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Gatto disco marmellata

Autrice
Deborah D'Addetta
Ciclo #16 - Lo spaghetto dimezzato
Narrativa generale
26 ottobre 2023

Cara Melania,
stanotte ho sognato, di nuovo.
Ho sognato che mandavo una missiva a tutti i nostri amici in città scrivendo poche parole, “scappate, siete stato scoperto”. Con mia grande sorpresa, otto su dieci fuggivano.
Sempre nel sogno, venivo a sapere che monsieur Paulie – sai, quel mio compagno d’infanzia con la balbuzie – aveva un’amante, madame Marianne del postribolo. Ci puoi credere? Così scappava abbandonando moglie e figli (a mio parere, con buone ragioni). E tuo fratello, c’era anche lui: debiti su debiti, aveva impegnato pure le mutande, via, sparito da un giorno all’altro. I restanti sei si macchiavano dei più svariati illeciti: frode, prostituzione, riciclaggio, persino delitto – nello specifico Jacques, il nostro migliore amico, che ammazzava una coppia per gelosia.
Quella coppia eravamo io e te.
E poi mi svegliavo, ma non proprio del tutto, restavo sospeso in una bolla d’ovatta e guardavo la città che porta il tuo nome.
Dall’alto era più bella: Melania, dove ogni volta che si entrava nella piazza, ci si trovava in mezzo a un dialogo. E nel mio sogno, Paulie e il fraudolento uscendo da una porta s’incontravano col giovane scialacquatore – tuo fratello – e la meretrice; oppure il padre avaro, dalla soglia, faceva le ultime raccomandazioni alla figlia amorosa – tu – ed era interrotto dal servo sciocco che andava a portare un biglietto alla mezzana. Si ritornava a Melania dopo anni e si ritrovava lo stesso dialogo che continuava; nel frattempo erano morti Paulie, la mezzana, tuo fratello e Jacques ed eravamo morti anche io e te, non per mano sua, ma perché è così che va la vita.
E poi c’era un gatto, un gatto color marmellata. Ricordi mica come si chiamava?
Come sono strani i sogni, Melania, tu ne fai mai? Chissà, magari nel tuo il padre avaro non era interrotto dal servo e tu non ricevevi alcun biglietto. Chissà, magari su quel biglietto c’era scritto “scappate, siete stata scoperta”.
Melania ha la forma di un disco: la piazza pare un occhio aperto e tutto intorno s’irradiano come lance strade e vicoli, e casette quadrate tutte uguali riempiono i vuoti.
Ho sempre pensato che fosse un brutto posto ed è qualcosa di profondamente ingiusto: essere parte di un luogo dovrebbe farti felice e se non ti fa felice che senso ha, allora, esserne parte?
Nel mio lunghissimo sogno l’ho riplasmata, l’ho ricreata secondo i miei gusti, eliminando tutti i suoi inutili abitanti tranne te. Ti ho spostata, bambolina dai capelli rossi, da una città dei morti a una dei segni, ti ho spostata in un giardino di magnolie che si specchiava su lagune azzurre, e io andavo tra le siepi sicuro di scoprire cose belle e giovani dame fare il bagno, ma in fondo all’acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i capelli verdi di alghe.
In quella nuova città nessun Jacques ti amava e nessun Jacques ci ammazzava, ma lo facevi tu da sola, gettandoti dal pinnacolo più alto della rocca. Perché, Melania? Aspettavi una nave che passasse lassù, una nave di cui io ero il capitano. Eppure mi perdevo nel cielo, non trovando la strada per la città di cui io stesso avevo cambiato le coordinate, e così la città dei segni si trasformava di nuovo nella città dei morti.
Tutto è così melancolico.
Se mi chiedessero di stilare una lista delle città felici e di quelle infelici, metterei Melania nel secondo gruppo. Quanto è infelice il pensiero di una città infelice. Eppure non è in queste due specie che ha senso dividere i luoghi delle nostre nascite, ma in altre due: quelle che continuano, attraverso gli anni e le mutazioni, a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.
E i nostri, di desideri, Melania? Avrei tanto voluto una città che li contenesse tutti. 
Ma torniamo al mio sogno di stanotte. Dopo che otto su dieci scappavano e io e te morivamo assassinati, quel gatto color marmellata prendeva a saltellare tra i vicoli. Io lo seguivo, galleggiando nella mia bolla.
«Ehi, tu!» gli urlavo, «dove vai?».
Ovviamente la bestiola non rispondeva – ma perché ovviamente? Ero in un sogno e nei sogni tutto è possibile, anche che i gatti parlino. E infatti mi smentiva, alzando gli occhietti verdi verso di me e dicendo:
«Cerco un gomitolo».
«Come ti chiami?» gli urlavo ancora, agitando le braccia.
A quella domanda non dava risposta. Tu ti ricordi che nome aveva, Melania? Dannazione, non lo rammento più ora che sono sveglio e sto scrivendoti questa mia.
Dopo sei giorni e sette notti, arrivavo in una città bianca, ben esposta alla luna, con vie che giravano su se stesse come in un gomitolo.
Il gatto allora prendeva a parlare: “questo si racconta della sua fondazione. Uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale al tuo, videro un gatto correre di notte per una città sconosciuta, ma quel gatto non era un bestia, era una donna coi capelli lunghi, e rossi, ed era nuda. Sognarono d’inseguirla. Gira gira, ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trovarono ma si trovarono tra loro; decisero di costruire una città come nel sogno. Nella disposizione delle strade ognuno rifece il percorso del suo inseguimento; nel punto in cui aveva perso le tracce della fuggitiva, ordinò diversamente gli spazi e le mura in modo che non ella potesse più scappare”.
Una città ben esposta alla luna. In un luogo così non si può essere infelici, non credi? Per questo motivo i sogni giungono di notte, perché alla luce del sole si scioglierebbero e noi non avremmo di cosa parlare coi nostri simili – e poi sono davvero nostri simili? Io mi guardo intorno e vedo solo scheletri e fantasmi.
Melania mia, mi manchi molto. Da quando te ne sei andata non faccio altro che dormire, il mondo di giorno mi annoia, mi stizzisce, cerco le stelle nel cielo contando le ore alla rovescia, perché quando appaiono è tempo di ritrovarci.
Ma il sogno infine. Il gatto color marmellata, giunto nel mezzo della piazza, si fermava e diceva:
«Ho trovato il gomitolo».
Mi avvicinavo, nuotando tra le nuvole, abbandonavo la mia bolla d’ovatta e mettevo finalmente i piedi a terra. Il gatto aveva la tua faccia, Melania, e i tuoi capelli rossi e quel gomitolo era una pallina di vetro in cui un piccolo, piccolo omino cercava di uscire.
Quell’omino ero io.
GattoMelania mi guardava – tu mi guardavi – e sussurrava: “scappate, siete stato scoperto”.


A illustrare: Shuffles di Jenna Myers & Anna Grace (via Pinterest)