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Rotaie

Autore
Alessia Del Freo
Ciclo #5 - Le sette vite di Spaghetti
Narrativa
10 giugno 2021

«Mio papà dice che non ci sono più i ragazzi di una volta.»
Vito calcia contro la porta senza rete e il pallone si affossa più in là, tra i ciuffi d’erba alti. Il ragazzotto lo recupera e se lo mette sotto l’ascella, tornando dai compagni. Si rivolge al più piccolo, un bambino con gli occhi a palla e i riccioli radi.
«Un attaccante lo abbiamo fatto fuori, da quando ha la Play è diventato un pappamolle. Qui abbiamo bisogno di giocatori con le palle. Te ce le hai?»
Davide annuisce, spingendo indietro le spalle incavate.
«E la Play, ce l’hai?»
«No.»
«Come mai, non ti piace?»
«Mi sa che non abbiamo i soldi per comprarla. Non c’ho neanche il cellulare. Però il pallone mi piace di più. Dove abitavo prima ho fatto più gol di tutti» dice.
«Gli credo» Vito si rivolge ai compagni, poi di nuovo a Davide: «Ma devi dimostrarci che sei un uomo vero. Tutti quelli che fanno parte del gruppo hanno dovuto passare una prova.»
Vito si sfila un cellulare dalla tasca della tuta. I fili dell’elastico davanti oscillano, uno più lungo dell’altro.
«Guarda» e gli mostra una galleria di foto sullo schermo crepato. Una serie di arti mozzati di animali, code di cani e gatti, zampe rigide di uccelli, le orecchie lunghe di un coniglio.
«Sappiamo che hai un gatto. Portaci la sua coda.»

L’appartamento è al piano terra, le finestre della sala da pranzo danno sulla strada che affianca la piazza del comune. È vecchio, il pavimento consumato e c’è poca luce; la camera sua e di Camilla ha giusto una piccola finestra, da dove entra l’odore delle friggitoria accanto.
La madre serve gli altri membri della famiglia, taglia in quadratini la cotoletta per la figlia più piccola e ne serve metà al gatto. Una silhouette nera appare dalla porta del corridoio, attraversa la cucina a passo felpato, slittando tra i gambi delle sedie e i piedi nudi e sporchi di Camilla.
«Mamma, da quant’è che abbiamo Grattino?» chiede Davide.
«Pensa a mangiare e non fare domande idiote che sono stanca!»
La sorella ha i capelli neri come il gatto, raccolti in due codine alte, e non riesce ancora a pronunciare bene la R.
«Vieni G-r-attino vieni» dice, porgendo la forchetta di plastica sotto il tavolo. Grattino, che ha già finito la sua razione, emette un miagolio strozzato e a passo svelto raggiunge Camilla.
«Non usare la forchetta, quante volte te lo devo dire?»
«La vuoi lasciar stare questa bambina, una buona volta» interviene il padre, che fino a quel momento era stato impegnato sul suo piatto.
«Hai già finito di mangiare?» replica la madre «Io non mi sono ancora seduta.»

Quella sera, nella camera da letto che dividono, Davide chiama Camilla, sottovoce. La porta della stanza è socchiusa, dal corridoio arriva la luce della televisione che guardano i genitori.
«Cami…. che faresti se Grattino morisse?»
La sorella non risponde, anche se è a occhi aperti, seduta sul letto.
«Sei sonnambula un’altra volta?»
La mattina seguente la trova che piange tra le braccia del padre. La madre prepara i beveroni che vende porta a porta, nervosa. Grattino occupa la sedia di Davide, si lecca una zampa, indifferente come lo era prima, nella periferia dove sono cresciuti.
«Mamma?» chiede affacciato alla porta «Avete litigato?»
La madre lancia i cereali del discount sul tavolo, alcuni saltano fuori e rotolano via. Il gatto fa uno scatto impaurito, ne annusa uno e poi si acquieta.
«Stupido,» dice la madre a Davide «Io e papà non litighiamo, sei tu che sei uno stupido. Cosa hai detto a tua sorella? Sei cretino o cosa?»
Camilla piange più forte.
«Ha detto che G-r-attino moriva.»
Il padre la stringe e fissa il figlio mordendosi l’interno della guancia.
«Vai a fare colazione in camera tua, vai, pezzente.»

