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L’ultima cena di Pat

Autore
Giulio Lepri
Ciclo #5 - Le sette vite di Spaghetti
Narrativa
17 giugno 2021

Davanti alla cena regnava una grande tensione. Sapevamo tutti che Pat l’aveva fatta grossa ma finora era rimasto uno di quei segreti non detti di cui sono piene le famiglie borghesi come la nostra. Pat era l’unico rosso tra i miei fratelli e forse era questo che lo aveva sempre reso diverso agli occhi di nostro padre, Tex.
Tex era talmente furioso che per umiliare Pat si era messo a mangiare direttamente dal suo piatto. Nessuno aveva detto niente, ascoltavamo il silenzio lacerato dalle mascelle di nostro padre. Dopo qualche boccone alzò finalmente la testa e si leccò i baffi.
«È molto importante come risponderai a questa domanda.» disse rivolto a Pat:«Ti sei rincoglionito?»
Guardavo i miei fratelli, anche a loro mancava il coraggio di affrontare lo sguardo di nostro padre.
«Io non ci vedo niente di male» rispose Pat a testa alta.
«Peccato. Se tu mi avessi risposto di sì, che effettivamente ti eri rincoglionito, ti avrei chiesto scusa perché non bisogna prendersela quando uno ha certi problemi. Però così mi metti in difficoltà Patrick, perché io so che ti sei rincoglionito ma tu non lo vuoi ammettere.» Tex si leccò l’avambraccio e se lo passò in testa per sistemare un ciuffo che doveva dargli fastidio,«E se non lo vuoi ammettere mi tocca essere brutale.»
Pat si guardò le unghie distrattamente. Notai che se ne era tinte un paio con colori accesi, particolare che non sfuggì a nostro padre:«Tu vuoi proprio farmi incazzare.» Lasciò perdere la cena e avanzò minaccioso fin davanti a Pat e gli sbatté il largo muso bianco in faccia. «Siamo lo zimbello di tutto il quartiere! Le voci girano sai, ti hanno visto giù al porto con quei… con quei cani!»
«Io non ci vedo niente di male.» Ripeté.
Tex soffiò e lasciò andare una zampata in faccia a Pat. «Perché ti prendi gioco di me? Godi a vedermi umiliato?»
Pat si massaggiò la guancia offesa:«Pa’ io… Sono solo curioso. Vorrei sapere com’è farlo con loro.»
«Fare cosa?»
«Lo sai… Sesso.»
«CON DEI CANI?!?!?»
La normalità con cui Fitzpatrick proponeva la sua versione alla famiglia era incomprensibile per mio padre.
«Sì.» Disse Pat. Non stava sfidando suo padre, lui era sicuro che le cose stessero in quella maniera.
«Ma ti sei visto allo specchio? Lo sai in che mondo vivi? Come pensi di farla una cosa del genere?»
«Non credo sia tanto diverso.»
«Come no?»
«Hanno quattro zampe pure loro»
«No»
«La coda»
«SEI UN GATTO, PER DIO!»
Pat miagolò facendo il verso a nostro padre. L’ultimo verso gli si ruppe in gola perché Tex gli balzò addosso per colpirlo con tutte le forze, stavolta usando le unghie.
Io e i miei fratelli non riuscivamo muoverci, terrorizzati dalla brutalità di nostro padre.
Pat era la metà di lui, era il più piccolo fra noi fratelli, non poteva fare niente. Giaceva a terra, con nostro padre sopra di lui ad azzannargli la collottola. Lanciò dei versi acuti come mi era capitato di sentire rare volte nei topi un attimo prima che affondassi le unghie nella loro gola. Mi fece pensare che nella violenza siamo tutti uguali e mi sentii colpevole.
Mio padre rinunciò al colpo finale, soffiò in faccia a Pat e se ne andò nel salotto, dove i padroni ignari guardavano la tv.

Qualche ora dopo, nonostante il divieto di nostro padre, entrai in camera di Valentina per vedere come stesse Pat.
Le ferite avevano smesso di sanguinare, sul pelo rimanevano alcune chiazze grumose rapprese.
«Sei venuto a finire il lavoro?»
Mi avvicinai a passo felpato e mi fermai davanti a lui. Se ne stava steso su un fianco, il ventre coperto e la punta della coda che rimbalzava sul pavimento nervosa.
Non aveva le forze per reggere un altro duello ma non ebbe paura a guardarmi negli occhi:«Che cosa ci fai qui?»
«Ci tenevi proprio tanto a dispiacere nostro padre?»
«Non è mio padre.»
Fece un rumorio sordo e gutturale, come l’eco di un miagolio. Ma in quelle condizioni non avrebbe spaventato neanche un passero con l’ala spezzata.
Mi avvicinai ulteriormente, Pat non reagì. Chinai la testa per leccargli via il sangue dalle ferite.
Pat smise di miagolare e appoggiò la testa fra le zampe anteriori.
Lo pulii per almeno 5 minuti, gli unici suoni provenivano dalla strada oltre la finestra aperta.
«Ti va di uscire?» Fece Pat.«Ma dove vuoi andare ridotto così?»
Pat girò la testa e si guardò meglio:«L’ultima volta che qualcuno mi ha pulito così è stata la mamma».
Si alzò e puntò la finestra. Con un balzo salì sul cornicione. Annusò l’aria fresca e si voltò a guardarmi. «Allora, vieni?»
«Tex non vuole che usciamo di sera, lo sai.»
«Non voleva neanche che venissi da me.»
L’aria era fresca nonostante fosse luglio inoltrato. In giro non c’erano molti umani, troppo tardi per loro, anche di gatti però se ne videro pochi. All’incrocio in fondo al viale, dal lato opposto c’erano tre randagi seduti. Era strano vedere cani simili in un quartiere come il nostro eppure non sembravano lì per caso; avevano l’aria di aspettare qualcuno.
Pat si fermò al bordo del marciapiedi e ricambiò lo sguardo ai randagi.
Solo allora capii perché mio fratello aveva insistito per farmi uscire con lui.
«Non tornerai più.»
«Sii buono con Valentina, dormici tu qualche volta, le piace tanto.»
«Ma se parlassi con Tex…»
«L’ho scelto io. È questo che sono.»
Li guardai sfilare nel buio estivo. Rimasi a lungo sul gradino del marciapiede a fissare le loro sagome sparire piano piano, leggeri come certe speranze.
All’alba me ne tornai a casa. Mio padre mi avrebbe sgridato ma non importava. Era una mia scelta.


A illustrare il racconto Anatolian Cat and the Maiden’s Tower.