieva la camicia dal pavimento, «Ho il volo fra due ore». La annusò, decise che andava bene e se la infilò.
Lei guardò ancora un po’ fuori dalla finestra e disse: «Forse non ci torno a casa».
«Di sicuro non ci puoi tornare vestita così.»
Lei lasciò cadere la battuta nel vuoto, lui si allacciò le scarpe e allungò il manico del trolley. «Mi piacerebbe prendere un pezzo di te e metterlo qui dentro.»
«Che pezzo prenderesti?»
«Uno che non congeli in stiva.»
«Dai, seriamente. E non dirmi gli occhi, o il profumo. Ricordami perché sono qui.»
Fu lui stavolta a guardare fuori dalla finestra. Fuori non si poteva vedere che il muro di un altro palazzo, ma il rumore della città non lasciava dubbi al fatto che fosse giorno.
«Mi prenderei un istante di luce. Prima che il mattino ti colpisca.»

Il telefono era caldo e l’orecchio cominciava a bruciarle, tutta colpa dell’estate torrida e appiccicosa. Sua figlia la salutò con un bacio, lo schiocco nella cornetta fu molto forte e lei pensò che a quell’età non erano in molti a sentirci bene.
«Mi fai un piacere?» Lei alzò la testa e vide il marito intento a spostare con cura i propri indumenti dalla valigia all’armadio, «Chiuderesti la persiana? Questa luce mi dà fastidio».
Si avvicinò alle tende verdi smeraldo e fece per spostarle. Come le mani incontrarono il tessuto si ricordò di essere già stata in quella camera molti anni prima.
«È acetato,» disse lei, «sembra seta ma non lo è».
Il marito scrollò le spalle: «Anche questo armadio sembra di legno, ma è solo impiallacciato.», prese un paio di calzini e li infilò in un cassetto. «Questo posto è un’illusione».
Lei chiuse le imposte in modo da far passare giusto un filo di luce che andò a colpire proprio il materasso. Dischiuse le labbra sottili in un sorriso vizioso: «Vieni qui».
Il marito spaesato le si avvicinò, senza troppi scrupoli lo afferrò per entrambi i polsi e lo attirò a sé per poi coprire la sua bocca con un bacio. Il marito ebbe un attimo di esitazione ma lasciò che la lingua gli si insinuasse fra i denti. Con le mani raccolse i capelli poggiati sulle spalle levigate dal tempo e le scoprì il collo lungo e sottile. Lei lo afferrò per la cintura e lo condusse al letto.
«Che ti prende così all’improvviso?» chiese il marito.
Lei in risposta lo spinse sul materasso facendo sì che la sua testa ricadesse proprio nel cono di luce proveniente dalla finestra.
«Ehi, così mi accechi.»
«Resta così.» Ordinò. La luce cancellava il viso del marito, che a questo punto poteva essere chiunque o qualunque cosa; un’illusione, o solo un vecchio ricordo.

«Grazie di avermi accompagnato alla stazione.»
«Quando torni?»
«Non lo so, spero presto.»
Gli strinse il braccio un po’ più forte e si mise in punta di piedi per baciarlo. Poi lasciò la presa e si allontanò a passo svelto.
La guardò mentre cominciava a perdersi tra la folla della piazza. Guardò l’orologio: il tempo gli remava contro ma qualcosa restava.
La rincorse fino a raggiungerla. Stavolta era lui a stringerle il braccio. «Aspetta.», si frugò in tasca ed estrasse una moneta. Davanti a loro scintillava l’acqua della fontana. Prese le sue mani e vi appoggiò il soldino. Poi, dando le spalle alla fontana, disse: «Al mio tre».
Lanciarono la moneta a occhi chiusi. Quando sentirono il pluff, fu lui ad aprirli per primi.
In quel piccolo spazio di tempo, una nuvola aveva oscurato il sole lasciando filtrare pochi raggi. Uno di questi incrociò la loro moneta.
Lui la baciò di sorpresa e lei si lasciò andare per un attimo, poi si staccò dalle sue labbra e gli disse misteriosamente: «Sarà sempre tardi per me quando ritornerai».
Il cielo era tornato sereno e le monete nella fontana brillavano tutte allo stesso modo.
Si salutarono e a lui rimase giusto il tempo per vederla scomparire. Prese il trolley e si avviò al binario, da lì avrebbe raggiunto l’aeroporto e poi con l’aereo fino a casa. Se tutto filava liscio sarebbe arrivato prima di cena.


Illustrazione di Bianca Lepri