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Come quel film

Autore
Francesco Casini
Ciclo #9 - Spaghetti Freak
Narrativa Generale
31 marzo 2022

Dum saeua coirent
instrumenta necis uario congesta paratu

Anon. De bell. Aeg.


Apro la cassetta degli attrezzi della morte e prendo il grosso martello con la testa d’acciaio che utilizzo solitamente per fracassare i crani. Lo infilo nella tasca del cappotto. È pesante, un po’ mi sbilancia, il cappotto pende tutto dalla sua parte. Inforco occhiali e stivali. Mi guardo allo specchio. Sembro il fratello scemo di Steven Seagal, anzi sembro proprio Steven Seagal.
«Stai parlando con me?»
Parlo allo specchio come Al Pacino nella famosa scena di Scarface.
«Parli con me?!»
Estraggo velocissimo il martello ma scivola di mano e colpisce in pieno lo specchio che esplode. Cado all’indietro per lo spavento, ricoperto di schegge. Fanculo, penso. Mi scrollo di dosso le schegge, raccolgo il martello ed esco in strada bestemmiando. È notte, è autunno, è umido, la città puzza di muffa e mi girano i coglioni. Salgo in macchina e metto la radio a tutto volume. Seleziono la playlist “sangue morte sperma e distruzione.mp3” e i Rage Against the Machine fanno tremare i vetri. Guido per il centro osservando le strade con la musica che amplifica la mia rabbia. I ragazzi si attardano fuori dai locali, qualcuno passeggia col cane, facce di cazzo fumano agli angoli bui. Vorrei ammazzarla tutta questa feccia. Uomini alpha rozzi e mediocri con catene al collo jeans strappati le maglie attillate le sopracciglia ripulite e un qi pari al punteggio della loro squadra di fantacalcio; donne volgari e triviali con scarpe borchiate borsette firmate e volti trasformati da quintali di fondotinta della loro influencer preferita; drogati e degenerati con pitbull al guinzaglio i denti distrutti i vestiti sudici la birra del discount stretta in mano e stampata in volto la convinzione d’essere veri anarchici. Improvvisamente mi sento come Clint Eastwood in Taxi Driver e stringo forte il volante digrignando i denti. Guido fino in periferia incerto sul da farsi. Ho paura di tornare a mani vuote – poi le vedo: lunghe file di peripatetiche in ghingheri, pellicce rosa con pois a forma di cuore, alti e robusti travestiti con l’ombra della barba e le tette gigantesche, pallide e malaticce slave con lunghissimi stivali d’ecopelle. Percorro la provinciale più volte per squadrarle. Individuo una ragazza riccia che se ne sta seduta vicino a un distributore di benzina. Mi avvicino, accosto e tiro giù il finestrino.
«Hey!»
Saluta agitando la mano in modo provocante.
«Ciao bellezza.»
Si alza e viene al finestrino. Sembra italiana. Parla un po’ sguaiatamente.
«Amore, posso aiutarti?»
«Cerco compagnia.»
Lei spalanca gli occhi.
«Amore, detto così sembra che cerchi una badante.»
Rido nervosamente. Preso per il culo pure dalle puttane adesso.
«Perché non salti su?»
Mi guarda per un attimo, forse ha intuito che qualcosa non va. Alla fine sorride.
«Certo amore. Sembri un tipo a posto.»
Apre la portiera a salta su. Ingrano la prima e mi allontano. Dio mio penso, è così facile? La vita di queste troie non vale proprio nulla.
«Allora che vuoi fare amore?»
«Senti… non so… tu cosa fai di solito.»
«Sei nervoso? Stai tranquillo, ci pensa Brenda.»
Mi sfiora il braccio e ho un sussulto. Brenda si mette a ridere.
«Sei timido vero?»
Annuisco vistosamente.
«L’ho capito subito. Ormai so riconoscervi.»
«Cos’altro hai capito?»
