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Una nuvola di zucchero

Autrice
Federica Bertagnolli
Ciclo #14 - E vissero per sempre spaghetti e contenti
Narrativa generale
8 Giugno 2023

La villeggiatura era stata un’idea dei loro genitori. Idea che, com’era ovvio che fosse, aveva subito destato sospetti.
«Aria buona», avevano detto, «su in cima alle Alpi. È proprio quello di cui abbiamo bisogno».
Fu così che, tutti insieme, raggiunsero lo chalet di primo mattino, sotto il sole che splendeva con prepotenza nell’aria di vetro. L’edificio era immerso nei boschi e odorava di legno, una Schönbrunn in miniatura tinteggiata di lilla e verde pastello.

Gretel, che camminava strascicando gli stivaletti sulla ghiaia, soffocò uno sbadiglio nei pizzi neri del colletto. Era stufa di arrancare dietro al facchino, un ragazzo biondo e burbero di nome Wilhelm, e a dirla tutta era già stufa anche di starsene lassù. Aveva giocato a solitario per l’intera durata del viaggio in treno mentre Hänsel si esercitava con la calligrafia e analizzava il paesaggio attraverso un binocolo: pascoli, mandrie di bovini dallo sguardo ottuso, chiese tanto piccole da sembrare modellini di cartapesta.
Una noia mortale.
«Papà», disse Hänsel più tardi, tra i vapori della zona termale che si arricciavano su piastrelle rosa confetto imperlate d’acqua, «si può davvero morire di noia?»
Suo padre se ne stava sdraiato accanto a sua madre, e come lei aveva alcune lumache sul viso – a quanto pareva facevano miracoli contro i segni dell’invecchiamento – oltre a una schiera di sanguisughe su braccia e gambe – il salasso era all’ultima moda tra gli amici di famiglia. A entrambi era stato raccomandato di restare immobili, ma entrambi sussultarono nell’udire la voce del figlio accennare alla morte.
«Hmmm», fece la madre.
«Me lo chiedo anch’io», intervenne Gretel, impegnata a
tenere sott’acqua la testa della sua bambola simulandone le convulsioni da annegamento, «è mai successo sul serio a qualcuno?»
Il padre mandò un colpo di tosse. «Aria pulita», disse senza guardarli. «Ne abbiamo bisogno».
Fu solo a cena, davanti all’argenteria dispiegata sulla tavola come un armamentario, che Hänsel trovò modo di bisbigliare all’orecchio di sua sorella.
«Gretel», disse, «credo che vogliano di nuovo provare ad ammazzarci».

Successe il giorno seguente. Dopo ore e ore sprecate alle terme tra bagni nel fieno e ulteriori salassi, Hänsel e Gretel furono costretti dai genitori a prendere parte a una passeggiata serale nei boschi. Wilhelm, impeccabile nella divisa color fenicottero, si offrì di accompagnarli notificando la propria disponibilità con il consueto tono di voce vagamente irritato, ma gli fu risposto di no. 
«Più sospetto di così…» Gretel alzò gli occhi al cielo. «Potrebbero almeno impegnarsi».
Eppure, per quanto raffazzonato, il piano degli adulti funzionò: cambiarono direzione così tante volte e in modo tanto repentino che i gemelli persero l’orientamento. Hänsel suggerì a Gretel di segnare il percorso gettando a terra piccoli pezzi del Toblerone che avevano acquistato nella bottega di souvenir dello chalet, ma alla sorella in situazioni come questa prendeva una fame nervosa impossibile da contenere, e dunque finì per mangiarsi tutto il cioccolato. Poi, all’improvviso, alle loro spalle udirono il padre che faceva shhh!, e la madre che in un fruscio di sottane spariva tra i cespugli.
Si ritrovarono soli. E cominciò a far freddo, là nel folto degli alberi, dove tra le fronde risuonavano grida lontane e l’oscurità si addensava.
I gemelli camminarono e camminarono, ma la foresta sembrava non finire mai.
«Sei proprio una stupida», disse Hänsel. «Se non fosse per te, adesso sapremmo come tornare indietro».
Gretel non fece in tempo a ribattere che tutto a un tratto, dritto davanti a loro, il fogliame svelò la sagoma bassa e bombata di una casa.
Che non fosse un’abitazione qualunque lo si capiva al primo sguardo. Il tetto a spiovente era una colata di glassa bianca, le pareti gigantesche lastre di marzapane decorate con gocce di cioccolato, bastoncini di zucchero e caramelle.
Hänsel e sua sorella non esitarono ad affondare i denti in quel ben di dio.
«Non male», mugugnò Gretel masticando il davanzale di una finestra, «ma preferisco il Toblerone».
Decisero di avventurarsi oltre la soglia. Dentro, l’ambiente era illuminato da un fuocherello che gettava tutt’intorno ombre agitate, simili a tanti spiritelli riuniti per un sabba. Abituandosi alla semioscurità i gemelli distinsero una stanza circolare occupata da tre forni, due piccoli e uno gigantesco, e videro che ovunque erano accatastate meringhe, praline, torte alla frutta e al cioccolato, brioches…

