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Muoviti con noi

Autore
Deborah D'Addetta
Ciclo #6 - Aggiungi quattro posti a tavola
Narrativa Generale
15 luglio 2021

Questa storia è autobiografica.
Lo dico a scanso di equivoci, non mi si venga a dire che ho inventato o infiocchettato gli eventi per renderli più allettanti.
Inoltre, quando pensate che certe cose non possano accadervi, perché la lunga apatia della vita illude e intorpidisce, ricordatevi di questo racconto.
La mia laurea in Lingue Orientali, ad un certo punto della mia vita, mi ha condotta in un villaggio turistico come “hostess”. Se non avete mai avuto il piacere di fare quest’esperienza, posso assicurarvi che tutto vi verrà chiesto tranne che rendere pratiche le vostre conoscenze teoriche. Non appena sono arrivata, già pregustando gli innumerevoli bagni di sole che avrei fatto (povera ingenua), mi hanno chiesto se sapessi recitare.
Ho sputato una risata snobistica e ho risposto che no, non ero capace e non l’avrei fatto neanche se mi avessero pagata.
Il capovillaggio mi ha fatto notare che sì, mi avrebbero pagata in effetti.
In quel momento ho capito che mi ero data la zappa sui piedi, perché per tre euro l’ora, se non due, era già tanto se la mattina mi alzavo dal letto.
La mattina che partiva alle sette, con il jingle del villaggio che faceva esattamente così: applauso-onda del mare, eh oooooooh muoviti con noi, eh oooooooh questa è la nostra estate, appaluso-onda del mare-trombetta.
Dopo una settimana era già diventato un pretesto per inventare nuove parolacce.
Eppure gli ospiti andavano in visibilio: lo cantavano, lo ballavano, lo imparavano a memoria, compravano il cd, la maglietta, gli slip, il cappellino, la sabbia del lido e la cacca dei gabbiani. Io li guardavo più o meno allibita.
Poi però è successo qualcosa.

A metà tra le prime settimane di giugno, mi sono ritrovata su un palco, davanti a più di novecento persone, vestita da Signora delle Camelie, a cercare di ricordarmi quattro battute in croce e tossire e piangere con credibilità per non offendere lo sketch originale di Gigi Proietti. Sorprendentemente me la sono cavata bene. La gente ha riso e mi ha persino applaudita. Due giorni dopo avevo una parte come Rizzo nel musical della settimana e una come Alice nel paese delle meraviglie in versione osé, rivisitazione molto anni ’80 che ha sempre successo nei villaggi turistici.
Quale interprete della prima ho ottenuto dei pidocchi (erano nella parrucca), una decina di lettere da alcuni ammiratori segreti e una discreta popolarità tra gli ospiti attempati. Come interprete della seconda, un infortunio al piede destro, quando, per correre dietro le quinte, ho sbattuto contro un pezzo di scenografia facendomi saltare l’unghia dell’alluce.
A onor del vero sono diventata un’attrice così consumata che a fine spettacolo, nonostante perdessi sangue e dignità, sono uscita comunque a prendermi la gloria. Il capovillaggio mi ha lanciato uno sguardo compiaciuto perché sapeva di averci visto lungo.
Il fatto è che ci prendi gusto: la gente inizia a ricordare il tuo nome, a parlarti nel tuo dialetto, ti chiede di chi sei parente, ti invita a casa propria per l’inverno successivo e ti offre in sposa ai figli e ai nipoti. Sei sei abbastanza carina e simpatica diventi l’idolo dei pulcini del Mini Club e finisci per fare da babysitter a trenta, quaranta marmocchi la cui compagnia mai avresti pensato di apprezzare.

Se siete fortunati come me poi, a capitare in un luogo a strapiombo su un mare indaco, forse vi dimenticate anche di quanto siete stati stronzi ad avere accettato un lavoro per due euro l’ora.
Poco dopo il mio exploit come attrice teatrale e poco prima di diventare la star del Risveglio Muscolare, è successo che ho incontrato l’amicizia e l’amore ed entrambi hanno dovuto vincere la mia consueta diffidenza, perché fuori da quel posto sospeso nel tempo e nello spazio non avrei dato un soldo bucato a nessuno dei due.
Quello che sarebbe diventato il mio miglior amico, da principio ci ha provato in modo spudorato. Dopo un lungo flirt (lungo per gli standard di un villaggio vacanze) ho capito che era meglio lui continuasse a insegnarmi recitazione e che io gli facessi da partner di battute più che di letto. Il secondo invece si è innamorato di me in un pomeriggio caldissimo, in preda ai fumi dell’alcol di un Gioco Aperitivo, mentre quello stupido jingle continuava a gracchiare eh oooooooh muoviti con noi, eh oooooooh questa è la nostra estate, applauso-trombetta.
È andata a finire che siamo stati inseparabili per tutta l’estate, litigando continuamente, vedendoci di nascosto dentro le cabine della spiaggia e facendo l’amore una notte asfissiante d’agosto senza che nessuno sospettasse nemmeno che ci piacessimo. O forse sì, il mio miglior amico lo sospettava, tant’è che è venuto a spiarci masochisticamente, sperando che prima o poi io confessassi.