Mi squadra, dà un occhio agli interni della mia auto.
«Che sei una persona onesta, lavoratrice, sensibile. Hai gli occhi grandi e tristi. Ti senti solo. Hai tanto amore da dare.»
Scoppio a ridere.
«Mi leggi nel pensiero, incredibile!»
«Sì, lo so, sono brava. Aspetta… fammi indovinare, sei un Capricorno!»
Inizia a parlare di segni zodiacali, pianeti, influenze esoteriche, onde interplanetarie, influssi magici. Non mi aspettavo fosse un premio Nobel ma così è troppo. Accosto in una piazzola isolata, estraggo velocissimo il martello e lo calo con forza sulla sua testa. Sento un fragoroso crack. Brenda emette un urlo prima di soffocare e vomitare sul cruscotto. È disorientata, il martello le è rimasto conficcato nel cranio ma non se rende conto. Si muove a rallentatore. Avverte un peso e si tocca i capelli. Comincia a perdere sangue dalle orecchie. Avverto un forte odore di urina e vedo scendere dal sedile ondate di piscio.
«Non sul sedile Brenda!»
Mi guarda ammutolita poi casca in avanti priva di sensi e si piega come una bambola incastrandosi tra il cruscotto e il sedile. Più veloce del previsto. Batto le mani e metto in moto, le puttane sono proprio lo spritz degli omicidi. Accendo l’autoradio e le urla di feroci band noise hard metal ricominciano.

La trascino fino al bagno e la rovescio nella vasca. Cade scomposta e pesante. Ha gli occhi rovesciati e fa schiuma dalla bocca. Mi viene in mente quel famoso spot degli anni novanta e lo canticchio allegramente,
«Sbrodolina bollicinaaaa, veste come una reginaaaa…»
Metto due dita sotto al naso per sentire se respira. Mentre mi avvicino emette un mugolio.
«Vuoi cantare assieme a me?! SBRODOLINA BOLLICINAAAA…»
Vado alla cassetta degli attrezzi della morte e prendo un grosso coltello. Torno alla vasca cantando a squarciagola.
«SBRODOLINA VESTE PROPRIO COME UNA REGINAAA…»
Sembra una scena di American Psycho con il bravissimo Edward Norton. Brenda è sottosopra con le gambe che le ciondolano fuori. Le tiro via le scarpe. Per far defluire bene il sangue dovrei appenderla ma non ho niente che possa fare da argano. Le metto una mano sul petto: il cuore batte ancora. Tasto la base destra del collo finché non sento la pelle sussultare sotto ai polpastrelli. Affondo la punta del coltello nella giugulare. Il sangue zampilla come una fontana, il getto ondeggia sul muro poi su di me. Digrigno i denti dal disgusto. Affondo ulteriormente il coltello e agito la lama finché lo zampillo non diventa un getto corposo. Le afferro le gambe e me le porto sulle spalle. Brenda emette un lungo sospiro, la vedo come rilassarsi ma in realtà è il corpo che perde pressione, si sgonfia. Il sangue sgorga e invade tutta la vasca. Brenda cambia colore. Ha smesso di schiumare dalla bocca. Un’emorragia all’arteria può uccidere in trenta secondi. Appena il flusso di sangue si affievolisce la lascio andare. Brenda giace sul fondo rosso coi capelli zuppi. Ormai è fatta, penso. Do un’occhiata all’orologio al polso. Se inizio subito forse per l’alba avrò finito. Vado al lavandino e mi sciacquo via il sangue dal viso. Tolgo giacca e pantaloni sporchi e mi osservo allo specchio in mutande. Strizzo i muscoli e poso come un culturista: che splendida macchina del massacro, penso. Aggrotto la schiena con le braccia piegate in alto: sono il tempio dell’angelo della morte. Vado in cucina e apro il frigo. Tiro una lunga sorsata dalla bottiglia di coca cola. La caffeina e gli zuccheri mi caricano.
«Dio benedica l’America.»
