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Spaghetti aglio, olio e peperoncino

Nel locale irruppe una ragazza con una maschera da coniglio. Tirò dritto, scelse uno sgabello e sbatté la borsetta di pelo sintetico sul bancone. 
«Ho fame, cazzo.»
Gli altri clienti non furono turbati da quelle parole. Un uomo scostò le tendine unte che lo confinavano in cucina e si pulì le mani su un grembiule una volta bianco.
«Ho detto che ho fame» ripeté lei, «Cazzo.»
«E io ti avevo avvisato: niente parolacce o rimani digiuna.»
«Mi stai discriminando: sono malata.»
Una donna di fronte a lei, dall’altra parte del bancone, sbuffò. «Sempre la stessa scusa pur di scroccare.»
«Perché non vai a prenderlo in culo, brutta vecchia?» e le fece un gran dito medio.
Come replica, quella calò la testa nel piatto e risucchiò una cucchiaiata di brodo.
L’uomo sospirò di nuovo. Tornò al suo posto davanti ai fornelli: schiacciò qualche testa d’aglio, la lanciò nell’olio e nel piccolo locale si sparse un profumo pungente. La ragazza intanto fu catturata dalla lucentezza delle posate e prese a girarsele tra le dita. Borbottò qualcosa alla forchetta, poi al coltello, infine si mise a discutere col tovagliolo di quanto fosse freddo quell’inverno.
«Oggi un coniglio, eh Giulia?»
L’uomo le mise un piatto di spaghetti fumanti sotto al naso. Finalmente la ragazza sorrise.
«Sì! Ho letto sul libro di scienze – quella vacca della professoressa Livia me l’ha sequestrato perché ci disegnavo dei peni grandissimi – che è un animale molto pulito e non ha bisogno di lavarsi.»
Prese una forchettata di spaghetti e se la ficcò in bocca: masticò energicamente e con gusto, la maschera che continuava a scivolarle sul viso.
«Pure a me fa schifo l’acqua.» e sorrise di nuovo, con il prezzemolo tra i denti. 
L’uomo, suo malgrado, non poté fare a meno d’imitarla.
«Non è troppo piccante, vero?» chiese, «Ci ho messo meno peperoncino dell’altra volta.»
Giulia annuì, poi fece di no con la testa e prese un’altra forchettata.
«Lo sai che il peperoncino è afrodisiaco?» biascicò, «Vuol dire che ti fa scopare con tante persone. Lo dice Brezsny, quello che fa gli oroscopi.»
La donna del brodo ingollò un’altra cucchiaiata malvolentieri, sputacchiando stelline di pasta sul bancone.
«Adesso basta, d’accordo?» protestò l’uomo, «Mangia la pasta, che si fredda.»
Giulia obbedì, ma protestò con un amico immaginario. Qualche minuto dopo nel locale fece il suo ingresso un’altra persona, insieme a una folata di vento gelido che serpeggiò tra le gambe dei clienti. Anche stavolta nessuno diede cenno di particolare entusiasmo, né nei confronti dei suoi abiti laceri né della puzza che si portava appresso.
«Ciao Alfò!» salutò la vecchia del brodo.
«Sfigato» la corresse Giulia.
«Guarda chi si rivede» esclamò l’uomo dietro la tendina.
Gli altri clienti mormorarono saluti piuttosto indifferenti. Il nuovo arrivato sollevò la mano stancamente, poi si lasciò cadere su uno sgabello, proprio nel mezzo tra Giulia e la vecchia.
«Che fatica, che fatica» disse, la voce rauca per il freddo.
Si guardò intorno, come per essere certo di essere nel posto giusto, poi si sfilò i guanti di lana e il cappello. Una massa di capelli aggrovigliati si aprì come un ventaglio.
«Ciao Lucio» aggiunse, guardando verso la cucina, «Hai ragione, mi dispiace averti dato pensiero, ma ho avuto da fare.»
«I senzatetto non hanno mai da fare, mentitore.»
«Giulia, stai buona» la riprese l’uomo col grembiule. Uscì di nuovo dal suo nido e mise una mano sulla spalla del nuovo arrivato.
«L’importante è che stai bene» rispose, «Hai fame? Ti faccio il solito?»
«Non ho di che pagarti»
«Ecco un altro» sussurrò la vecchia.
Lucio gli fece un occhiolino e senza ribattere tornò in cucina. Il profumo d’aglio pian piano tornò a farsi sentire.
Giulia gli rivolse uno sguardo torvo. «Tu puzzi di merda.»
Alfonso sollevò le braccia. «Hai ragione Giulietta. Come va a scuola?»
«La scuola mi fa cacare.»
«Sbaglio o l’altra volta avevi una maschera da gatto?»