Una sera ho deciso che non potevamo più dirci addio e riunirci in continuazione. Lui ha protestato per un po’, infine è andato via, lasciandomi senza nemmeno una manifestazione di disperazione. Io, da fan dei drammi, me la sono presa: avrei dovuto sapere che ero destinata ad amare il teatro ancora prima di salire su un palco. Gli ho scritto sul cellulare che non potevamo rompere in quel modo, allora lui è tornato indietro, ha attraversato tutto il villaggio a piedi ed è finito dritto nel recinto dei cani da guardia del portiere notturno. È arrivato da me, ben nascosta dietro un bungalow, pieno di graffi e sporco di sangue, dicendomi di aver rischiato di essere sbranato solo per un bacio d’addio. La mia sete di teatralità era stata soddisfatta e ci siamo lasciati ancora otto o nove volte, solo per replicare la bellezza di quell’accadimento così incredibile.
Come da copione, la nostra storia è finita così com’è iniziata, degna figlia di un’estate frenetica e scellerata.

Quello che posso dire è che quei mesi mi hanno risucchiata. Sono tornata a casa con circa dieci chili meno, l’alluce del piede destro storto, una valanga di lettere strappalacrime, un amico per la vita e un bagaglio di esperienze che mai avrei pensato di poter affrontare. Sì, affrontare, perché solo chi ha vissuto un’esperienza simile può davvero capire quanta fatica ci sia dietro un sorriso, quando tu sai di avere due ore di sonno, ma gli ospiti non lo immaginano neanche lontanamente perché sono in vacanza ed è tuo dovere farli divertire.
Però ricordo tuttora il batticuore dietro le quinte prima di uno spettacolo, la prima volta che ho ascoltato la mia voce al microfono, gli abbracci e le lacrime di felicità per l’apprezzamento del pubblico, le notti al chiaro di luna, birra alla mano, stesa su un lettino sotto una coperta di stelle, a chiedermi cosa diavolo ci facessi lì e perché non fossi mai partita prima.
Ricordo la pelle bruciata dal sole, i bagni che non ho mai avuto il tempo di fare, quella piccola ospite che è diventata la mia ombra e che ad oggi è una signorina e mi chiama ancora. Ricordo le freselle col pomodoro dell’ultimo lido della spiaggia, quello che ci faceva mangiare gratis perché eravamo deperiti, le prove alle tre di notte, tutti i vaffanculo detti per stanchezza, per rabbia, perché un po’ ti manca casa, un po’ stai morendo di sonno e di fame, un po’ vorresti che quell’estate non finisse mai.
Comincia a piacerti persino quella sigla di merda e la imposti addirittura come suoneria del cellulare quando ti chiama tua madre. Chiamata in entrata/mamma/ eh oooooooh muoviti con noi, eh oooooooh questa è la nostra estate.

Per non parlare degli inciuci, della responsabile del Mini Club che se la fa con il maestro di tennis, del cuoco che se la fa con l’istruttrice di pilates, del capovillaggio che in realtà fuma le canne e ama usare dildo di colore bianco, della tua collega alla reception che è cleptomane, di quell’ospite ultra ricco che ha la passione per le signore divorziate e lo vedi fare su e giù lungo la battigia in cerca dell’anima gemella e infine del proprietario della struttura che non sa un cazzo di quello che succede lì dentro, ma sorride a tutti e si augura di riceverli nuovamente l’estate successiva.
Allora ditemi, avete mai frequentato un villaggio turistico? Se siete in spiaggia in questo momento, a sorseggiare un cocktail dal nome improbabile, guardatevi attentamente intorno. Magari chiedete ai diretti interessati. Qualcuno forse avrà il coraggio di confessare tutto questo e molto di più, di farvi entrare nel mondo che c’è dietro ad un jingle che voi ascoltate per una settimana, ma che noi abbiamo sopportato per mesi.
Auguro a tutti un’esperienza simile.
Perché fare l’animatore is the new anno di leva.
E credetemi, come tutte le esperienze memorabili, non ne me sono resa conto mentre li stavo vivendo: quei mesi sono stati i migliori della mia vita.

foto di Deborah D’Addetta