Night Movie
Sono la talpa del cinema all’aperto. Scivolo sotto la terra mentre sopra di me le sedie cigolano, le voci bisbigliano, la pellicola fruscia. C’è voluto un po’ per capire che questo fosse un cinema, ancora di più per capire cosa fosse un cinema. Io sono una talpa. Gli umani costruiscono mondi sopra la terra, ma io scavo sotto, e i loro mondi mi sfuggono. Però ho imparato molto qui, sotto le loro sedie, tra la terra e le radici.
La prima volta che sono arrivato cercavo pace, e l’ho trovata nel rumore. Sembra un controsenso, ma a noi talpe piace così. Sopra c’è il vento, il freddo, il secco. Sotto è caldo, umido, morbido come il ventre di una mamma. Sotto non si vede niente, e a noi talpe non importa niente di vedere. Ci piacciono le vibrazioni, gli odori, e di queste cose il pavimento del cinema è pieno. Dei film non mi importa, ho gli occhi ma non ci vedo, non me ne faccio niente di quelle storie proiettate sullo schermo.
A volte il terreno vibra come un tuono sotto i piedi. Sento il ronzio di eliche, il tonfo delle bombe. Quando le bombe cadono, sopra tutti trattengono il fiato. È il momento perfetto per infilare il muso fuori e sgraffignare un pop-corn. Gli umani sussultano, e quando sussultano rovesciano sempre qualcosa. Non ho mai capito perché non lo raccolgano. O meglio, gli adulti no, i bambini sì, ma solo se sono passati meno di cinque secondi. Io non mi faccio questi scrupoli. Vorrei dirgli che il cibo è buono anche dopo un’ora o due, ma non so parlare e quindi questi pensieri li tengo per me.
La prima volta che sono sbucato dal prato del cinema proiettavano un film romantico. I film romantici sono quelli dove dicono ti amo. Alle volte lo dicono con un sospiro, altre volte con forza, urlando, oppure con rabbia. Non so cosa voglia dire ti amo, ma ho capito che è qualcosa che fa tremare la terra. Il cinema vive di questo. Lo sento dire sempre dopo i film, quando le persone restano ferme all’uscita e si parlano ancora un po’. Dicono: mi sono emozionato, oppure il contrario. Io però stavo lì e non sapevo. Parevo il solo, e questo mi infastidiva un po’.
Del cinema mi piacciono più di tutto i rumori, certi tamburi profondi che si diffondono nel sottosuolo e mi accarezzano il pelo. Avverto i suoni come una pacca amichevole o un abbraccio, e allora scavo fino a trovare il punto esatto dove le onde sono perfette, dove posso sentirmi stretto in quelle carezze artificiali.
Stanotte c’è di nuovo un film romantico. L’ho capito dall’odore della sala. Profumi dolci mescolati al vetiver, vaniglia e ciliegia sopra l’umido delle radici. Nelle ultime file le coppie si baciano già, lo sento dallo schiocco delle labbra e dall’aria che sa di saliva.
Poi, un soffio. Qualcosa mi sfiora la pelliccia. Forse una corrente d’aria da una delle mie gallerie, ma accade di nuovo, appena più forte. E con il soffio arriva la musica. È simile ai tamburi che mi piacciono tanto, ma più morbida, più lieve. Comincio a risalire. Ogni strato di terra che sposto, la musica si fa più velluto, finché non sbuco con la testa fuori dal prato, in mezzo alla platea. Dovrei stare attento, qualcuno potrebbe vedermi e spaventarsi, ma quella musica è dolce, e io voglio sentirla più da vicino.
Tutti sono presi dal film. La musica gentile avvolge gli attori sullo schermo, accarezza gli spettatori, accarezza me. È questo che agli umani piace del cinema? È condividere questa carezza?
Per la prima volta da quando sono qui, non mi sento solo.
Annuso l’aria. L’umidità è diversa, più spessa, come quando un temporale è vicino. Nel film, la pioggia comincia a cadere. La riconosco dal suono, quel tamburellare fitto sulle foglie. Qualcuno sussulta e gli cadono dei pop-corn. Sarebbe il momento perfetto per prenderli, eppure non mi muovo. La musica mi tiene fermo. Sullo schermo, uno dei due attori suggerisce di rifugiarsi sotto un albero. Odo il rumore dei passi, lo scalpiccio nelle pozzanghere, il fiato affannato dalla piccola corsa e la risata di sollievo per aver trovato riparo. Posso quasi sentire l’odore delle fronde, il legno umido, la terra bagnata attorno alle radici. Mi sembra di essere lì, con loro, nel mezzo della pioggia, nel mezzo della storia.
La sala trattiene il fiato. La musica cresce. Nel film, i due trovano il coraggio di dire quella parola.
Ti amo.
Un tuono rompe il silenzio. Non dal film. Dal cielo.
Il mio naso non mentiva: comincia a diluviare.
Un’acqua fitta, calda, estiva. Le persone scattano in piedi, gridano, scappano via dal cinema. Io resto lì. Il film continua, le immagini scorrono, ma ormai è tutto confuso: il suono della pioggia sullo schermo, il suono della pioggia sulla terra, su di me, sulle sedie abbandonate.
Una lacrima mi scivola lungo il muso.
Ho capito.
Ho capito cosa vuol dire ti amo.
E questi miei occhi, questi occhi che non vedono, non è vero che non servono. Posso piangerci.
Posso piangerci al cinema.
Da quella sera, ogni notte, torno nello stesso punto. Davanti a me, nella terra umida, ho seppellito un chicco di pop-corn. Forse un giorno crescerà una pianta con questo frutto che mi piace tanto, non ne sono sicuro, ma se c’è un posto dove tutto è possibile, di certo è il cinema.
A illustrare, Night Movie, generato con MidJourney.