Sorrise raggiante. «Te lo ricordi! Sì, anche i gatti odiano l’acqua.»
«Allora puzzi un poco anche tu, non è vero?»
La vecchia scoppiò a ridere. Giulia le lanciò una forchetta di punta, quasi centrandola in fronte, Lucio urlò dalla cucina di stare quieti. Quella afferrò la maschera, la sbatté sul bancone, poi le chiese scusa per il maltrattamento – alla maschera, non alla vecchia – e alla fine decise di portarsela al petto, accarezzandola  come fosse un vero coniglio. Pochi minuti dopo Lucio tornò con un altro piatto e lo porse al barbone.
«Allora? Che dici? Ce la meritiamo o no questa stella Michelin?»
Alfonso sporse la testa sul piatto, inalò profondamente, sospirò. «Anche due.»
Lucio rise, soddisfatto. «Mangia che si fredda.»
Giulia gli fece il verso, storcendo le labbra. La porta del locale si aprì per la terza volta. Tutti i clienti si voltarono. Apparve un uomo sulla quarantina, vestito elegantemente e con un gran ombrello blu, sulla testa un Borsalino abbinato all’abito e scarpe talmente lucide che stonavano terribilmente con la cappa fumosa attaccata al soffitto.
«Buonasera.» salutò, l’accento curioso, «Posso accomodarmi?»
Indicò lo sgabello di fianco a Giulia e senza attendere replica ne prese possesso. Giulia strabuzzò gli occhi e lasciò perdere la maschera, Lucio sporse la testa tra le tendine e la vecchia raddrizzò la schiena. Alfonso continuò a mangiare.
«Mi è stato detto che in questo luogo avrei potuto assaggiare i migliori piatti della città» disse, «È corretto?»
Giulia aggrottò le sopracciglia. «Perché tu non puzzi?»
«Sta’ zitta stupida, fammi ascoltare» la sgridò la vecchia.
Tutti tacquero. Alfonso succhiò uno spaghetto. Lucio uscì dalla cucina, d’improvviso imbarazzato per il suo aspetto.
«Buonasera» rispose, «Scusate l’ambiente un po’ spartano, ma non abbiamo mai clienti stranieri.»
L’uomo si sfilò il soprabito e sorrise. «Una bocca vale l’altra, la fame non conosce nazionalità.»
«Purtroppo non abbiamo menù. Che vi posso servire?»
Giulia gli diede una gomitata, poi indicò il suo piatto e quello di Alfonso. 
«Spaghetti?»
«Se piacciono a me che sono malata e a quel puzzolente senza soldi, piaceranno pure a te. Il brodino non lo prendere, fa cacare, e se lo mangiano solo le vecchie sdentate che non sono buone manco a fare un pompino.»
L’uomo scoppiò a ridere, con sorpresa di tutti.
«Molto divertente!» esclamò, «Prendo quello che ha preso la signorina!»
Lucio, imbarazzato, sollevò il pollice, poi scappò in cucina. La vecchia lanciò saette in direzione dei due.
«Come ti chiami? Ti piacciono i conigli?»
L’uomo si voltò verso Giulia. «Hai dei bellissimi occhi grigi, mi ricordano il mare vicino al paesino in cui sono cresciuto. Si trova nel nord dell’Olanda, ci sei mai stata? Ti assicuro che è un posto delizioso, immerso nella natura e ricco di animali selvatici.» 
Ammutolì, mentre lui le porgeva la mano. «Il mio nome è Herman.»
Giulia, per una volta, non seppe che dire, tutti i clienti presero a esaminare lo straniero e quando Lucio tornò in saletta con l’ennesimo piatto, si concentrarono a osservare la sua reazione.
«Spaghetti, aglio, olio e peperoncino» spiegò Lucio, «Molto semplice, niente di che.»
Herman sorrise. «Magnifico. Magnifico.»
Poi prese una forchettata e senza arrotolare la pasta iniziò a mangiare, spezzettando con i denti l’eccesso. Mangiò senza parlare, senza fare commenti. Ogni tanto mugugnava qualcosa nella sua lingua, prendeva un sorso d’acqua per spegnere il fuoco, annuiva. Finì il piatto in un lampo, raccogliendo fino all’ultimo rimasuglio di pasta. Infine, posò la forchetta. 
«Un altro, se non vi dispiace.»
Giulia, che aveva tenuto gli occhi attaccati alle sue labbra per tutto il tempo, cominciò a sogghignare. Alfonso sorrise, complice. La vecchia semplicemente non capì, lei che mangiava brodino e aveva sempre mangiato brodino. Lucio gli servì un altro piatto di spaghetti, un po’ più abbondante del precedente.