Chiudo tutto, batto le mani e penso a come trascinare il corpo in cucina senza trasformare casa in un mattatoio. Creo un grosso lenzuolo di plastica strappando e unendo sacchetti per l’immondizia. Torno in bagno e rovescio Brenda sul lenzuolo. Adesso è più leggera. Mi chiedo se oltre al sangue abbia perso altro. I cadaveri di solito perdono ogni schifezza, spurgano, le viscere rilasciano le feci, la vescica le urine. Ci sono casi documentati di persone che eiaculano durante un’esecuzione. A volte penso che mi piacerebbe andarmene così, un po’ come Bruce Willis alla fine di Braveheart, in piena estasi mortifera. Trascino Brenda in cucina e la sistemo al centro. È già cambiata: la pelle è secca e opaca come silicone, gli occhi hanno perso lucidità e sono affossati come quelli dei pesci al banco surgelati. Prendo un altro sacco. Le sfilo tutti i vestiti zuppi di sangue e li butto. Ogni volta che la sollevo per toglierle qualcosa, il corpo ricade a terra come un sasso. Sotto al piumino e al maglione ha dell’intimo di cattivo gusto. Le strappo il reggiseno scoprendo i seni smunti. Ha un piccolo tatuaggio sulla clavicola destra. Togliendole i pantaloni vedo una cicatrice all’altezza dell’appendice. Sotto i jeans ha la ricrescita. Il perizoma è trasparente. Lo strappo e lo sfilo da un lato. È sporca in mezzo alla gambe di un liquido verdognolo. La vagina sembra estroflessa, ha un sacco di carne che esce dallo spacco. Chissà se è un effetto della morte o ha semplicemente la fica brutta. Finito di spogliarla mi fermo un attimo a osservarla. Valuto brevemente se scoparmela e alla fine rinuncio. Non è proprio il mio tipo. Vado alla cassetta degli attrezzi della morte. Torno in cucina con seghe di varie grandezze e coltelli che ho affilato per l’occasione. Mi piego su Brenda e faccio una grossa incisione a Y dalle spalle fino all’inguine poi comincio a scollare la pelle. Quella sotto al collo la tiro fin sopra la faccia. Nei punti in cui non si stacca infilo il coltello e scavo. È un po’ come sfilettare un grosso tonno. Prendo la mazza, un punteruolo e spezzo costole e sterno. Una volta esposti gli organi seguo il metodo di Rokitansky per rimuoverli, l’ho imparato su YouTube. Qualcosa però va storto, perforo il pancreas o la colecisti o qualche altro sacchetto pieno di merda e faccio un casino. Fanculo Rokitansky, inizio a strappare gli organi ma sgusciano dalle mani e scivolano sul pavimento in ogni direzione. Incido il peritoneo e le viscere quasi schizzano fuori. Le tiro ma sembrano non finire più. Comincio ad arrotolarmele attorno all’avambraccio come una fune. Sto davvero sudando. Brenda se ne sta distesa con il lembo di pelle sulla faccia come si facesse una pennichella e mi incazzo ancora di più. Prendo una grossa mannaia e tiro colpi in ogni direzione, poi la calo ferocemente sulle giunzioni. Separo prima le gambe, poi le braccia. È davvero un duro lavoro, ma sono nato per questo.

Cerco “Roast Beef” nel ricettario. Scopro con stupore che è una ricetta inglese. Scavando bene il fondo della cassa toracica, lungo la schiena, ho ricavato i lombi e mi sembrano perfetti da arrostire. Uno lo incarto e lo congelo. L’altro lo ricopro di sale e zucchero e lo metto a marinare per una mezz’ora. Dopo lo ripulisco e lo metto in casseruola. L’esterno è essiccato a causa del sale e in cottura mi farà la crosta. Lo ficco in forno a duecentocinquanta per quasi un’ora. Nel frattempo tengo la televisione accesa in sottofondo. Al telegiornale parlano del ritrovamento dei resti di Brenda. Lo sapevo che la sabbiera per bambini non era un luogo sicuro ma lì per lì mi è sembrato divertente seppellirla al parco giochi. Partono la solita sequela di cazzate: “Ennesimo femminicidio”, “Barbara D’urso svela i retroscena: la vittima si prostituiva”, “Il vicino di casa: l’ho vista prendere il sole in terrazza”, “Il monito del papa: vietare prostituzione subito”, “Le struggenti parole del padre: non voglio rilasciare dichiarazioni”, “È caccia all’uomo, ribattezzato il mostro dei balocchi”.