Prima che potessero fiatare, dalla porta all’altro capo della stanza uscì una ragazza alta e magrissima, dai folti capelli biondi che scendevano ad accarezzarle le caviglie. Indossava una sottoveste logora e canticchiava agitando le dita nodose e dalla lunghezza spropositata, le unghie simili ad artigli. Fissò lo sguardo sui bambini – occhi rosso sangue come quelli dei conigli –, e con l’espressione di chi si risveglia da un lungo sonno chiese: «E voi chi sareste?»
«Io mi chiamo Gretel. Lui è Hänsel».
«Che nomi carini». La ragazza piegò la testa da un lato, e il suo collo scricchiolò come il gradino decrepito di una vecchia casa. «Vi piacciono i dolci? Volete favorire?»
«No, grazie», disse Hänsel. «Sei sicuramente una strega. Senza offesa, è ovvio».
Lei rise. «Alcuni mi chiamano così, sì».
«Per chi hai cucinato tutta questa roba?», domandò Gretel.
La strega si rabbuiò. Raccontò ai gemelli che la pasticceria era una valvola di sfogo: torte e cioccolatini le regalavano la dolcezza che nessuno dei suoi innumerevoli amanti era mai stato capace di dedicarle. In un modo o nell’altro finivano sempre per tradirla, ne era convinta anche se a loro carico non aveva mai trovato una singola prova. 
«Certe cose le sai e basta, è l’istinto femminile. Il mio, di istinto, mi ha detto che ognuno di loro non era altro che un mascalzone». Mangiò una pralina, poi con i denti – affilati come quelli di un gatto – strappò il lembo di una caramella. «Disgraziati, dico io. Prendersi gioco dei sentimenti di una ragazza!»
«Dove sono adesso?», s’informò Gretel.
La strega deglutì e sbatté le palpebre. «Sono… bè, nel forno grande».
I gemelli lanciarono un’occhiata ai mucchi di cenere che s’intravedevano dietro il portello di metallo.
«Io non volevo, dico davvero.
Non so perché, ma ogni volta che cucino per un uomo sbaglio qualcosa. Aggiungo un po’ di cicuta senza accorgermene, confondo l’arsenico con l’estratto di vaniglia… sono una tale sbadata!»
«Sbadata o no, ciò che conta è che puoi aiutarci», disse Gretel. «Devi preparare una torta velenosa per i nostri genitori. Bada bene, dovranno restarci secchi sul colpo».
«Perché mai dovreste uccidere i vostri genitori?»
Hänsel sbuffò. «Sono terrorizzati da noi. Dicono che siamo cattivi».
«Esatto», disse Gretel. «Solo perché un giorno abbiamo dato fuoco alla camera da letto».
«Già,
e scuoiato il gatto».
«In nome della scienza! Loro però si sono arrabbiati moltissimo».
«Perché, quella volta che abbiamo fatto scivolare la nonna giù dalle scale? La polizia ci ha interrogato per così tante ore che ci siamo persi il funerale».
«Oh». La strega li ascoltava rapita. «Li odiate proprio molto?»
«
Loro ci odiano. Noi più che altro vogliamo i soldi», disse Gretel.
«I soldi, sì. E i gioielli».
«E la casa in città e quella al mare, oltre alla tenuta di campagna».
«La loro è una generazione fallita. È il momento che lascino spazio ai più giovani».
«Immagino di sì». La strega si accarezzò i capelli con aria pensierosa, dopodiché raccolse un mattarello e sorrise. «Cosa gli piace, cioccolato o marmellata?»