«Ma tu per caso devi scopare con tante persone stasera?» chiese Giulia.
Herman rise di gusto, poi d’improvviso si fece serio. «Io sono qui, in realtà, in veste ufficiale. Non dovrei dirvelo, ma potreste ottenere, nel prossimo futuro, un importante riconoscimento, uno di quelli che si attendono per una vita intera…»
Tutti aguzzarono le orecchie.
«Signore, è molto probabile che questo locale prenda la stella Michelin.»
Scoppiò a ridere prima Lucio, poi la vecchia, poi Alfonso e infine tutto il locale. Non si era mai sentito un baccano simile in quel posto.
«Poi sono io la pazza» disse Giulia, afferrando di nuovo la maschera.
«Dico per davvero» protestò Herman.
Lucio si avvicinò al bancone. «Senta signore, lei è molto simpatico, ma io ho già la mia buona dose di matti da tenere a bada.»
«E poi gli ispettori della guida mica lo dicono!» biascicò la vecchia.
«Lo sapevo che la gente che non puzza ha qualcosa da nascondere.»
«Ehi lei, ma chi vuole prendere in giro?»
«Vengono qui e credono di fare i padroni! Questi stranieri.»
«Mi piacerebbe quel cappello, il mio è tutto strappato…»
D’improvviso si alzarono tutti, si avvicinarono a Herman e presero a esaminarlo più da vicino.
«Ma cosa diamine sta succedendo?»
Giulia gli pizzicò una guancia. Aveva rimesso la maschera da coniglio. «Non mi pare neanche vero questo cazzone. Secondo me è meglio se lo ammazziamo, ha mangiato troppo peperoncino, va a finire che violenta qualcuno.»
«Già!» esclamò la vecchia, per una volta in accordo con lei.
«Sei un pervertito!»
Herman si alzò di scatto. «Come osate?»
Lucio gli si piantò di fronte, le braccia incrociate sul petto. «Chi sei? Sei della finanza? Equitalia?»
«Sono più che serio! Sono un ispettore della guida Michelin!»
«Ma ti sei guardato intorno? Questa è una topaia.»
«Ci sono posti più sgradevoli di questo che hanno avuto la stella!»
Alfonso alzò la testa dal piatto. «Hei! Hai per caso detto che il nostro locale fa schifo?»
«Ha detto che fa cacare» confermò Giulia.
«Mi offendi due volte: la pasta si sta freddando.» 
Lucio lo guardò in cagnesco. Herman istintivamente fece un passo indietro.
«Voi siete tutti pazzi!»
Giulia si avvicinò e gli annusò la spalla. «Profumi come le puttane da dieci euro.»
«Non toccarmi!» e le lanciò un bicchiere d’acqua addosso, per difesa.
Giulia spalancò la bocca, i capelli che gocciolavano sulla maschera.
«Ti spacco il culo, brutto coglione!» urlò e gli mollò la borsetta di pelo in faccia.
Herman batté le palpebre, poi si stropicciò gli occhi. Biascicò qualcosa nella sua lingua, poi afferrò il soprabito e l’ombrello.
«Inaudito. Inaudito. Me ne vado!»
Alfonso gli si parò davanti. «Tu non vai proprio da nessuna parte se non paghi, bello.»
Quello sollevò le sopracciglia, offeso. «Non ho intenzione di lasciare un centesimo! Anzi, vi denuncio!»
Cercò di passare, ma Alfonso gli bloccò il passaggio. Si spostò di lato e Alfonso lo seguì, poi dall’altra parte ma non lo lasciò passare.
«Signore, si sposti!»
Sollevò l’ombrello per farsi spazio, ma Alfonso fu più veloce. Glielo strappò dalle mani, proprio nel momento il cui Herman lasciava cadere il soprabito e tirava indietro il braccio per colpirlo. Successe tutto in un attimo: Alfonso scansò il pugno, si piegò e gli spaccò l’ombrello sulla tempia.
Quello si afflosciò a terra come un pupazzo vuoto. 
«Quanto odio la gente che parla e fa raffreddare il cibo. Mi stava quasi simpatico all’inizio!» disse Lucio.
«Ben gli sta! Sono stufa della gente che scrocca!» aggiunse la vecchia.
«Sarà morto?»
«Un matto in più, uno in meno. Chi se ne accorgerà mai?»
Alfonso raccolse il soprabito di Herman dal pavimento. «Un matto ricco però, questo mi terrà ben bene al caldo quest’inverno.»
Giulia si grattò un gluteo, poi afferrò il tovagliolo per asciugarsi. «Il mare dell’Olanda di ‘sto cazzo, puh!»
Gli sputò addosso, poi gli fece le corna.