Quel pomeriggio al campetto c’è una novità: un bambino si è unito al gruppo. Si chiama Akim, vive nella casa accanto alle rotaie, poco più in là. Ogni volta che il treno passa cade un pezzo d’intonaco.
La rete che delimita il campetto s’incurva sotto il peso dei bambini non ancora ammessi. Le scapole di Davide s’infilano nelle maglie di ferro mentre osserva la partita: sono in meno a giocare, ci sono degli assenti, e Akim si rivela un grande attaccante; primo gol sotto la traversa, secondo di tacco – Davide studia i movimenti per replicarli quando sarà il suo turno – al terzo gol Akim strappa un cinque a Vito.
Dicono che per entrare abbia ucciso il cane, ma non si sa come. I bambini alla rete dicono che lo ha legato alle rotaie.
Pensa di andare a vedere, il passaggio a livello è proprio lì vicino; poi gli viene la nausea e se la porta fino a casa, mescolandola al fritto di pollo e patatine.

Appena apre la porta sente la sorellina strillare.
«Chiudi o G-r-attino va via!»
Da quando hanno traslocato c’è da far attenzione che il gatto non esca. Se esce, dicono che non torni più.
Sua madre raschia una pentola con una spugna ruvida, non si volta a salutarlo.
«Non eri autorizzato ad andare al campetto. Continui a fare come ti pare, eh?»
«Ma mamma…»
«E la prossima volta che bagni il letto lo dico a papà. Ti conviene stare attento. Sei in punizione per tre giorni, in camera tua!»
Mentre transita verso la stanza, scorge Camilla sul divano sfondato che accarezza Grattino acciambellato in un angolo.
Si chiude in camera, rimane in piedi tra i due letti addossati alle pareti. Almeno nella casa vecchia Camilla dormiva con i genitori e lui aveva una stanza per sé.
La sente aprire la maniglia, la porta slitta in avanti e appare tenendo il gatto sotto le ascelle, le gambe posteriori allungate verso terra e le orecchie all’indietro.
«Vuoi giocare con G-r-attino?»
Entra lasciando andare il gatto, che emette un miagolio disturbato e cammina svelto sotto al tavolo, dove si acquatta muovendo la coda. Camilla chiude la porta e si butta con i ginocchi nudi sul tappeto, i denti che le pizzicano la pelle. Agita un filo in aria per stuzzicare Grattino.
«Te non ci giochi più con lui?»
Il gatto accende gli occhi, spinge la zampe in avanti, concentrato. Già annoiata, Camilla prende a toccarsi una codina.
«Una volta ci giocavi» continua.
Davide si butta all’indietro con la schiena sul letto, una mano sulla fronte, come un giocatore sul campo dopo una partita stremante.
«Ora non più. Sono grande ormai.»
Lo dice convinto, ma con l’altra mano tasta le lenzuola. Sono ancora umide.

Per due notti non riesce a dormire. Deve entrare nel gruppo di Vito al più presto, prima che Akim conquisti il titolo di capocannoniere. Nel buio, gli occhi vigili, gli sembra di scorgere la coda di Grattino che penzola in fondo al letto della sorella.
Si alza, agguanta le forbici dall’astuccio della scuola, si avvicina. Sgrana meglio la vista e si accorge che è solo una delle code dei capelli di Camilla che dorme al contrario. Al buio sembrava davvero la coda di Grattino.

La mattina trova Camilla a piangere ancora tra le braccia del padre, mentre la madre sbatacchia gli sportelli della cucina. Grattino, nell’angolo vicino al cibo, esibisce la gamba posteriore tesa come una stecca, lavandosi l’interno coscia.
«Guarda un po’ che ha combinato tua sorella» dice la madre scocciata, senza guardarlo.
Davide vede il capo di Camilla: da una parte i capelli sono raccolti in una codina, dall’altra sono corti e seghettati fino sotto l’orecchio.
«Non mi ricordo,» singhiozza lei «ricordo che ho sognato G-r-attino.»
«È colpa del mangiare che fai. Non lo digerisce» brontola il padre.
Davide si siede senza dire niente. Versa i cereali nella tazza, guarda Grattino. Ha cambiato posizione, e ora si pesta la coda con la coscia tesa in avanti.

