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Spaghetti alla Nerano

«E cucuzzieeeeeeeell!»
L’urlo si perse in una moltitudine di schiamazzi, trombette, campanelle e parolacce, una festa di contrattazioni e vendite, di colori e baccano.
Il mercato nell’unica piazza di Marina del Cantone riuniva praticamente tutti gli abitanti del paese. Ci si andava a prescindere, anche se non si aveva nulla da acquistare: era come un pellegrinaggio settimanale, il quotidiano locale e la stazione meteorologica messi insieme. 
Inoltre, i venditori erano più numerosi degli stessi paesani e quindi la concorrenza era alta, col risultato che si schiamazzava per attirare l’attenzione e la buona sorte.
Maria Grazia era uscita da sola quel giorno: aveva preso in prestito la bici del nonno ed era rotolata giù dalla collina, godendosi il vento e il sole dell’estate alle porte. La gonna a quadretti ondeggiava maliziosa e lo scoglio Pila Nova sembrava salutarla da lontano, con il suo luccichio sfacciato. Il mare era una tavola d’un blu sconveniente.
«E cucuzzieeeeeeeell!»
Fu il primo grido che sentì una volta arrivata al mercato. Si prese tempo per guardarsi intorno, le donne tutte vestite uguali, con le gonne all’altezza del ginocchio, le scarpette tonde col tacco corto e le camicie morbide dal colletto ricamato. La maggior parte di loro portava anche dei grembiuli, alcuni umili, altri con dei dettagli floreali, e quasi tutte riparavano i capelli dal sole con dei fazzoletti di stoffa.
Alcune, poche, erano vestite a lutto.
Fece un giro, poi un altro, saluti che volavano a destra e a manca, persino un complimento o due, poi comprò quello che serviva per il pranzo di quel giorno, delle zucchine, cipolle, un paio di sacchetti di formaggio grattugiato e dei pacchi di pasta in più, non si sapeva mai, chè i clienti del ristorante di famiglia erano sempre imprevedibili. Fece anche una capatina da Peppino il pescivendolo che ormai da trent’anni era il loro fornitore di pesce e crostacei e si assicurò che non mancasse niente nell’ordine della settimana.
Quando fu di ritorno a casa, nonno Salvatore era già in fibrillazione: erano passate da poco le dieci e aveva già apparecchiato tutti i tavoli con delle tovaglie azzurre, spolverato le sedie di legno, aperto gli ombrelloni, riempiti di fiori freschi i centrotavola e mandato avanti la brace per la solita grigliata di pesce giornaliera. La spiaggia a pochi passi dal ristorante era brulicante di gente che si godeva la bella giornata.
Suo nonno aveva aperto quel locale nel 1922, poco più d’un pertugio che serviva solo frittura di paranza e pesce azzurro grigliato, ma col tempo e grazie allo spirito pratico di sua moglie, era diventato in breve tempo un’istituzione. Portava il nome di “Da Totore a Nerano”, ma tutti lo conoscevano semplicemente come “Da Totore”.
Poco alla volta, per fronteggiare l’arrivo di un numero sempre maggiore di clienti, erano entrati in società anche i suoi figli e, da pochi anni, anche Maria Grazia. Si occupava di prendere gli ordini, portare acqua, vino e pane a tavola e di mettere a posto quando i clienti avevano finito. Ogni tanto poi, come quella mattina, veniva mandata al mercato a prendere le cose che mancavano.
La giornata pareva essere iniziata con tutti i migliori presupposti – il solito caos, utensili che non si trovavano, menù volanti e un caldo da far sciogliere – quando all’improvviso arrivò una barca. Maria Grazia si mise una mano sugli occhi per guardare bene, e quando ebbe guardato bene, lasciò cadere dalle braccia tutti i menù. Corse in cucina, spalancò le porte e si ritrovò immersa in una nuvola di vapore e fumetto fragrante di crostacei.
«Ci sta Pupetto!» esclamò.
Sua nonna, sua madre e sua zia si voltarono all’unisono.
«Che dici?» chiese la mamma.
«Ho sentito bene? Ha detto Pupetto?» aggiunse la nonna.
«Gamberetto? Sì, ci stanno oggi, ma Peppino ancora non li porta, quel disgraziato.» finì la zia.
Maria Grazia sbuffò. «Ho detto che ci sta Pupetto!»
Le quattro donne si guardarono basite, poi la confusione si trasformò in frenesia e la frenesia in panico. Uscirono tutte dalla cucina in fila, come in processione, le gambette fasciate dai collant color carne svelte e saltellanti, poi si affacciarono cautamente alla finestra che dava sulla spiaggia: una grande barca a motore, tutta lucido legno e bandierine, era appena approdata al piccolo molo. A bordo, un uomo distinto, alto e vestito con cura – un completo color avorio con tanto di cravatta e cappello abbinato – seguito da cinque o sei ragazze dell’età di Maria Grazia, i vitini stretti e i capelli alla Sofia Loren.
«Uh maronna mia!» gemette la mamma.
«Proprio iss è! Dai giornali pareva più bell, però» aggiunse la nonna.
«Mannagg’ i gamberetti!» concluse la zia.
Maria Grazia non disse niente. Era terrorizzata al pensiero di doverlo servire.
«Veloci, tutte in cucina! Poche chiacchiere!»
La nonna diede una pacca sulla spalla a tutte e si raccomandò con Maria Grazia di comportarsi bene e far fare bella figura al locale. La poverina cominciò a sudare e a tremare, tanto che dovette chiedere aiuto a nonno Salvatore.
«E che sarà mai!» disse quello, la solita spensieratezza, «Noi facciamo come sempre, uomo so’ io e uomo è lui, o no?»
