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Transizioni di civiltà

Autore
Angelo D'Antonio
A scelta dello chef
Narrativa generale
5 ottobre 2023

Prima dell’ora successiva avevano dieci minuti liberi. Il professor Campioli tardava sempre e c’era il tempo per alzarsi e gironzolare, per andare in bagno e tornare, per riprendere i discorsi iniziati al mattino e interrotti dalle lezioni. In quella precedente, il professor Nerio aveva scaldato gli animi, deviando dagli argomenti previsti. Avevano parlato di identità, lasciando delle questioni aperte. Rossella si alzò dal suo banco e si sbracciò verso Ahmed, in piedi al centro dell’aula. Era apparecchiata come al solito. Un top di una taglia più piccola. I capelli biondi e artificiali. Grandi orecchini tondi che arrivavano quasi alle spalle. Le gambe muscolose fasciate in un jeans a vita alta. Ai piedi aveva delle semplici scarpe da ginnastica perché i tacchi le erano stati vietati. Ci avevano provato anche con la scollatura e lei aveva fatto un casino. Da un anno aveva le tette più grandi e belle della scuola. Aveva cambiato guardaroba e quando sfilava per i corridoi si giravano tutti. Finalmente si sentiva nel corpo giusto.

«Dove eravamo rimasti io e te?»

«Rossella non mi rompere il cazzo, ti ho detto che non ne ho voglia.»

«Come al solito, abbandoni le discussioni quando pensi di averle vinte. Ma dopo quello che ha detto il Nerio, ti tiri indietro?»

Si sedettero uno di fronte all’altra. Li divideva il banco di Sveva. Momo stava per uscire, li vide e tornò accanto all’amico, rinunciando all’idea di una sigaretta. Afferrò una sedia libera e con un rapido movimento del polso la fece roteare in aria. Lo scheletro in ferro cavo fracassò sul pavimento. Tutti si girarono e per un attimo ci fu silenzio. Fu come il segnale di un’adunata. Momo appoggiò gli avambracci muscolosi sull’orlo sbrindellato dello schienale e si sedette. Nel frattempo, anche Sveva era tornata al suo posto, pronta a sostenere l’amica: «Si entra in scena!».

Chi era rimasto in classe si dispose intorno ai quattro. Quelle discussioni si svolgevano in un angolo dell’aula, qualcuno alzava la voce e attirava i compagni: col tempo, quasi tutti iniziarono a parteciparvi. Sebbene all’inizio avessero diviso la classe, prodotto bisticci e antipatie, nemmeno il Nerio, che era a conoscenza delle questioni, le aveva censurate. Aveva detto: contribuite, siate civili. Discutete e non insultatevi. Il cerchio è la forma del discorso. Siete maturi abbastanza.
E così fecero. Al centro: Ahmed e Momo, Rossella e Sveva. Poi tutti gli altri: si poteva valutare con precisione, misurando la distanza l’uno dall’altro, la confidenza o il riserbo reciproco. Gli amici si toccavano per almeno un lembo del corpo,  il lato esterno delle braccia scoperte, si sfioravano le cosce o gli stinchi, sicuri di intendere le cose allo stesso modo. Gli indifferenti assistevano soli, in disparte, ai margini del cerchio. 
Sveva guardò Momo, sorrise con un cenno d’intesa, poi si rivolse ad Ahmed: «Ecco, adesso c’è anche la tua guardia del corpo. Allora?» 
Sveva aveva capelli neri, una rigida frangia le tagliava il volto altrimenti morbido; occhi scuri, grandi e rotondi e labbra carnose. Interamente vestita di nero – una maglietta a maniche lunghe dei Japan e un jeans stracciato da cui spuntava la trama delle calze – aveva una pelle bianchissima che non scopriva mai, nemmeno nei mesi più caldi. Rossella le diceva sempre che mezza scuola voleva fare sesso con la ragazza dark e curvy di quinta B, mentre lei invidiava all’amica la sfrontatezza e il coraggio. 

«Non ho bisogno di ascoltare i sermoni del Nerio», disse Ahmed. «Tutti parlano di identità di genere, di orientamento sessuale. Tutti. Ne so abbastanza.»

Ahmed aveva il vezzo di pizzicarsi la punta della barba ancora immatura che spuntava dal mento. Sembrava che ogni ad ogni tocco corrispondesse un pensiero profondo e quell’abitudine gli dava una postura incurvata e raccolta. Ma quando pronunciò tutti si distese, appoggiando le scapole sul duro schienale. Poi, con le braccia aperte, sbilanciando la testa all’indietro, come se dovesse perderla da un momento all’altro per sfinimento, aggiunse: «Che noia, parlate sempre delle stesse cose». Allora Sveva si sollevò leggermente, allungò il braccio sopra il banco, come per afferrare Ahmed, la sua barbetta e il discorso che minacciava di abbandonare, ribattendo: «noi siamo fortunati a poterne parlare senza…zack!». E fece scattare orizzontalmente l’indice, mimando il gesto di un taglio a qualche centimetro dalla gola di Ahmed.
Sopra le teste dei quattro sfidanti si sollevò un’unica gracchiante risata, proveniente da quel singolare spettatore concentrico che interveniva a piacimento, caustico e maldestro, un coro di stonati abituato alla ripetizione della medesima messa in scena: 

Chi taglierà la testa di Ahmed? 