Il piano di per sé era semplice: tornare allo chalet come se niente fosse, intrufolarsi in camera dei genitori e posizionare la torta in bella vista, in modo che la intendessero come un omaggio da parte dello staff.
«Vi accompagno», disse la strega, indossando una mantellina che pareva fatta d’argento fuso. «Sono curiosa di vedervi all’opera».
Arrivarono allo chalet che il sole si era già trasformato in un tizzone ardente pronto a spegnersi. L’idea era di guadagnare l’accesso dalla rimessa delle carrozze, ma non appena vi misero piede vennero sorpresi da Wilhelm, il quale aggrottò la fronte con disappunto.
La strega nel vederlo spalancò occhi e bocca, una mano sul cuore. «Oh…», mormorò incantata.
«I vostri genitori vi stanno cercando», disse Wilhelm ai bambini.
«Con grande apprensione, immagino». Gretel, stizzita, l’aggirò e passò oltre. «Se li vedi non dirgli che siamo tornati, d’accordo? Dev’essere una sorpresa».
Wilhelm fece per ribattere, ma non appena la strega aderì al suo corpo passandogli una mano tra i capelli, ammutolì e si fece rosso in volto. 
«Fate quello che dovete fare», disse la strega, «io vi aspetto qui con lui».
Hänsel le rivolse una smorfia disgustata. «Vuoi restare con Wilhelm
«Per sempre, mio caro. Per sempre».
I gemelli proseguirono da soli. Posizionarono la torta sullo scrittoio, come concordato, e si nascosero nell’armadio, che era zeppo di vestiti e faticava a contenere anche loro. I genitori rientrarono dalla sauna e fissarono il dolce per poi scambiarsi uno sguardo eloquente.
«Accidenti!» Gretel si agitò. «Non la mangeranno, vedrai. Mi sa che hanno imparato a farsi furbi».
«O magari non hanno fame. Forse tra un’oretta o due…»
Il guaio avvenne quando, a forza di aspettare, i gemelli si assopirono contro le ante dell’armadio, che provate dal troppo peso si spalancarono facendoli ruzzolare a terra. I genitori urlarono come pazzi e si ritrassero brandendo l’attizzatoio, nonché un lungo ombrello dalla punta metallica.
«Voi, piccoli mostri! Cosa volete ancora? Cosa?», strillò la madre. «Non ci avete già fatto impazzire abbastanza? Abbiate pietà!»
Il padre estrasse dei documenti dalla tasca e li sventolò, le dita tremanti per la paura. «Se vi tratterrete anche solo un minuto di più, finirete in orfanotrofio. Abbiamo già firmato le pratiche».
«Un po’ estremo come provvedimento, non ti pare?
Perché non ne discutiamo con calma davanti a una bella fetta di torta?», chiese Gretel.
«Fuori! Subito!», tuonò suo padre, mentre la madre sibilava: «Veleno o no, io di zuccheri non ne mangio».

