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Un posto che c’è.

Spaghetti Writers è una taverna letteraria perché questo è quello che desidera David. Una taverna arredata in maniera elegante e minimalista, dall’aria pulita, disinfettata, dove sentirsi ricercati, diversi, altolocati ma non spocchiosi, superiori ma non distanti, come quando pranzi con un poke perché il sushi è inflazionato; perché questo è quello che desiderano Alessia e Francesco.

Ma è anche un posto colloquiale, a discapito delle apparenze; i camerieri sono sempre disinvolti, cortesi e con la battuta pronta. È un posto in cui ti chiamano per nome e sanno che sugo preferisci sulla pasta. Sei fra amici qui, perché è così che vuole sentirsi Iago.

E c’è un piccolo palco in fondo, dove tutti possono esibirsi. Perché quaggiù ci piacciono la musica e gli spettacoli teatrali, soprattutto quando se ne occupa Federico.

Spaghetti Writers, con quel soffio di America, di internazionalità, quell’inglese che apre tutte le porte e ti mette in connessione col mondo, come Rachele.

E poi ci sono io, che da Spaghetti Writers non voglio niente. Perché non c’è spazio per l’io nella letteratura. Quando uno scrittore conclude l’opera non è più sua ed è soggetta all’interpretazione degli altri. Per cui non esiste il concetto: dal momento che un pensiero abbandona la mia bocca diventa vostro. I miei desideri non esistono, esiste la percezione e l’idea che voi avete dei miei desideri.

Per questo io dico che Spaghetti Writers è una porta aperta su una stanza, e chiunque ne sentirà il bisogno potrà attraversare la soglia e la stanza sarà il risultato dei desideri di questa persona insieme alle altre. E chi sarà disposto a dare riceverà in egual misura.

Ogni volta che fuori pioverà Spaghetti Writers offrirà un tetto, un pasto caldo e qualcosa da fare o con la quale intrattenersi.

A me basta questo, che un posto così ci sia.

Giulio Lepri