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Canfora

Autore
Francesco Casini
Ciclo #17 - Spaghetto meccanico
Narrativa generale
23 febbraio 2024

Butch torna una sera dal saloon con una ragazzina tutta sdentata. Lo guardo e gli dico:
«Ma che hai portato, una bambina coi denti da latte?».
«Nono», fa lui, «li ha persi a suon di cazzotti, questa è già adulta».
«Ah allora ok».
Non abbiamo soldi per due puttane, quindi dobbiamo fare a turno. Lei entra con un inchino, si chiama Millie e quando parla fischia. Ha il bustino, la gonna, le giarrettiere e tutto il resto. È veramente conciata male ma ripete d’essere pulita.
«Mi sono lavata i capelli la settimana scorsa, vi sfido a trovarne un’altra coi capelli così puliti. Sapete come si lavano? È una ricetta segreta di papà».
Ci ronza attorno e si struscia come un gatto.
«Sciogliete un’oncia di borace e una di canfora in acqua bollente. Certo dovete riscaldare l’acqua ma senti qua».
Ci fa toccare i capelli, sono morbidissimi. Comincia a spogliarsi.
«Anche papà si lavava sempre i capelli» dice, «poi lo hanno trovato in un campo. Gli hanno fatto lo scalpo i pellerossa. Lo abbiamo dovuto mettere nella bara col cappello».
C’è stato un attimo di silenzio poi siamo scoppiati tutti a ridere.
«Rompi sempre così il ghiaccio coi clienti?», chiedo.
«Di solito non ho tempo di parlare coi clienti».
Io e Butch ci scambiamo un’occhiata. Dev’essere ubriaca, ha gli occhi lucidi. Ride col risucchio, a singhiozzi, come un asino. Solleva la gonna e comincia a saltare sui letti. Ha un bel cespuglio biondo in mezzo alle cosce. Io e Butch non vedevamo una fica da mesi. La rivoltiamo come una calza.

Millie oltre ai soffoconi ci dà anche una bella soffiata. Siamo stati gentili con lei, si ferma a parlare quasi tutta la notte. Dice che odia la sua vita. È arrivata con una carovana, ha passato tutta l’infanzia sui carri coi buoi. Ha impiegato una vita ad arrivare e adesso vorrebbe solo andarsene. Ci racconta di un militare in città che gira con una borsa piena d’oro. Ha sentito la magnaccia del saloon parlarne col capo. Sono giorni che spera di conoscere questo militare, potrebbe essere l’occasione per cambiare vita. Le ragazze di compagnia come lei non le vuole nessuno, nemmeno il becchino. E lo sa perché ci ha provato. Si era innamorata di lui mentre costruiva la bara per il padre. Proprio una storia romantica, ma io a quel punto non ascolto più. Ho solo il militare in testa.
Mi dileguo per andare a pisciare. Il cesso della locanda è fuori. In realtà è un secchio dentro a uno capanno. Mentre piscio penso al militare. Deve essere matto per girare solo con una borsa piena d’oro. Finirà derubato e ucciso, pensai. E mentre do l’ultima scrollatina all’uccello realizzo che potrei farlo io. Avremmo potuto farlo noi, io e Butch. Siamo col culo per terra, ci rimane in tasca qualche reale spagnolo che accettano solo in Messico. Ho rubato solo una volta in passato ma per necessità. E anche adesso è lo stesso. Posso considerarmi un criminale? Non dico per la legge, dico agli occhi di Dio.

Esco e accendo una sigaretta. Il retro della locanda dà su una prateria. Si perde nella notte. Penso a mio padre. Al suo sguardo il giorno che venni via di casa. Ero stufo di lavorare la terra. Vado in cerca d’oro, gli dissi. Lui non rispose. Non parlava più molto da quando era morta mamma. Sapeva che prima o poi sarebbe successo. Mi mise semplicemente una mano sulla spalla e me ne andai. Sono passati tre inverni da quando l’ho abbandonato alla fattoria. Sono stato in Nevada per un po’ prima di finire a costruire ferrovie nello Utah assieme a un mucchio di negri. Volevano ferrare tutta la Pony Express Highway, ci sarebbe stato da lavorare per anni ma non volevo morire di stenti nel deserto. Ogni tanto penso di scrivere a mio padre, d’inviargli un telegramma. Ma non ho mai niente di buono da dirgli.