La prese sottobraccio e andò incontro al nuovo arrivato. Il Principe Francesco Caravita di Sirignano, detto Pupetto, li salutò con un sorriso smagliante incorniciato da un paio di baffi curatissimi, frutto di mille scorribande e notti in dolce compagnia. Era famoso per essere un donnaiolo e uno spendaccione e la presenza delle sue cortigiane lo dimostrava.
«Buongiorno a voi!» gridò, «Io e le signore eravamo in giro per mare e abbiamo deciso di venire a provare questo tanto famoso Totore!»
Maria Grazia, abbagliata, si rilassò un pochino quando sentì che il principe aveva la erre moscia. Le sembrò allora più umano, meno distante.
«Prego, principe!» rispose nonno Salvatore, indicandogli la strada, «Questa è casa vostra, scegliete il posto che preferite!»
Gli altri commensali presero a borbottare e a entusiasmarsi per un nonnulla, per il modo in cui fece accomodare le sue accompagnatrici, per come accavallò le gambe, per l’eleganza marpiona con cui sfumacchiò le sue sigarette. Consultò brevemente il menù che Maria Grazia aveva portato a tavola, non senza buttare un occhio al suo fondoschiena, poi rise.
«E insomma, fate voi! Mi fido!»
Maria Grazia avrebbe voluto obiettare, era una richiesta pericolosa la sua, ma il nonno intervenne prima di lei. Gli chiese se preferisse del vino, che vino, quanto vino, e se gradisse del pane e dei grissini, o se volesse andare in bagno. Il principe ordinò del vino bianco freddo per tutti e annunciò di avere molta fame.
Nonno Salvatore eseguì, poi prese da parte Maria Grazia.
«Marì, dì alla nonna che sta attenta con l’olio e il sale, che ce ne mette sempre due quintali» sussurrò, «E dille pure che prepara la pasta nostra col formaggio, che quella viene sempre bene! L’hai preso il formaggio al mercato, sì?»
La ragazza annuì.
«Brava, vai mo.»
Corse in cucina, ripetendo a mente le raccomandazioni del nonno. Comunicò tutto per filo e per segno, ma la faccia delle cuoche non ne fu rincuorata.
«Mo è arrivat’ iss!» sbottò la nonna, «Due quintali di sale e pepe! Se non era per me, stava ancora a friggere alici secche!»
«E che gli cuciamo allora? Il pesce o la pasta?» chiese la mamma.
«Ah! Se tenevamo i gamberetti! Mo lo vado a chiamare a Peppino, aspié!» concluse come al solito la zia.
«Possiamo fare un poco di spigola all’acqua pazza?» propose di nuovo la mamma.
«E che si sciacqua i piedi?» ribatté la nonna.
«Allora una fritturina?»
«Troppo misero!»
«Allora fai come ha detto papà, la pastasciutta.»
«Sì, però con che cosa? Col pesce, col ragù? Chi lo sa che gli piace a quel Pupetto?»
Si misero a riflettere intensamente, indecise come non mai.
«Però poteva pure dirci qualcosa in più!»
«Questi nobili so’ tutti uguali! Sul capricci e vanità!»
Maria Grazia, che aveva avuto un’idea mentre mamma e nonna battibeccavano, alzò la mano.
«Ho letto sul giornale che va pazzo per le zucchine.»
La nonna e la mamma annuirono, sollevate dalla notizia.
«E allora una bella scapece?»
«Troppo aceto! Poi gli viene il mal di stomaco.»
«Una parmigiana di zucchine e provola?»
«Troppo aglio! Come se le sbaciucchia poi tutte quelle bamboline?»
Maria Grazia alzò di nuovo la mano.
«Il nonno ha detto di fargli la pasta col formaggio. Mettiamoci pure due zucchine fritte e che Dio ce la mandi buona.»
L’idea piacque. Nonna e mamma si misero all’opera e quando la zia tornò dicendo che Peppino sarebbe arrivato a breve con i gamberetti, trovò tutto già bello che fatto.
«I gamberi li facciamo per secondo!» decise la nonna, «Marì fai venire i camerieri prima che si fredda la pasta!»
In quattro e quattr’otto i piatti furono serviti a tavola. L’aspetto era invitante. Pupetto, alla vista di quella cremosità e di quelle zucchine carnose, sorrise. Tutti attesero il primo boccone come se ne andasse della propria vita, il nonno e Maria Grazia uno di fianco all’altra, stretti stretti.
Il principe batté una mano sul tavolo, facendo sobbalzare le sue ragazze.
«Sublime!» sbottò, «Come si chiama questo piatto? Non l’ho mai assaggiato da nessuna parte!»
Il nonno guardò Maria Grazia, che si mise a pensare in fretta.
«E allora, diciamo che le zucchine adesso sono di stagione, perché è quasi estate e c’è il sole, e giù al mercato di Marina del Cantone ce ne sono in abbondanza, e quindi visto che siamo vicini a Nerano, che è la località più famosa della zona, dico che si chiama spaghetti alla Nerano!»
Lo disse tutto di fila, quasi senza respirare, per paura di sbagliare.
Il principe la guardò, un’occhiatina al viso, poi al seno piccolo, infine scoppiò a ridere.
«Mi piace molto! D’oggi in poi, quando verrò qui, prenderò sempre questo spaghetto alla Nerano!»
Marcò ancora di più la erre moscia, divertito e divertente. Partì l’applauso e tutti gli altri clienti ordinarono lo stesso piatto.
«Lo potevamo chiamare lo spaghetto del principe, Marì» le sussurrò poi nonno Salvatore.
«E allora perché non l’hai detto tu?»
«Vabbuò ja, va buon’ accussì!»
Il principe Pupetto finì il piatto leccandosi anche la forchetta. Apprezzò il vino, i gamberi e la compagnia. Quando decise di andare via, lasciò una generosa mancia a Maria Grazia, chiamandola “una speciale regalia”.
Non era stato solo il piatto a far colpo sul principe.
Da quel giorno il locale di Totore non fu più conosciuto con quel nome, ma tutti cominciarono a dire “dove fanno lo spaghetto alla Nerano”.