Visto che la morte dei genitori era ormai un lontano miraggio e che l’eventualità dell’orfanotrofio li aveva sempre orripilati, i gemelli se la diedero a gambe. Lungo la strada del ritorno, la strega ascoltò il resoconto del loro fallimento – trascinandosi dietro Wilhelm, è chiaro – e scosse la testa.
«Peggio per loro, quella torta aveva di sicuro un sapore paradisiaco. Non sanno cosa si perdono». Si fece ancora più seria, poi schioccò le dita. «Ci sono!
Potremmo avvelenare il bacino idrico da cui lo chalet attinge acqua potabile. Ci scapperà qualche morto in più, forse, ma ne varrà la pena».
«No, sarebbe inutile. Staranno già facendo le valigie», disse Hänsel calciando un sasso. «È come ha detto Gretel, si sono fatti furbi, perciò addio tenuta di campagna».
La sorella si asciugò calde lacrime di rabbia col dorso della mano. «E addio gioielli e vacanze al mare! Non ci resta più niente, neanche un posto in cui vivere. Tutte le persone che conosciamo ci detestano».
«Io no. Anzi, trovo che siate dei bravi bambini». La strega guardò loro, poi Wilhelm, poi di nuovo loro, e disse: «Venite ad abitare da me. Organizzerò un matrimonio da favola, e una volta sposata vi farò da madre».
«Matrimonio?», chiese Wilhelm, visibilmente confuso.
«Ma certo, sciocchino. Saremo una splendida famiglia».

Le cose in effetti andarono bene, salvo qualche incidente di percorso. Nel giro di un paio di settimane Hänsel e Gretel impararono a preparare dolci e a venderli in paese; tra Wilhelm e la strega filò tutto liscio, se non altro fino alla notte dell’equinozio d’autunno, quando il ragazzo rientrò dal lavoro con due ore di ritardo.
«Non ti è sembrato che avesse sui vestiti il profumo di un’altra donna?», chiese la strega a Gretel.
«Per niente. Wilhelm ti ama, non metterti in testa strane idee. Lo sai come va a finire quando ti comporti da paranoica».
La paranoia però dovette avere la meglio visto che il giorno seguente, a cena, subito dopo aver preso una cucchiaiata di panna cotta, Wilhelm ebbe un singulto e stramazzò sul tavolo con la bava alla bocca.
«Accidenti, di nuovo!» La strega si batté una mano sulla fronte. «Stupida, stupida! Non posso crederci! Giusto prima di apparecchiare mi ero detta che potevamo risolvere tutto parlandone!»
Hänsel e Gretel posarono i loro dolci, che per fortuna non avevano ancora toccato. Consolarono la strega dicendole che era splendida e intelligente e premurosa e che avrebbe senz’altro trovato il vero amore, prima o poi.
Stavano cominciando anche loro a capire, seppure a grandi linee, cosa fosse l’affetto, e questo li fece sentire cresciuti e orgogliosi.
«Quando arriverà quello giusto, lo capirai», le disse Gretel. «E a quel punto non avrai bisogno di ucciderlo».
Hänsel annuì. «A proposito, ho conosciuto un uomo che potrebbe fare al caso tuo. È un cacciatore, abita dall’altra parte della foresta. In paese dicono che tempo fa ha tirato fuori una bambina e sua nonna dalla pancia di un lupo».
«Un vero eroe». La strega, ammirata, spalancò la bocca. «Voglio incontrarlo subito. Aiutatemi a prepararmi».
Così fecero. Wilhelm sparì tra le fiamme del forno grande nel giro di due ore, e poco dopo la strega uscì di casa tutta agghindata. Rimasti soli, Hansel e Gretel sospirarono.

«Pensi anche tu quello che penso io?», domandò Hänsel alla sorella.
«Sì. Ho fatto di tutto per dimenticarmene, dico davvero, ma non mi va giù che i nostri genitori se la siano cavata. È una questione di principio».
«Lo so». Lui le prese la mano. «Possiamo sempre rintracciarli e riprovarci.
Ho tante di quelle idee…»
«Oh, anch’io».
Sghignazzarono. Un giorno, si dissero, avrebbero portato a termine l’opera, bisognava solo aspettare che i genitori abbassassero la guardia. Poi, ereditato tutto ciò che c’era da ereditare, sarebbero tornati alla casetta di marzapane. Si erano resi conto che quel piccolo angolo di mondo valeva più di qualsiasi tenuta di campagna o di città: come si può non vivere felici e contenti quando il sole splende, le pareti profumano di biscotto e ovunque aleggia una nuvola di zucchero a velo?


Ad illustrare il racconto: nello snippet, una foto di Hannah Kurland (https://www.pinterest.it/pin/457748749597577246/); nella pagina, Arthur Rackham, The witch welcomes Hansel and Gretel into her hut (1909).