Butch sta parlando di Jesse James. È capace di stare zitto per giornate intere e aprire bocca solo per raccontare di Jesse James. Secondo lui non è morto. È stata una messa in scena architettata con Ford. Dice di aver visto il cadavere. Lo hanno esposto in piazza a St. Joseph nel Missouri per una settimana prima di seppellirlo. Aveva una barba lunghissima e un buco così grosso in testa che poteva essere chiunque. Millie sbadiglia. Dice che si è fatto tardi e comincia a rivestirsi.
«Vedi l’hai annoiata con le tue storie», gli dico.
Lei scuote la testa.
«Sono molto stanca».
«Siamo stati molto bene Millie» dico io, «ma prima di andare, dimmi un po’, questo militare di cui parlavi, è ancora in città?».
Mi guarda e alza le sopracciglia. È una ragazzina furba.
«Lasciate perdere».
Butch si rizza sul letto e mi guarda storto.
«Non pensare male. Magari ha bisogno di qualcuno che lo protegga, sai, non è molto sicuro girare con una borsa piena d’oro».
«Siete pistoleri? Non ho visto pistole. Secondo me pascolate le vacche».
«Comincio a capire perché ti hanno fatto saltare i denti» dico io.
«Dimenticate tutto o finiamo ammazzati».
Fa per andarsene ma l’afferro per un braccio e comincia a urlare. Le stringo a me e le tappo la bocca.
«Che cazzo stai facendo?» urla Butch.
Non so cosa sto facendo, sono terrorizzato. Comincio a sudare. Millie si dimena. La sollevo da terra mentre scalcia. Colpisce la cassettiera e manda in frantumi lo specchio. Mi fa perdere l’equilibrio e cadiamo entrambi. A terra cerco di immobilizzarla, mi morde la mano e caccia un urlo. A quel punto l’afferro per la gola, non posso fare altro, temo svegli tutta la locanda. Butch urla di lasciarla andare. Millie boccheggia per cercare un po’ d’ossigeno. Mi rendo conto che c’è sangue per terra e che mi fa male la testa, devo averla battuta cadendo. Faccio segno a Millie di stare muta. Shhhssss. Le sto sopra con tutto il peso del corpo, non può andare da nessuna parte. Se fai la brava ti lascio andare, le dico sottovoce, e finalmente si immobilizza. Comincia a piangere. Le lacrime sono calde, non lo scorderò mai. Allento la presa sul collo.
«Siamo calmi?» chiedo.
Millie fa cenno di sì.
«Ti prego», sussurra, «lasciami andare».
Piange proprio come una bambina e mi si contorcono le viscere. Mi tremano le mani. Butch mi mette una mano sulla spalla e mi dice di lasciarla andare. Mi parla come si fa agli animali feroci, rassicurante, con molta calma.
«Non è successo niente», dice Butch, «non è ancora successo niente, solo un piccolo litigio con una puttana. Lasciala andare».
Millie annuisce. Mi fa un grande sorriso con le guance rigate dalle lacrime.
«Non lo dirò a nessuno» dice lei.
«Toglile le mani dal collo», dice Butch.
«Va bene, va bene. Ma devi dirmi del militare. Dimmi del militare e ti lascio andare»
Butch viene oltre e minaccia di colpirmi. Dice che ho perso completamente il cervello. Millie ricomincia a singhiozzare. Se vengono a sapere al saloon che ha parlato, la sgozzano come un vitello. Bene, le dico io, sarà un nostro segreto. Allento la presa sul collo e le accarezzo i capelli.
«Dimmi del militare e finisce tutto».
Prenderà la diligenza per la capitale l’indomani. Non sa altro.
«Benissimo!» urlo felice.
Sollevo Millie e le sistemo il vestitino, i bellissimi capelli biondi e le asciugo le lacrime.
«Siamo amici, vero?», le chiedo con un gran sorriso.
Le do una pacca sul culo.
«Senti vuoi rimanere? Le lacrime me lo fanno venire duro» dico.
Lei mi guarda terrorizzata.
«Sto scherzando! Va’ pure».
Ridacchiamo tutti nervosamente per scaricare la tensione. Millie si muove lentamente, non ci crede d’essere libera. Si tiene la gola, è arrossata. Tossisce un pochino.
«Dai non fare la sceneggiata».
La spingo fuori e chiudo la porta. Butch è sconvolto. Mi guarda silenzioso. Mi avvicino e gli dico «domani notte assalteremo la diligenza».
«Cosa?!».