E allora, prima di procedere con la ricetta, una piccola precisazione per le obiezioni: oggi lo spaghetto alla Nerano si realizza con il famosissimo Provolone del Monaco, un formaggio tipico dei Monti Lattari e di Agerola. Negli anni ‘50, quando la ricetta fu ideata, non era un prodotto molto comune, sia per la scarsa produzione che per il prezzo elevato. Dunque la vera ricetta dello spaghetto alla Nerano non ne prevedeva l’utilizzo in origine, ma plausibilmente utilizzava un altro tipo di provolone, sempre originario dei Monti Lattari, o semplicemente del parmigiano grattugiato. Negli ultimi dieci anni, la ricetta si è evoluta, includendo come ingrediente “imprescindibile” il Provolone del Monaco. Per questo la ricetta che vi proponiamo oggi lo prevede, perché noi di Spaghetti Writers siamo ricchi, abbiamo pagato una fetta di Provolone ben 8,61€ e vogliamo fare un video che superi il milione di visualizzazioni.
Per quattro persone vi serviranno:

  • 350 gr. di spaghetti spessi (come sempre, no spaghettini)
  • olio evo 
  • 50 gr. di burro (sì, in questa ricetta ci va il burro)
  • 5 o 6 zucchine (se trovate quelle col fiore, meglio ancora. Basta che non siano zucchine che assomigliano a bazooka, più piccole sono, meno acqua e semi conterranno)
  • 150 gr di Provolone del Monaco (se siete poveri, sostituitelo con il parmigiano)
  • basilico (in quantità industriale)
  • sale e pepe nero q.b.

La ricetta è facile, ma ha bisogno di qualche accortezza, sennò nonno Salvatore si piglia collera e Maria Grazia abbusca la cazziata. Tagliate le zucchine a rondelle, poi friggetele in olio evo. Sì, non so se l’avete capito, ma qua l’avarizia crepa. Friggetele in olio d’oliva e mettetele da parte, spezzettandovi sopra delle foglie di basilico, così ne assorbiranno il profumo. Mettete a bollire l’acqua e, quando è pronta, salate e calate la pasta. Grattugiate il provolone del Monaco e riponete da parte anche questo. Nel frattempo, in una padella capiente, versate un filo d’olio, il burro e qualche foglia di basilico (no aglio!1!1 no cipolla!!!1!11!!!!) e fate sciogliere. Quando la padella sarà calda e il burro sciolto, aggiungete un mestolo d’acqua di cottura della pasta e una metà delle zucchine fritte che erano da parte. In questo modo, grazie al burro e all’amido si formerà una bella cremina. Scolate la pasta a metà cottura e finite in padella, aiutandovi con la sua acqua. Quando è al dente (non mi fate sentire paste scotte) spegnete il fuoco, regolate di sale, pepe (abbondante), basilico spezzettato (abbondantissimo. No menta, ragazzi, per piacere. La menta va solo nelle zucchine alla scapece) e infine, a fuoco spento (meglio ribadirlo) il provolone del monaco grattugiato. Mantecate. Servite e via con un’ultima spolverata di provolone e il resto delle zucchine fritte.
Una ricetta estiva, ricca, goduriosa, piena di umami. Vi consiglio di farne in abbondanza perché questi spaghetti sono troppo buoni e come dice il racconto, “i clienti sono sempre imprevedibili”.

Deborah