Il blocco
Ignorando le chiacchiere di Giulio, Piergiorgio passò la mano sull’enorme blocco di fronte a lui, seguendolo col palmo lungo tutta la sua lunghezza.
«…Sembra cemento armato.»
Giulio si interruppe. Federico, che se ne stava di fronte a lui con la mano aperta in attesa del suo cellulare, si voltò a fissare il monolite.
«Cosa ci fa un blocco gigante di cemento armato in mezzo a un sentiero di montagna?»
Piergiorgio rispose sfoggiando un sorriso a trentadue denti:
«Scopriamolo!»
«Qualcuno mi caga? Non abbiamo ancora finito il discorso…» Giulio sembrava abbastanza irritato dall’atteggiamento degli altri due: «…Odio lasciare a metà un discorso!»
«Anche quando il discorso in questione è particolarmente stupido?» rispose Federico senza scollare gli occhi dal blocco.
«Tu trovi stupida qualsiasi cosa a cui non sai rispondere.»
«Possibile. In ogni caso, adesso potresti ridarmi il cellulare così provo a capire cosa è sto coso? Grazie.»
Poco lontane, sdraiate in masticazione contemplativa, un gruppetto di mucche si godeva la scena sgranocchiando paciose la loro erbetta.
«Dopo,» riprese Giulio, «adesso finisci di ascoltarmi. Allora, mettiamo che questi archeologi alieni sbarcassero proprio da noi, in Toscana, e scavando con… che, cacchio ne so, sono alieni, avranno qualche strano trapano alieno. In qualche modo comunque riescono a dissotterrare un reperto, come un’insegna di ristorante o simile, scritto in dialetto toscano: cosa ne capirebbero? »
Piergiorgio iniziò a spostare con fatica un sasso di grosse dimensione per avvicinarlo al blocco.
«Che ci sarebbe scritto nell’insegna? Ma, soprattutto, vuoi ridarmi il cellulare. È mio!»
«…“Aggeggio”.» La sparò Giulio.
Federico cominciò a spazientirsi.
«Che nome di merda per un locale è “Aggeggio”?!»
«Senti, non ti fossilizzare su questo, non è importante.»
Giulio prese a smanacciare alla sua maniera mentre una mucca scosse il capo per allontanare le mosche, facendo risuonare il campanaccio al collo per tutta la valle.
«A te le gite in montagna ti fanno diventare più ciucco di quello che già sei.»
«Concentrati!», insisté Giulio che non aveva nessuna intenzione di mollare il colpo.
Federico tirò un grande respiro: «Giulio, senti: secondo me semplicemente archivierebbero il reperto e lo esporrebbero in un museo alieno senza farsi troppe domande.»
«Come si vede che sei ingegnere. Sei completamente privo di fantasia e capacità immaginative.»
«Dimmelo tu allora cosa farebbero, Sherlock.»
Sfruttando il sasso come appoggio, Piergiorgio si dette lo slancio per raggiungere la cima del blocco.
Giulio iniziò a camminare in cerchio, muovendo l’indice come un investigatore consumato: «Per cominciare, sicuramente farebbero delle ipotesi, cercando magari prima di capire l’impiego del reperto. Abbiamo detto che si potrebbe trattare dell’insegna di un locale. Bene, in questo caso non dovrebbe essere troppo difficile per loro arrivare a capire cos’è, ma stiamo dando per scontato che la società e la fisiologia aliena siano simili alle nostre, invece magari loro non fanno uso di insegne. Magari non hanno nemmeno un vero e proprio organo preposto alla vista.»
Federico non parve convinto: «E come potrebbero leggerlo allora?»
«Che ne so… non sono Margherita Hack. Col tatto, per esempio. Magari usano un sistema di scrittura simile al nostro braille.»
Al terzo balzo Piergiorgio riuscì ad aggrapparsi al bordo e, tirandosi su con le braccia, arrivò a mettere i piedi sulla cima del blocco. Il gruppo di mucche sembrò molto ammirato dal gesto atletico, non così tanto però da tributargli degli applausi.
«Deve essere un’insegna con caratteri belli spessi.» Ribatté Federico.
«Mettiamo lo sia e mettiamo che nel loro mondo di origine lo spessore dei caratteri sia legato all’importanza del messaggio, dopotutto medium is the message, diceva McGuhan.»
«McLuhan.» lo corresse Federico.
«Da quando frequenti McLuhan, che di solito leggi a malapena l’etichetta dello yogurt?» chiese Giulio sorpreso.