Gli amici di Momo taglieranno la testa del Nerio se ascoltassero le sue lezioni!

Gli amici del parchetto!

Come in Francia!

Vorrei la testa del Nerio a casa. Potrebbe consigliarmi su ogni cosa.

Sulla Filosofia!

Sul comodino, prima di andare a dormire.

E cos’altro vorresti fare con la sua testa?

Qualcuno fece un gesto osceno e ci furono risate da iena. Nessuno dei quattro si girò. Restarono immobili, aspettando che i compagni esaurissero il controcanto, come da copione.

SVEVA: Non avete sentito? Ahmed non ha voglia. Forse perché si sente debole, è a digiuno da stamattina. Non puoi aiutarlo tu, Momo? 
MOMO: Io faccio fatica a pensare anche quando mangio dall’alba al tramonto, non so Ahmed. Però so un’altra cosa. Chi mangia il maiale poi finisce per assomigliare a un maiale. Sveva a te piace tanto il maiale? 
SVEVA: Body shaming! Ho il culo grosso come quello di tua madre. Lo so che ti piace!
MOMO: Solo per la tua carne farei un’eccezione.
SVEVA: Solo per me? Bugiardo, sappiamo quanto sei arrapato. Habibi!
AHMED: Non sai pronunciarlo bene.
ROSSELLA: Ahmed, hai sentito il prof? Dio è morto. Ma per qualcuno sopravvive tra i cadaveri di tutte le divinità passate e continua a dare ordini su chi dovremmo essere. Noi, invece, siamo liberi di scegliere la nostra identità.
AHMED: Nietzsche è roba da quattordicenni. Io preferisco Marx, Mark Fisher, Land.
ROSSELLA: Un marxsulmano! Ti credevo più un tipo da Dio, patria e famiglia. Cambi sponda più facilmente di me!

I compagni intervennero dal recinto esterno di sedie e banchi, con voci stridule che parevano di capra:

È l’Accelerazionismo! 

Si va di qua e di là.

Non si capisce niente!

Destra, sinistra, centro.

È il tramonto dell’Occidente.

O la transizione dell’Oriente?

Ahmed, che idea ti sei fatto?

AHMED: Mi spiego.  Perché dovrei fare un esperimento con la mia identità? E siamo sicuri che, una volta fatto, sia davvero una conquista personale? La spinta a realizzare ogni desiderio è solo un riflesso della società dei consumi. La famiglia tradizionale, i ruoli di genere, gli orientamenti codificati sono dei vincoli che il capitalismo deve disgregare. Il sistema pretende soggettività dinamiche. La libido non deve cristallizzarsi in alcuna funzione oppressiva: padre, madre, maschio, femmina. Deve invece muoversi, essere fluida. Dobbiamo obbedire al comando di essere liberi per godere di ogni tipo di merce, provandole tutte. Trucchi, vestiti, cazzi di gomma, ovociti.
MOMO: Tette.
ROSSELLA: Momo ti piacciono le mie tette? Puoi toccarle.
MOMO: Davvero?
ROSSELLA: Dopo te le faccio toccare. Sono tutti curiosi.

Ancora una volta, qualcuno belò alle loro spalle:

Non è giusto.

Anch’io!

Ahmed se non avessi un naso così grande, con un po’ di barba, somiglieresti a Socrate!

Socrate era brutto.

Appunto!

AHMED: Essere in transizione è proprio da conformisti.
ROSSELLA: Che tesi originale! Mai sentita, davvero.
AHMED: Aggiornati. Fai parte di un fenomeno di massa. Non si può sfuggire al corpo.
ROSSELLA: Quindi io sarei un automa capitalistico, asservito al potere culturale del mercato, vittima di una moda passeggera. Mentre tu, che adegui il tuo comportamento a un codice scritto secoli fa, saresti un rivoluzionario?
AHMED: È così. Io faccio resistenza.

I due avrebbero potuto fermarsi, soddisfatti delle reciproche differenze, ma la cerchia degli insolenti cercava la lite piuttosto che la filosofia: 

In effetti, vivere secondo una morale antica può essere vantaggioso. Se la godevano.

È un privilegio non fare i conti con il presente. E poi darsi delle arie da romantico inattuale!

Ma è anche da stupidi lasciarsi trascinare dai tempi che corrono.

Se la godevano solo i maschi! Chi non vorrebbe essere Achille e avere Briseide?

L’intero discorso manca di rigore storico e filologico. 

