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Mewtt gamba di legno

Autrice
Alessia Del Freo
Ciclo #14 - E vissero tutti spaghetti e contenti
Narrativa generale
1 giugno 2023

Mewtt era il suo nickname al Gioco. Quand’era connessa non parlava mai al microfono, si limitava a scrivere nelle chat e a unirsi alle squadre in modalità silenziosa, portandole sempre alla vittoria.

Si annunciava in costumi dalle cuciture luccicanti nei meandri più disparati della mappa per aprire scrigni nascosti, recuperare armi leggendarie, sconfiggere uno dopo l’altro i nemici di ogni stagione e, il più delle volte, salvare la squadra dalla disfatta. Ogni pomeriggio i ragazzini della sua scuola speravano di fare almeno una partita in team con lei, senza sospettare chi fosse. 

Mewtt aveva un soprannome anche nella realtà. La chiamavano Gamba di legno.

Trascrizione Caso 1

Può raccontarci le dinamiche della scomparsa di suo figlio?
Madre: La porta di camera era aperta. Il computer era ancora acceso e il joystick per terra. Una cosa strana, perché tratta quell’aggeggio come se fosse sacro. Gli abbiamo regalato l’ultima versione a Natale.

Lei non ha sentito nessun rumore?
Madre: Niente. Non ho sentito niente. Eppure non sono una cattiva madre. Di quelle distratte. È tutto così strano. Se fosse uscito di corsa l’avrei sentito. Magari per raggiungere un amico… Invece no. Se lo hanno preso o se ne è andato non lo so, ma è successo tutto in silenzio. Giuro, non sono una cattiva madre.
Ha notato niente fuori posto?
Madre: L’unica cosa che manca sono le cuffie. Anche quelle un regalo recente, valgono un occhio della testa. Ah, e il cellulare, ovviamente. Ma tanto dà irraggiungibile… E la geolocalizzazione non funziona. Non sono una madre cattiva, sono solo una madre sola. E ora potrei aver perso anche mio figlio…

Mewtt non era nata zoppa.

L’aveva investita un’auto a sei anni: Bambina travolta da macchina, Auto investe scolara, e ancora – Schiacciata da una macchina mentre torna da scuola, – il genere di titoli che vedi sul giornale e non pensi mai che possano riguardare te. 
Da tre anni Mewtt viveva con una protesi da incastrare nel moncherino della coscia destra, da modificare, allungare, calibrare, da stringere e avvitare ogni centimetro che lei cresceva.
Anche i suoi avatar online avevano elementi bionici: apparecchi fusi agli arti, armi integrate al corpo, bulloni alle tempie; organi pulsanti di dati digitali.
Lo psicologo di famiglia diceva che era positivo. Che la bambina accettava il suo handicap. Che sarebbe stato preoccupante il contrario, se Mewtt avesse incarnato principesse dalle gambe dritte e lisce su tacchi che non avrebbe mai potuto indossare.

Trascrizione Caso 2

Come vi siete accorti della scomparsa di vostro figlio?
Padre: Eravamo insieme fino a qualche secondo prima. Lui stava giocando in salotto, mia moglie stirava e io trafficavo non so neanche più con cosa. Sono uscito un attimo, sul retro, mentre mia moglie ha portato in camera i vestiti stirati. Quando siamo tornati, lui non c’era più.
Madre: All’inizio abbiamo pensato che fosse in bagno ma c’era qualcosa che non andava, il videogioco era ancora in funzione, e non c’erano le cuffie sulla postazione. Mica si va in bagno con le cuffie, no?
Mancava qualcos’altro?
Padre: Niente a parte il telefono e i vestiti che aveva indosso. Ha lasciato a casa anche quei mazzi di carte da cui è ossessionato. Li porta in giro anche quando non deve giocarci. Non riusciamo a capire dove possa essere andato. Dove possano essere andati.