Le mucche, da lontano, furono scosse da un fremito.
«Non è che perché sono un ingegnere sono un coglione. Comunque l’ho letto in un articolo…» La difesa di Federico.
Giulio lo guardò sempre più sorpreso. Federico tossì: «…su Facebook».
«Ah.»
«E non era proprio proprio un articolo. Diciamo più un post, ecco.»
«Il Superuovo per caso?»
«Calciatori brutti.»
«Adesso mi torna» riprese Giulio. «In ogni caso, e adesso ti pregherei di ascoltarmi con attenzione, il fatto davvero entusiasmante, caro il mio Watson, è che gli oggetti sono legati indissolubilmente alla cultura che li produce. Questo vuol dire che, per assurdo, i nostri alieni potrebbero non solo confondere il significato di “Aggeggio”, la scritta sull’insegna, ma addirittura trovare per la nostra insegna un altro utilizzo a cui noi non abbiamo mai pensato. Che so una lapide, una tavola per scrivere…»
«Giulio, Piergiorgio è sparito.»
«Una tavola da surf, magari addirittura un’arma da guerra o… cosa hai detto?!»
Federico indicò la sommità del blocco.
«Guarda! Un attimo prima era lassù in cima e ora non c’è più. È sparito. Volatilizzato. Puf!»
Giulio alzò la testa verso il blocco, subito dopo tornò a guardare Federico, poi ancora il blocco, infine si girò verso le mucche che lo ricambiarono con la solita masticazione contemplativa.
«Perché guardi le mucche?!»
«Non lo so. Loro lo stavano osservando, magari sanno qualcosa.»
Federico spalancò le braccia.
«Giulio tu sei un imbecille.»
«Cosa ci incastra questo adesso?»
«Niente. Volevo solo che ne fossi consapevole.»
Dal centro del blocco arrivò la voce di Piergiorgio:
«Ragazzi venite!»
Non solo sembrava in perfetta salute, ma pareva anche ridersela di gusto.
«È cavo! È cavo! Venite.»
Giulio e Federico si guardarono perplessi qualche secondo, così decisero di seguire il consiglio dell’amico. Corsero fino al sasso e provarono a salire in cima al blocco. Giulio balzò per primo ma mancò la presa rovinando in testa a Federico che schiacciò una bestemmia udibile fin dal più vicino rifugio. Al secondo tentativo fu lui a provare, riuscendo a issarsi in cima. Con una certa riluttanza allungò una mano verso Giulio che così lo raggiunse senza fracassarsi al suolo.
Dall’alto i due poterono osservare che l’amico aveva ragione: l’enorme blocco era in effetti cavo e al suo interno se ne stava sdraiato, gongolante, Piergiorgio immerso in una fitta boscaglia di fili d’erba lunghi quanto un braccio.
«Com’è possibile che l’erba sia così alta? Dovrebbe arrivare meno sole lì dentro.»
Federico non fece in tempo a rispondersi che vide Giulio di fianco a lui tuffarsi a bomba: «Cowabunga!»
L’atterraggio non fu per niente traumatico. L’erba attutì il colpo con straordinaria elasticità.
«Oddio è fantastico. C’è un microclima pazzesco qui dentro, l’aria sembra ancora più fresca e pulita rispetto a fuori.»
Giulio era estasiato. Abbracciò Piergiorgio cominciando a ridere come un idiota. Federico era sempre più esterrefatto.
«Ti vuoi muovere?» gli intimò Piergiorgio «Si sta da dieci qui.»
Federico molleggiò qualche volta sulle gambe poi: «Cowabunga!»
Per le mucche lo spettacolo era finito. Restarono ignare di cosa stava succedendo all’interno del blocco e, forse in segno di protesta, decisero di sollevarsi dalla loro posizione privilegiata di osservazione in cerca di una nuova meta dove bivaccare.
Appena se ne furono andate, il blocco si animò cominciando a richiudersi sopra i tre amici.
«Sai, Giulio, credo che questo sia un “Aggeggio”.»
«Elementare Watson. Comunque ho dimenticato il tuo cellulare al rifugio. Non sapevo come dirtelo e l’ho presa un po’ larga.»
«Giulio…»
«Sì?»
«Tu sei un imbecille.»
Nessuno vide mai più quei ragazzi di Pisa.
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A illustrare il racconto:
- Cows di Oli, visibile su https://flic.kr/p/ax27Sz
- A monolith with a difference… di Andrew, visibile su https://flic.kr/p/9oKMQd