Dopo scuola è solo a casa, la madre è andata a fare la spesa con Camilla. Si chiude in camera, sistema la ciocca tagliata al centro della macchia scura sul lenzuolo, l’arriccia dandole una direzione curva, poi prende il cellulare di lavoro della madre, quello che usa con le clienti dei beveroni. Scatta una serie di foto buie e dal taglio obliquo, poi sceglie quella più sgranata, che più ricorda la coda di Grattino, così com’era parsa a lui la notte prima. Con il cuore che gli batte forte, la invia a Vito e poi cancella la conversazione; butta ciocca e forbici tra il muro e il materasso di Camilla.

I tre giorni di punizione sono finiti. Davide torna da scuola di buon umore, liscia Grattino, che inarca il busto sotto la sua mano. Camilla li saluta dal salotto, la mamma le sta pareggiando i capelli a colpi di forbici.
In cucina il pranzo è pronto, ma solo il padre è seduto, serio. In mano il cellulare di lavoro della madre.
«Hai visto che ha fatto quella donna?»
L’uomo gli mostra la foto sgranata della ciocca di Camilla, Davide deglutisce, non fa in tempo a dire niente che il cellulare viene lanciato a terra. I vetri dello schermo si spargono sotto il tavolo.
«La psicopatica non è tua sorella sonnambula, ma è tua madre.»
«Non raccontare stronzate a tuo figlio!» urla questa dall’altra stanza. Poi dà una sforbiciata finale, Camilla inizia a piangere, entrambe compaiono sulla porta. La madre agita le forbici in aria, puntate verso l’uomo. «Ti ho già detto che non sono stata io. Hai chiesto a tuo figlio, che non mi ascolta mai?»
Il padre le piomba addosso e le ferma i polsi.
«Minacciami di nuovo e…»
Davide prende Camilla per mano, la porta in salotto. C’è una sedia al centro, vuota, e i capelli di Camilla a terra. Grattino è acquattato, con gli orecchi all’indietro, mentre in cucina il tavolo fischia strusciando per terra.
«Perché non andiamo fuori a giocare?»
«Non voglio lasciare Grattino qui da solo.»
«Ma non lo possiamo portare fuori, ti ricordi? Potrebbe non tornare più.»
«Non lo voglio lasciare qui.»
Davide esita un attimo. Poi apre la porta d’uscita, cerca di non pensare ai rumori che arrivano dalla cucina. Grattino punta le orecchie verso l’alto, si alza sulle zampe. Poi s’incammina veloce verso la porta, sussultando a ogni colpo. Escono anche loro.
Grattino è spaesato, s’infila sotto una macchina, dopo qualche secondo attraversa rapido la strada. Alza il muso e tende le orecchie, osservando i movimenti in piazza. Procede cauto, si ferma ad annusare quello che trova per terra. Avanza spedito lungo un lato, sosta nei pressi di un motorino parcheggiato, si dà una lavata veloce sul fianco, poi riprende l’esplorazione, oltre l’edificio del comune.
I fratelli lo seguono. Al campetto c’è Vito, ci sono i bambini che giocano, Davide riconosce i numeri di Akim. Anche Grattino guarda verso il campo, attirato dai rumori, ma poi prende a camminare nella direzione opposta, verso il passaggio a livello.
Davide vede la casa scrostata di Akim, la casa con il cane spappolato sulle rotaie. Grattino prosegue, si ferma a osservare i sassi, poi agilmente passa sopra le rotaie.
«Davide!» si sente chiamare da Vito «Che fai?»
Grattino è già dall’altra parte, lontano. Vito non lo ha visto di sicuro.
«Non vieni a giocare?» urla.
«Vai a giocare?» ripete Camilla.
La rete a maglia intorno al campo è incurvata dalla sua sagome assente. La sorella lo guarda timorosa, si tengono ancora la mano. Davide cerca di scorgere le ossa e il sangue del cane di Akim, poi la prende in braccio.
«Andiamo da Grattino. Però tappati gli occhi mentre attraversiamo.»