Cerco un fazzoletto e mi tampono la nuca. Forse mi sono tagliato con lo specchio.
«Non faremo proprio un cazzo!»
«Noi o lo farà qualcun altro», gli dico.
«Intendi finire sulla forca?».
Prendo da sotto al letto una scatola di legno. Dentro c’è una Colt.
«Te la racconto io una storia adesso. Questa era di mio zio. Dava la caccia ai Cheyenne nel 71esimo reggimento. L’arma è firmata vedi? Gliela dettero per il valore dimostrato sul campo. Dopo tre anni di servizio finisce in un’imboscata e il reggimento viene decimato. Prima di morire però mio Zio smonta la Colt e la infila nel culo del suo cavallo. Si hai capito bene. Gliela infila pezzo per pezzo, proiettili compresi e gli dà la via. Il cavallo si fa cinquanta miglia nel deserto con la pistola conficcata nel culo prima riuscire a tornare all’accampamento. Un vecchio uomo che tutti chiamavano Billy, mentre spala la merda nelle stalle ritrova la pistola. La pulisce per bene, la rimonta e vede la firma di mio Zio. Questo povero spalatore di merda, un uomo mai visto né conosciuto prima, una volta congedato dalla guerra va in cerca della famiglia di mio Zio. Si presenta alla nostra porta, in Kansas, quasi due anni dopo, e riconsegna la pistola a mio padre. Il vecchio Billy si è sentito il dovere di onorare un eroe di guerra. Mio padre è così commosso che lo teniamo con noi a lavorare i campi per un po’. Poi questo vecchio se ne va esattamente com’era arrivato. Noi teniamo questa pistola sul caminetto in memoria dello zio per dieci anni come la cosa più preziosa che abbiamo. Quando decido di andarmene mio padre la consegna a me. Capisci?».
Butch scuote la testa.
«Non capisco proprio cosa c’entra una pistola uscita dal culo di un cavallo con noi».
«È il destino Butch, questa pistola ha viaggiato ed è arrivata qui per questo».
«Vuoi assaltare la diligenza solo con quella?».
Gli vado incontro e lo guardo dritto negli occhi.
«Aiutami, non è questo che fanno gli amici?».
Butch scuote nuovamente la testa. È ancora in calzamaglia. Comincia a rivestirsi dubbioso. Gli dico che potremmo intercettare la diligenza a metà strada, in piena notte. Non ci avrebbero nemmeno visti arrivare. Ma Butch sbuffa, non è convinto.
«Proprio perché sono tuo amico» fa lui, «ti dico che questa è una stronzata».
Dopodiché si rigira nel letto e si mette a dormire.

Impreco ed esco sbattendo la porta. Fuori albeggia. A quest’ora l’aria è fresca e respiro a pieni polmoni. Poco lontano un ragazzino spegne i lampioni a olio sulla strada. Mi allontano dalla locanda pensando a Butch. L’avrei portato con me con le buone o con le cattive. Forse perché da solo non ne ho il coraggio, ma del resto gli faccio un favore. Potremmo diventare ricchi.
Vado all’ufficio telegrafo. Fuori si è già creata una fila di damerini e funzionari. Attendo per un po’. In fila di fronte a me un uomo ha i pantaloni macchiati di merda. La dissenteria serpeggia in città. Succede questo ad abbeverarsi assieme ai cavalli. Se poi vuoi lavarti c’è un solo spazzolino e un solo asciugamano nella locanda. Durante le epidemie è meglio puzzare.
Quando tocca a me tiro fuori gli ultimi reali che mi rimangono. Il tizio mi guarda storto ma alla fine li prende.
«Cosa scriviamo?»
«Sono vivo STOP Presto sarò ricco STOP Scusa per aver rubato la pistola STOP Ti voglio bene papà FINE».

A illustrare: fonte Pinterest