Categories

La rivolta dei Mantidi

Autore
Giovanni Altavilla
Ciclo #12 - Spaghetti Montecristo
Narrativa generale
15 dicembre 2022

Quando è troppo è troppo! Siamo nel 2022 e non è più ammissibile che per una scopata uno debba rischiare la vita. Così, dopo l’ennesimo atto di maschicidio, i mantidi si sono riuniti sotto la grande quercia, con le zampette verde foglia in aria, in segno di protesta.
«Morte al matriarcato!»
«Non uno di meno!»
«Maschio non stare lì a guardare, scendi dai rami e vieni a protestare!»
Bruchi, lumaconi, mosconi li guardano distrattamente sentendosi chiamati in causa a quell’ultimo grido, ma tornano annoiati ai loro doveri sapendo che quella faccenda non li riguarda.
I mantidi sono più che decisi, non a caso hanno aspettato la primavera per ribellarsi, la stagione dell’accoppiamento. Sono le femmine ad aver bisogno di loro!
Se il maschio non si accoppierà in questa stagione le femmine potranno dire addio alla covata – e anche a un pasto facile: la testa del maschio, che una volta conclusa la sua missione servirà solo come carburante alla femmina per portare avanti la specie. A volte sono stati visti alcuni mantidi continuare l’amplesso pure con la testa mozzata. La forma più umiliante dello schiavismo matriarcale.
Ma ora basta! Erano disposti all’estinzione anziché vivere in un mondo femminista. Se le femmine avevano tanta voglia di riprodursi dovevano imparare la partenogenesi. Il vecchio Gerald, il mantide color fango sopravvissuto per motivi sconosciuti a ogni accoppiamento, li osserva scuotendo la testa. Quanti ne ha visti di giovani rivoluzionari, pensa, ma lui non si scomoda dai rami e non prende parte alla rivolta. Molti dicono che vogliono pari diritti, come i signori mosconi o calabroni, che dopo l’amplesso banchettano sugli escrementi o sui fiori a crescere le loro pance; quanti ne ha visti, Gerald, di questi giovani pieni di energia e grinta a seguire passivamente le belle parole del capo di turno. Ma Gerald sa che la maggior parte di loro vuole vendetta. Sì, una vendetta che intendono come giustizia. Aveva cercato di parlare col capo di questi rivoltosi e gli aveva detto che c’è un altro modo per sfuggire, meno violento e vantaggioso per entrambe le parti, per tutta la specie! Gli voleva rivelare come ha fatto a sopravvivere finora. “La vendetta, figlio mio, non finirà mai”, gli aveva detto. “Fai un passo indietro, ascoltami, e saremo tutti vincitori”. Ma da giovane cocciuto anche questo capo, come tutti quelli che ha visto, gli ha urlato: “Vecchio, sei manipolato! Debole! Sei succube del matriarcato!”
E ora eccolo lì, in groppa a una di quelle radici, ad aizzare tutti quei fratelli che per Gerald sono già cibo per formiche. I mantidi esultano alle loro stesse frasi, è tutto un dimenarsi di zampette e antenne.
Ma poi tutto tace. Le antennine mulinano sincronizzate al di là delle radici a gobbe della grande quercia.
Passi pesanti si avvicinano, fanno vibrare tutto il terreno.
Come il sole che tramonta, la testa verde della femmina sorge all’orizzonte e si avvicina alla quercia oscurandoli tutti.
I mantidi la guardano dal basso, sembrano i suoi figli, le antenne si afflosciano.
Quelle della femmina esultano, come in preda a un attacco epilettico.
Poi il più giovane prende coraggio, sale su una radice dando le spalle alla femmina: «Fratelli, non abbiate paura, insieme siamo forti!
«Sì!» gridano in coro.
«Insieme…» dice il giovane ma il suo ventre si contorce. Non capisce cosa gli succede, si gira d’istinto verso la gigantesca femmina che lo osserva con quei due occhi enormi, sembrano due alveari in cui il maschio rivede dodici versioni di sé riflesse.