Mewtt si risvegliò nel bosco, da sola, con la protesi qualche metro più in là. Sulla retina vedeva ancora impresse le sbarre del Gioco, dov’era scivolata per una sessione intera al ritorno da scuola.
Si trovava nel bosco che iniziava dietro al cortile, dove finivano i palloni di chi calciava male e che era proibito andare a recuperare. Era frequentato solo da qualche vecchio signore con la passione per la caccia e costeggiava da un lato la strada provinciale che portava città, dall’altro lo strapiombo che si era accentuato dopo l’ultima frana.
Mewtt individuò le cuffie da gaming abbandonate sull’erba e solo in quel momento prese coscienza di un motivetto che le risuonava in testa.
Raggiunse la protesi, la pulì dalla terra e poi la fissò alla coscia mozza. Si alzò e andò a recuperare le cuffie, scoprendo che la musica arrivava proprio dagli ovali spugnosi e spellati dall’uso. Senza riflettere se le calcò in testa e poi sulle orecchie.
La melodia era offuscante.
Tra gli alberi vedeva fluttuare le meduse celesti che nel Gioco ripristinano la barra dello scudo e un luccichio soffuso oltre i tronchi — eccolo là, sotto una radice corposa, un forziere d’oro, e più in là uno scrigno in una tana — premi e apri, raccogli le essenze, assorbi la forza di soluzioni secolari: ora l’energia è al massimo, ora se premi SHIFT puoi scattare sulle gambe e poi saltare, e saltare, e saltare doppio, e saltare triplo, in quella direzione, fino al punto sulla mappa da cui era attratta, come se dovesse essere già lì, come se fosse in ritardo.
Ma salto dopo salto si accorse che c’era qualcosa che non andava, un incantesimo l’aveva colpita, la connessione laggava, un bug; e invece no: era la sua gamba di legno. La gamba di legno era lì, anche lì, nel regno fantastico dove aveva imparato a saltare così in alto da librarsi con ali di lamiera e cavi intrecciati.
Cadde a terra e le cuffie le saltarono dal collo.
Una sensazione di pericolo la invase.

Trascrizione Caso 3

Sua figlia era mai scappata di casa prima?
Madre: Due volte. Una, era molto piccola, per una bizza. La trovammo nel giardino dei vicini. Poi due anni fa,  ma sapevamo dove andarla a prendere. Era allo skate park in città, era solo una provocazione, non voleva scappare davvero.
Pensa che potrebbe trattarsi della stessa situazione?
Madre: No, no, direi proprio di no. Non ha più avuto cali da un anno, ha ripreso peso, è in forma.
Non ha portato niente con sé?
Madre: Certo. Le due cose da cui non potrebbe mai separarsi. Il suo iPhone e gli auricolari. Ma non si riesce proprio a contattarla.

Aveva sentito le voci degli altri bambini che si davano indicazioni strategiche. Le voci erano all’interno del bosco, Mewtt poteva sentirle con le orecchie scoperte.
Stavolta appese le cuffie al collo. La melodia continuava e continuava a guidarla, anche se adesso era diventata un’eco lontana e la guidava proprio nella direzione in cui voleva andare, là da dove arrivavano le voci dei suoi compagni di scuola.
Li trovò in una radura perfetta per erigere fortini e accendere un fuoco. Tutti avevano le cuffie in capo e gesticolavano deambulando nello spiazzo. C’era chi stava chino a rovistare nel niente, chi impugnava armi immaginarie; altri sembravano tracannare pozioni succulente. La musica in quel punto era più forte, come se una seconda traccia si fosse sincronizzata con quella che usciva dalle cuffie.
Nella penombra, dove gli alberi tornavano a infoltirsi, Mewtt scorse una figura acquattata su un ceppo. Gli occhi gialli e fini, un cappello a punta a strisce rosse  verdi, e un piffero lungo e scuro che toccava leggiadro per far uscire il melodioso motivo.