«Ah!»
Me la rido mentre cucino.
«Il mostro dei balocchi!»
Dalla testa di Brenda ho ricavato la lingua. È piccola rispetto a quella degli animali ma ho letto che fritta è buonissima e sono molto curioso. L’ho tenuta ammollo in acqua per spurgarla, poi l’ho bollita. Adesso la scuoio, la passo nel sale e cerco di tagliarla a fettine. È un po’ viscida e sguscia. Alla fine le impano e le immergo in olio bollente. Ho già l’acquolina in bocca. Controllo il forno, il roast beef sembra andare alla grande. Ogni tanto apro e col cucchiaio lo bagno con i suoi stessi grassi. Adesso in cucina c’è un odore fantastico. Le fettine di lingua sono pronte. Sembrano chips. Le assaggio. Sono davvero fantastiche. In televisione c’è una stronzetta con gli occhialetti e i capelli rosa, in sovraimpressione dice “divulgatrice e youtuber”.
«Questi omicidi sono perpetrati sempre da uomini, uomini che odiano le donne.»
Il giornalista la incalza.
«È colpa della società?»
«Assolutamente. La società patriarcale cresce uomini violenti.»
Il giornalista si volta verso un altro invitato. È un vecchio essiccato con la dentiera e grosse macchie sulla pelle.
«Lei cosa ne pensa, viviamo in una società maschilista?»
Il vecchio fa un grosso respiro.
«Non c’è dubbio, viviamo in una società malata. Era già chiaro ai tempi di Eustachio d’Atene e Prometeo da Calasso.»
Tutti annuiscono.
«Adesso ci colleghiamo con Sandro Filippelli che ci parla di sottaceti: efficace e antico metodo di conservazione o c’è dell’altro?! Tutta la verità sui peperoni.»
Spengo la Tv, non so proprio di che parlano ‘sti stronzi. Tutto contento torno al tavolo dove ho sistemato i tagli di carne: dalla coscia ho tolto il quadricipite, è bello sodo, magari lo macino e ci faccio il sugo, perché no; i muscoli del polpaccio sembrano fibrosi, magari li stuferò con patate e carote; piedi e mani li ho buttati via, troppo secchi da disossare, come i volatili; intestino e stomaco sono andati nell’umido, purtroppo li ho rovinati nel tentativo di staccarli dai tendini. Andrò meglio col prossimo cadavere, penso. Ho salvato il fegato però. Ho un aspetto bello grasso. Brenda forse alzava il gomito. È tanto che voglio assaggiare il fegato alla veneziana. Domani lo salterò in padella con cipolle e salvia. Cinque minuti di cottura e dice sia delizioso. Incarto anche quello e lo metto in frigo. Intanto mangio un altro po’ di lingua e fischietto allegramente. Sul tavolo ho ancora le costole, ottime da fare rosolare in padella, e poi i muscoli delle braccia che sembrano più morbidi, magari quelli riesco ad affettarli. Finito di incartare tutto do una ripulita. Do un’ultima occhiata al forno. Il roast beef sembra pronto. Lo tiro fuori, lo metto sul piatto e lo affetto. Al centro è rimasto bello rosa ed emana un profumo incredibile. Mi siedo soddisfatto e inizio a mangiare. Proprio come quel film, Hannibal, con l’indimenticabile Morgan Freeman.