Vogliamo fare della cancel culture? Era un’altra cultura.

Con lo stesso argomento potremmo giustificare tutti gli stupri di Zeus, per non parlare delle giovani mogli di…

Non si torni a parlare di Indro! O intendiamo altro?

Andiamo a imbrattare la sua testa di bronzo! Stanotte.

Non si può, c’è il Ramadan.

Noi non abbiamo problemi a contestare la nostra cultura.

Noi, chi?

Quei commenti attraversarono l’aula, mentre gli sfidanti cercavano di conservare la concentrazione. Ciascuno voleva spuntarla con la forza dei propri argomenti:

ROSSELLA: Quindi ognuno è figlio del suo tempo.
AHMED: Certo.
ROSSELLA: Sei d’accordo che la cultura determina le nostre scelte?
AHMED: In parte, si.
ROSSELLA: Anche tu sei un uomo del tuo tempo, giusto? Sei stato influenzato dalla tua famiglia e hai scelto di essere maschio, etero.
AHMED: Io sono normale.
ROSSELLA: Sei normale come lo era un uomo del VII secolo?
AHMED: Da un punto di vista sessuale, si.
ROSSELLA: Vorresti avere anche più mogli? È lecito scopare con più mogli contemporaneamente?
AHMED: Non sai un cazzo, stai zitto.

Per un attimo ci fu silenzio. Tutte le offese erano possibili. Il Nerio gli aveva detto: ogni discussione è un agone, ma delimitate il campo, colpitevi con arguzia e rispetto. E tutto si poteva dire, tanto poi tornava la pace. Ma Rossella aveva preteso di essere identificata come donna. Ahmed aveva oltrepassato il limite. I compagni trattennero il fiato e nessuno osava iniziare il solito contrappunto sgraziato. Solo tacendo andarono a tempo e furono d’accordo. La pausa sembrò a tutti più lunga, il tempo necessario a Rossella per riprendere l’attacco:

ROSSELLA: Cosa significa Islam?
AHMED: Sottomissione.
ROSSELLA: Sottomissione a una cultura.
AHMED: A una religione.
ROSSELLA: Una persona sottomessa obbedisce ed è determinata nella sua volontà, giusto?
AHMED: Obbedisce alla Verità.
ROSSELLA: Certo, ed è vero che per essa esistono solo due generi e due orientamenti sessuali?
AHMED: È così.
ROSSELLA: Quindi tu sei pienamente determinato, obbediente, alla tua cultura o religione. Esattamente come lo sono io, come tu hai già detto. Perciò, io e te siamo nella stessa condizione. Siamo stretti tra simboli, discorsi, parole, che provengono dall’esterno e nonostante ciò desideriamo, vogliamo essere riconosciuti, costruiamo la nostra identità con quello che c’è. Entrambi siamo condizionati e ripetiamo un esperimento elaborato da qualcun altro.
AHMED: Ognuno a suo modo.
ROSSELLA: E come facciamo a decidere cosa è meglio per noi stessi? Qual è l’esperimento migliore?
AHMED: Non siamo nella stessa condizione. Io non sono abbastanza ricco per transitare da un genere all’altro. Non ho abbastanza soldi per rifarmi le tette.
ROSSELLA: Per essere libero?
AHMED: Stronzate.
ROSSELLA: Non è la tua religione la fonte di ogni ricchezza interiore? Allora, certamente sei più ricco di me, povera anima dannata.

La cerchia degli spudorati odiava ogni momento profondo:

Quando le tue tette bruceranno all’inferno ce ne accorgeremo fin quassù per la puzza di diossina.

Non sono finte, coglione, sono gli ormoni.

Gli ormoni?

C’è un girone infernale che accoglie i chirurghi plastici.

Voglio anche io gli stessi ormoni.

Non ci sono gli ormoni per il cazzo!

ROSSELLA: Allora, Ahmed, come facciamo a decidere cosa è meglio?

In quel momento il professore di matematica, un uomo piccolo e collerico, entrò nell’aula: «Tutti a posto. Rimettete i banchi in ordine». Pigramente, attori, spettatori e membri del coro ruppero il cerchio. Rossella, approfittando della distrazione dei compagni, sussurrò qualcosa all’orecchio di Momo, poi chiese al professore di uscire. Un attimo dopo, Momo fece la stessa richiesta. «Uno alla volta», disse.
Ma sono bagni diversi.
Il coro faticava a disperdersi. Il professore, assumendo un’espressione che pareva di disgusto, con un gesto diede il permesso. Ahmed osservò l’amico uscire, ne cercò lo sguardo senza essere ricambiato. Sull’uscio, sgomento e sorpreso dall’ira, gli rivolse un ultimo appello, che nessuno riuscì a udire, poiché tutti si chiedevano:

Cosa è meglio?


Ad illustrare il racconto: foto di Fernando Albarran, dallo spettacolo teatrale “Medea”