«La guida Michelin! Quelli non si sognano proprio di abbassarsi a tanto» incalzò la vecchia, «E poi non potevamo mica far mangiare un altro pazzo gratis, vero Lucio?» 
«Mi bastate già tutti voi. No, grazie.»
Giulia sbadigliò. «Sono stanca e devo fare la cacca. Lo sapevate che i conigli mangiano la propria cacca? Ciao stronzi, ci vediamo il prossimo martedì.»
Afferrò la borsetta di pelliccia, scavalcò il corpo di Herman e uscì. Alfonso invece si sedette di nuovo e cominciò a fare la scarpetta nell’olio. 
«Un conto è che scrocchiamo noi…» sussurrò al piatto, «Un conto è che scroccano questi ricconi presuntuosi. Ci prendono pure in giro, vero? Ci prendono pure in giro.»
Lucio si avviò di nuovo in cucina. «Dovremmo scriverlo fuori: no stranieri.»
«Posso guardare nel portafogli?»
Senza attendere una replica, si alzò e sfilò il portafogli dal pantalone di Herman. Quando scoprì il tesserino con la faccia gonfia dell’omino Michelin, per poco non gli prese un colpo. Poi ci pensò su, alla fine fece spallucce. Giulia aveva ragione: aveva mangiato troppo peperoncino e aveva osato offendere tutti. Quel tesserino era sicuramente falso.
Tornò al suo sgabello, afferrò un pezzo di pane. «Non era nessuno, solo uno stupido matto più matto di noi.»
«Bisogna sbarazzarsi del corpo» rispose Lucio, «Sempre che sia morto.»
«Hai ancora spazio nella cella frigo?»
Lucio mugugnò.
«Lo ficchiamo lì dentro e chi s’è visto s’è visto.»
La vecchia dondolò la testa. «Non mi pare una buona idea questa. Qualcuno dei fornitori potrebbe scoprire tutto.»
«E quindi che facciamo?»
«Ho un frigo di quelli dei gelati in campagna. Possiamo metterlo lì. Chi vuoi che venga a rompere l’anima  a una vecchia vedova. Ma ci pensate voi, eh!»
Alfonso annuì, riportando l’attenzione sull’olio addensato nel suo piatto. Fece una scarpetta, poi un’altra e un’altra ancora fin quando la ceramica non brillò.
«Il tuo spaghetto meriterebbe davvero la stella Michelin, Lucio.»
Lanciò un’occhiata al corpo scomposto di Herman, poi annuì di nuovo. Infine guardò la vecchia.
«Il momento di sdebitarmi è arrivato» sentenziò, «Ci pensiamo noi. Ci pensiamo noi.»
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Dunque, se volete replicare la ricetta di Lucio senza fare la fine di Herman, vi serviranno (NO RICETTA GOURMET, PLEASE):

  • 350 gr. di spaghetti spessi (non comprate gli spaghetti ristorante, per l’amor di Dio)
  • olio evo (serve l’olio buono, non quello del Lidl che pagate 2 euro a latta, la ricetta ha pochi ingredienti. Impegnatevi, cazzo)
  • 3 spicchi d’aglio 
  • Peperoncino q.b. (e con q.b. voglio dire regolatevi, deve essere piccante sennò che l’abbiamo montata a fare questa bancarella?)
  • prezzemolo (facoltativo)
  • pepe

La ricetta è facile, Lucio è un tipo sbrigativo: mettete a bollire l’acqua, quando è pronta salatela e calate gli spaghetti. Il segreto per ottenere una pasta cremosa è l’amido della pasta stessa, quindi tenete un bicchiere d’acqua salata da parte. Nel frattempo, in una padella scaldate l’olio, aggiungete l’aglio (Lucio lo fa a fettine perché poi lo mangia, voi fate come vi pare) e il peperoncino. No pomate d’aglio, no creme d’aglio arrostito, ho detto che è una ricetta semplice, se volete quella chic perché (come dice Giulia) avete da scopare, cercate su Google, “Spaghetti, olio, aglio e peperoncino di Cannavacciuolo”.
Imbiondite l’aglio, deve andare piano. Per carità, non bruciatelo.
Quando la pasta è circa a metà cottura, scolatela e passatela nella padella dove avete l’olio e tutto il resto. Finite di cuocerla lì, aiutandovi con l’acqua di cottura che avete messo da parte prima. Alla fine, se volete (e questo è il preludio per un’altra ricetta che vedrete in rubrica, gli spaghetti con le vongole fujute) aggiungete del prezzemolo tritato. Un pizzico di pepe e fine.
Questo è. Andate in pace. E non fate gli stronzi come Herman. W i conigli.

Deborah