Le sue zampe avanzano senza che lui lo voglia, e una protuberanza si drizza dalla sua coda.
«No! Aiuto! Fratelli, perché? No!»
È una strega! mormorano gli altri mentre il giovane capo prosegue verso la morte. Si guardano intorno spaesati, sui rami e tra i fiori gli altri insetti assistono a questo spettacolo indifferenti, altri ridacchiano e sfottono.
La femmina non deve fare altro che alzare i due uncini spinati e aspettare che il maschio si avvicini un altro po’.
È un attimo.
«No!» continua a urlare la testa infilzata in una delle due morse spinose, costretto a guardare come il suo pene si dimena nell’altra, simile al pungiglione di un’ape, per trovare il suo fine. La mantide non deve fare altro che accompagnare il corpo decapitato all’entrata posteriore: la natura provvederà al resto. La mezza testa mangiucchiata del mantide è testimone della sua impotenza in una natura matrigna, ingiusta con tutti loro, costretti a essere umiliati, violentati, divorati vivi per la semplice procreazione.
Così, quando la femmina ha finito, si pulisce i suoi aculei dai rimasugli del maschio e stacca dal suo ventre il corpo raggrinzito gettandolo a zampe all’aria. E se ne va a deporre quelle che saranno altre vittime e altri carnefici. Nel silenzio, un altro mantide sale al suo posto sulla radice e urla: «Maschi, con me. Vendichiamolo!»
A sciame tutti i maschi assalgono la femmina. Ogni due mantidi uno viene ucciso, ma alla fine riescono a smembrarla. Il nuovo capo, senza un occhio, solleva la testa gigante con entrambe le zampe, con la fatica con cui solleverebbe un masso.
Sì!, gridano i superstiti e raccolgono i resti dei fratelli morti nell’assalto. Una vittoria pirrica, la chiamerebbero: metà di loro sono caduti per farne fuori una.
«Abbiamo vinto!» rinfaccia il nuovo capo a Gerald.
Il vecchio mantide drizza serafico le antenne all’orizzonte: altri passi pesanti fanno vibrare il terreno, i mantidi si guardano intorno ansiosi: all’orizzonte sbuca un’altra femmina, più grossa e inferocita.
Scoppia il panico. Ognuno sbatte contro l’altro in cerca di riparo, c’è chi prova a mimetizzarsi, chi implora in ginocchio.
Ma la mantide sembra sogghignare.
A questo punto, a passo tremolante, il vecchio Gerald decide di intervenire per evitare la catastrofe.
La mantide risponde aprendo le sue zampe aguzze e aspetta che si avvicini.
Si sentono già dei pianti e delle urla mentre il vecchio Gerald avanza, facendosi vicino a uno di quei mosconi indifferenti che svolazza panzuto sui resti dei giovani mantidi, ridacchiando della loro sorte. Ma poi, quando Gerald è a un passo da lui, il povero moscone si rende conto di aver fatto una cazzata, e allora prende a urlare: «Avete ragione! Che schifo il matriarcato! Faccio il tifo…»
Ma con un movimento da vecchio esperto Gerald lo arpiona. Morto all’istante.
Tutti si chiedono che stia facendo quel vecchio pazzo.
Le antenne della mantide sono ritte, così come le sue zampe tese al massimo, sembra diventata una grande X.
Lentamente, il vecchio Gerald giunge sotto la mantide, si inginocchia e le offre il grosso pasto obeso.
Alla vista di un bel moscone tutto lardo, la femmina non ci vede più: inizia a mangiarlo con tanta avidità da dimenticarsi di avere il maschio di fronte. Gerald allora sguiscia sotto il suo ventre enorme fino al buco posteriore, e con l’arroganza di una vespa ci insinua il suo membro al primo colpo e la cavalca liberando litri di seme nell’addome, l’unico seme che può vantare, alla sua veneranda età di ben cinque anni, di aver portato avanti la specie fregando il matriarcato.


A illustrare il racconto: “Giuditta che decapita Oloferne“, Artemisia Gentileschi, 1620, olio su tela, 199×162,5cm, Galleria degli Uffizi di Firenze.