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Mondo animale

Autore
Francesco Casini
Ciclo #5 - Le sette vite di Spaghetti
Narrativa
3 giugno 2021

In Tv passava un documentario sull’accoppiamento nel mondo animale. Spiegavano che i gatti hanno il pene spinoso per arpionare le femmine dall’interno. Un escamotage per assicurare la riproduzione. Seguivano alcune immagini di gatte inferocite durante l’amplesso. Ele fece una smorfia.
– Cristo santo, è terribile!
– La natura è perfetta, dissi sarcastico.
Ele mi lanciò un’occhiataccia.
Adesso in Tv mostravano l’accoppiamento dei babbuini. Era tutto un ingropparsi. Cavalli, rinoceronti, capre, cani, elefanti, giraffe, tartarughe, ratti, tutti nella solita posizione. Anche a me piaceva scopare così; era avvilente.
Il documentario ora mostrava rapporti omosessuali tra foche e pinguini, giraffe sodomite e gazzelle. Ele si avvicinò e mi baciò sul collo.
– Non credevo esistessero animali gay, dissi.
Mi morse un orecchio e iniziò a slacciarmi i pantaloni. La fermai.
– Devo andare al lavoro.
– Non hai voglia?
Lo chiese guardandomi dritto negli occhi. Cercai di evadere la domanda.
– Ti sei arrapata con National Geographic?
Sprofondò nel divano incrociando le braccia; non sembrava affatto divertita.
– Hey, ti sei arrabbiata?
La stuzzicai colpendole il braccio.
La Tv continuava imperterrita. A quanto pare i rospi potevano accoppiarsi anche per dieci ore consecutive.
– Quasi quanto me, esclamai improvvisamente.
Ele cercò di trattenersi poi scoppiò a ridere. Ridemmo assieme per un po’ e mi illusi che fosse tutto ok.

Quella sera minacciava pioggia. Fermo a un semaforo presi il cellulare dalla tasca, con qualche difficoltà a causa della cintura, e lo spensi. Afferrai la borsa del lavoro dal sedile passeggeri e la tirai dietro. Guidai per una mezz’ora poi cominciò a piovere. I tergicristalli erano consumati e rumorosi, azionandoli ottenni solo un ronzio. Alzai l’autoradio. Sudavo. Tolsi la giacca e gettai dietro anche quella. Lungo il tragitto vidi un autogrill. Pensai di fermarmi per un caffè, una sigaretta, e di tornarmene indietro, ma semplicemente proseguii. Guidai fino sotto casa sua, viveva nella città accanto. Spensi l’auto e rimasi solo con la pioggia che tamburellava sulla carrozzeria. Cercai con lo sguardo la sua finestra, aveva detto terzo piano. Aspettai qualche minuto, tirai un sospiro e uscii.

– Vieni pure, sono sola col gatto, disse.
Mi accolse come se fosse una visita inaspettata. C’era un gatto sul divano, mi avvicinai per accarezzarlo, era vecchio e docile. Feci per sedermi ma lei se ne stava ritta a fissarmi quindi rinunciai.
– Non sapevo avessi un gatto.
– Come potevi saperlo?
– Non me ne avevi mai parlato.
Il gatto cominciò a fare le fusa e lo fissammo per un po’.
– Guardavi la Tv? chiesi.
– In realtà leggevo.
– C’era un documentario sull’accoppiamento dei gatti.
– Cosa diceva?
– È una specie di stupro, i maschi hanno l’uccello spinoso e graffiano la femmina da dentro, dissi divertito.
– Sul serio?! Sono contenta d’averlo castrato.
Se ne stava lì a guardarmi con un paio di short strappati e una canottiera. La squadrai da capo a piedi. Era alta, aveva le gambe lunghe e ben fatte. Cominciò a venirmi duro e distolsi lo sguardo. Volevo scoparla, volevo farlo dai tempi dell’università. Ci eravamo rincontrati per caso. Parlandoci era venuto fuori che si sentiva sola e mi aveva invitato a cena. Le avevo detto che ero impegnato, al massimo potevo passare per una sveltina. Era scoppiata a ridere e ora eravamo lì.
– Mi piace il tuo appartamento.
– È piccolo ma carino, vieni.
Fece cenno di seguirla. Mi mostrò la cucina, chiese se volessi qualcosa da bere. Rifiutai, allora mi portò in camera da letto.
– Questa è la camera, scusa il disordine.
C’erano vestiti ovunque, il letto era sfatto. I muri ricoperti di poster e stampe Ikea. Sembrava la stanza di un’adolescente. Mi mostrò la libreria, i suoi autori preferiti, un libro sull’emancipazione femminile, alcuni manuali dei tempi dell’università. Aveva degli incensi, me li fece annusare. Li collezionava, mi sembrò una stranezza. Parlammo a vuoto, quel genere di chiacchiere nervose nell’attesa della prima mossa. Ad un certo punto mi dette le spalle per rassettare l’armadio. Lo faceva molto lentamente: stava aspettando. Mi avvicinai e le afferrai i fianchi. Profumava. Si lasciò andare, la baciai sul collo e le sfilai la canottiera. Non aveva il reggiseno. La schiena era pulita e liscia. Si girò, con gli occhi chiusi, e mi baciò. Sentii i suoi seni contro di me. Aveva la lingua ruvida. La spinsi sul letto e le andai sopra. 