Trascrizione Caso 4

Signora, lei sa che anche altri bambini sono scomparsi con le stesse modalità?
Madre: Sì, ci siamo chiamate con le altre mamme. Siamo in contatto, abbiamo fatto anche un gruppo WhatsApp.  È  terribile.
I vostri figli quindi giocavano tutti insieme?
Madre: Sì, si connettono ogni pomeriggio, parlano attraverso gli auricolari. Non ho mai ben capito chi è chi, perché si mettono quei nomi buffi.
Suo figlio non giocava mai con utenti sconosciuti?
Madre: Può darsi. So che può connettersi chiunque. Ma come le dicevo, con quei nomi non si capisce nulla…

Doveva essere il boss da sconfiggere quella stagione. Aveva bisogno di una squadra forte, ma i suoi compagni continuavano a confabulare e armeggiare nel vuoto, senza vederla.
Allora prese coraggio: calcò le cuffie e posizionò l’asticella del microfono davanti alla bocca.
«Sono Mewtt. Mi sentite? Mi sentite? Dobbiamo trovare un fortino o una grotta, qualcosa dove ripararci. Forse siete vittima di un incantesimo.»
I bambini l’avevano sentita, perché di colpo cominciarono a guardarsi intorno  e in alto, cercandola come se dovesse fare una delle sue memorabili apparizioni aeree. Ma Mewtt si rese conto che non solo era senza armi né munizioni, ma aveva ancora con sé la gamba di legno, il maledetto costume che indossava nella vita reale.
Anche il boss l’aveva sentita. I suoi occhi gialli si levarono su di lei e si erse dritto tra i tronchi in un vestito a strisce e senza gambe: il pifferaio fluttuava nel vuoto e al posto delle braccia aveva tentacoli neri che si muovevano soavi sui forellini dello strumento per emettere il suono che tornò a richiamare tutti i bambini.
Ora il boss aleggiava lungo un sentiero appena tracciato; anche Mewtt era sospinta in quella direzione, ma quando cominciò a camminare con gli altri bambini l’intralcio della protesi la fece inciampare, riportandola una seconda volta alla coscienza. Si tolse le cuffie e le gettò a terra mentre gli altri le sfilavano accanto, ipnotizzati. Oltre i tentacoli del pifferaio, oltre lo strapiombo, luccicava il mare.
«Fermatevi! Vi prego, ascoltatemi!»
Ma tutti marciavano placidi verso la morte.
Mewtt afferrò il più vicino e gli agguantò le cuffie scaraventandole a terra. Il bambino si voltò verso di lei un attimo, prima di svenire. Mewtt si chinò per appurare che respirasse, poi calpestò le cuffie da cui ancora usciva la musica, prima con la gamba normale, poi con la protesi – che faceva danni ben peggiori. Cominciò a sfilare le cuffie da tutti gli altri ragazzini che, uno a uno, crollavano nell’erba, come se la barra dell’energia si fosse estinta. A ogni cuffia distrutta con la gamba di legno, il volume della melodia si faceva sempre più basso e il pifferaio, piano piano, scomparve.

Nessuno dei bambini ricordava nulla.
Mewtt era riuscita a farsi strada zoppicando fino alla cittadina. Nessuno la ringraziò né fu additata come eroina, semmai guardata con sospetto.
Nei giorni successivi attese che i bambini si connettessero al Gioco. Era pronta a rivelare la sua identità e voleva farlo in grande stile: non tra i banchi di scuola, ma in combattimento, portandoli a riscuotere il bonus più importante della stagione.

Era così convinta e così fiera della protesi che le aveva permesso di salvarli nel bosco, che aveva persino cercato un costume che esaltasse la gamba monca: magari con uno stivale diverso, una cicatrice o un particolare tatuaggio, o un apparecchio robotico. Ma online non trovò nulla che potesse alludere alla sua gamba di legno e aspettò per giorni che qualcuno si connettesse.
I genitori dei bambini svenuti avevano deciso all’unanimità di proibire il ritrovo digitale. Avrebbero dovuto ricomprare le costosissime cuffie e con questa scusa avevano impedito gli accessi ai computer e cominciato a organizzare attività all’aperto, ben più sane e sicure per i bambini.

Il Gioco era vuoto. Mewtt non aveva mai parlato al microfono e adesso non aveva più nessuno con cui parlare. Internet era diventato un posto desolato, tanto quanto il mondo reale.


Ad illustrare: Alessia del Freo, “Il Pifferaio”, immagine prodotta con DALL.E