Fissavamo entrambi il soffitto.
– Scusa, dissi.
– Non importa.
Mi buttò la testa sulla spalla e mi abbracciò. Rimanemmo seduti sul letto ad ascoltare la pioggia.
– Mi stava piacendo, disse.
– Quando? Il primo minuto o il secondo?
– Ridacchiò.
– Sai, il mio ex impiegava almeno quaranta minuti per venire.
Sgranai gli occhi.
– Sempre?
– Sì, era una tortura. Spesso mi distraevo. Pensavo alla lista della spesa, al lavoro, oppure ascoltavo la Tv rimasta accesa.
– Assurdo, dissi.
– Alla fine lo lasciai ma per altri motivi.
Fece una pausa.
– Credo di essermene pentita. Comincio a sentirmi vecchia e sola.
Si guardò attorno accigliata come se improvvisamente si sentisse scomoda dentro quell’appartamento.
– Tornando indietro cambierei tutto.
– Chiunque lo farebbe, risposi.
– Esisterà qualcuno senza rimpianti.
Ci pensai un attimo. Impossibile esistesse qualcuno che aveva fatto tutte le scelte giuste nella vita.
– Be’ sicuramente c’è qualcuno che si accontenta, conclusi.
Lei sembrò concordare con un cenno.
– Tu ti accontenti?
Guardai i piedi sbucare dalle lenzuola accanto ai suoi. Il fatto che fossi lì era una risposta evidente.
– Anche io cambierei tutto.
– Quanto indietro torneresti?
– Prima elementare.
Scoppiò a ridere.
– È così grave?!
Realizzai che la risposta era esagerata e risi anche io. Cercai di correggere il tiro.
– No dai, diciamo, terza superiore.
– A me basterebbe tornare ai tempi dell’università.
– Già. Quelli sono stati gli anni migliori e non ce ne rendevamo nemmeno conto.
Calò il silenzio. La chiacchierata aveva preso proprio una brutta piega, cercai di scherzarci su.
– Comunque dovremmo continuare a vederci, ci divertiamo un sacco assieme.
Rise nuovamente, di gusto.
L’accarezzai, mi portai la sua testa al petto e le passai la mano tra i capelli neri. Rimanemmo così finché non smise di piovere.

– Devo proprio andare, dissi.
– Davvero non rimani a dormire?
– Non posso proprio.
Raccolsi i vestiti per tutto il pavimento. Lei s’infilò la canottiera, era lunga abbastanza da coprirle l’inguine. Tornammo in soggiorno. Il gatto era ancora addormentato sul divano come niente fosse.
– Posso fumare? Chiesi.
– Dammene una.
Aprì la finestra e fumammo in silenzio. Eravamo due sconosciuti dopo tutto.
Finita la sigaretta la gettai in strada e feci per andarmene. Lei mi seguì fino al portone. Quando fu il momento di salutarci le detti un bacio sulla guancia.
– Sono stata davvero bene, disse.
– Anch’io, risposi sorridendo.
– No davvero, era tanto che non stavo bene così.
Fece una pausa, poi continuò.
– Forse è meglio se non ci vediamo più.
La fissai in silenzio.
– Non voglio starci male, concluse.
Non sapevo cosa rispondere. La baciai ancora sulla guancia, le dissi che mi dispiaceva e venni via.

Guidai finché non riconobbi il viale di casa, le macchine dei vicini, e quegli stupidi particolari che restituivano familiarità: l’intonaco sbriciolato del palazzo di fronte, un cartello di divieto nascosto dalla chioma d’un albero, l’intermittenza d’un lampione malandato. Imboccai il parcheggio del condominio e spensi l’auto. Era tutto finito, pensai. Al mattino mi avrebbe svegliato Ele baciandomi. Sarebbe stata una giornata come un’altra, avrei dormito fino a tardi, poi avrei passato il pomeriggio lavorando. In serata avremmo scopato e saremmo andati a cena come sempre. O forse no? Non lo sapevo più.
Entrai in casa e andai dritto al bagno. Avevo l’odore di lei addosso. Gettai i vestiti in lavatrice e mi detti un lavata. Ele dormiva. Entrai nel letto e l’abbracciai. Si mosse, nel sonno, e mi dette un bacio.
– Ti amo, le dissi.
– Anch’io, rispose. Poi tornò a dormire.
Al risveglio non se ne sarebbe ricordata.


A Illustrare il racconto, Zoo di Igor Skaletsky.