Caligula
“La sera ci viene voglia di carne.
La sera ci viene voglia di spaccare qualche bell’incisivo.”
In classe, io mi faccio i cazzi miei. Quella volta, però, ho scritto in un tema come la pensavo. Che secondo me, tutta questa gente che arriva e sta buttata in giro per le strade ci sta portando alla rovina. E che noi non possiamo farci niente, visto che siamo governati da preti ed ebrei. Quella stronza coccolapreti della professoressa ha chiamato i miei e ci ha fatto fare un colloquio. «Mi spaventa la violenza nelle sue parole», gli ha detto. Poi, siamo tornati a casa e mio padre mi ha detto che anche se la penso così, dovrei starmi zitto e tenerlo per me. Mio padre potrebbe essere uno giusto, ma sotto non ha le palle. Poi, questa cosa è diventata famosa. Un giorno, a ricreazione, mi si avvicina Alessio e mi fa «Oh, non devi aver paura a dire queste cose. C’hai tutta la ragione del mondo e la gente deve capire». È un mio compagno di classe. Lo hanno bocciato un anno, è più grande di me. Abbiamo parlato tutta la ricreazione e fumato dietro la palestra. Suo padre è un medico, di quelli seri. Alessio lo odia, perché se la fa coi preti. Si annoia, io mi annoio. La noia uccide tutti, a noi fa incazzare e basta. Questa città è fatta di inutili, per gli inutili. È sporca, lercia, senza legge. Poi non siamo rientrati in classe. Abbiamo camminato fuori dal cancello, e arrivederci. Ci hanno sospeso. Mio padre, quando l’ha scoperto, ha minacciato di prendermi a botte. Gli ho detto di provarci. Non l’ha fatto. Non ha proprio le palle.
La sera la gente ci teme. Abbiamo riempito di scritte il quartiere. Siamo andati dal ferramenta a prendere le bombolette e le abbiamo caricate nel cofano della Ritmo. Io faccio le croci, Alessio fa le scritte perché è mezzo tedesco. Giriamo tutta la notte. La puzza di vernice per me diventa odore di vittoria. A volte ci appostiamo dove abbiamo fatto le scritte e vediamo come reagisce la gente quando le vede. Ci sono quelli tutti scioccati e che chiamano gli sbirri, ma ci sono anche quelli giusti che le indicano e annuiscono. Qualcuno ci passa il bianco sopra. Noi torniamo la notte stessa e le rifacciamo.
La sera ci chiamiamo Kaiser. Abbiamo iniziato a firmare tutto quello che scriviamo. Faccio la S con la runa. I giornali iniziano a scrivere del vandalo che si firma Kaiser e scrive “parole d’odio” in giro per la città. Mettono sbirri in giro per “arginare il problema”. Noi ridiamo. Io mi appendo i ritagli di giornale dentro l’armadio. Usciamo ogni notte. Il Kaiser vive e scalcia.
Non ci annoiamo più.
La sera pisciamo nei palloncini. Li carichiamo sul sedile di dietro della Ritmo, tutti in una scatola, e ci facciamo un giro. Andiamo nelle vie della Zona Industriale. La battiamo palmo a palmo. Li tiriamo addosso a quelle che stanno lì a scaldarsi con i falò come blatte. Che si scaldino con questo, allora. Le guardiamo scappare via e urlarci dietro in quelle lingue da selvaggi. Noi passiamo alla prossima via e continuiamo finché non finiamo il piscio.
La sera sciogliamo il polistirolo nella benzina. Alessio mi ha detto che così si fa il napalm, che non lo spegni nemmeno se vengono gli elicotteri. Lo mettiamo in una bottiglia e entriamo nel giardino del convento. Scriviamo Kaiser sul muro. Tiriamo la bottiglia contro il furgoncino dei frati. Fa una fiammata micidiale. Brucia tutto, per poco non prende pure il convento. I frati dicono nei giornali che chiunque sia stato, lo perdonano. Che senza palle.
La sera facciamo macello. In un vicolo troviamo un barbone che piscia su un muro. Alessio si avvicina e gli fa «Che cazzo fai, pisci per strada?». Quello si gira e biascica mezza parola, con ancora il coso in mano. È ubriaco e puzza da far schifo. Ci fa ribrezzo. Alessio lo atterra con un gancio sulla tempia. Poi lo prendiamo a pedate. Abbiamo gli stivali. La prossima volta ci pensa due volte. Lo lasciamo così, a terra, e scappiamo via. Siamo a mille. Prima di entrare, mi pulisco le scarpe con il tubo nel giardino. Il sangue e le ciocche di capelli vanno a finire sulle begonie di mamma. Il giorno dopo il giornale parla di “ondata di violenza”. Quel lurido è finito in terapia intensiva a occupare un letto, togliendolo a chi lo merita veramente. Anche quell’articolo lo metto nell’armadio. Alessio dice che vuole di più e io sono d’accordo. C’è tanto da fare, tanto da divertirsi, in questa città di Inutili.
La sera, prima di uscire, ci gasiamo a casa. Nella sua cameretta decidiamo i nostri nomi di battaglia. Lui sceglie Igor. Il mio sarà Klaus, molto meglio di quel nome da checca che mi hanno rifilato. Facciamo qualche flessione. Igor ha un bilanciere, ci pompiamo i bicipiti. Ci vestiamo come si deve. Ci mettiamo il gel sui capelli e saliamo sulla Ritmo.
La sera corriamo per la provinciale. Igor tira le marce della Ritmo, io fumo e metto il pacchetto nel taschino della camicia. C’è una nebbia che non si vede nulla. Ascoltiamo la musica a tutto volume. Ho portato la cassetta dei Massimoimpatto. Parlano di orgoglio, di roba seria. La mia preferita è Picchiali con la fibbia. Quando finisce, premo su rewind sul mangianastri.
La sera spargiamo il terrore. Parcheggiamo la macchina sulla strada. Il Caligula è poco più in là. Il tempio della merda, la chiesa dei fighetti. La musica si sente fino al parcheggio. Saliamo per il sentiero con il petto gonfio. È pieno d’inutili in fila, qua. Gente che non riuscirebbe a fare nemmeno una flessione, deboli e borghesucci come sono. Gente che deve imparare come funziona sul serio il mondo. Li vedo abbracciati a delle gran fighe. Do una gomitata a Igor e gli indico un tipo con la camicia rosa. Ci pisciamo dal ridere. Ma dove cazzo vuole andare? Quello se ne accorge e ci guarda. Perché non prova a dirci qualcosa? Non ci dice nulla. Senza palle.
La sera scateniamo l’inferno. Il buttafuori ci guarda. Fai poco lo stronzo, penso io. Facciamo la faccia dei bravi ragazzi. Non lo vedi, come siamo carini e profumati? Abbiamo il portafogli che esplode e le nocche che prudono. Quello ci fa segno di entrare. Dentro c’è puzza di sudore, la musica ci pulsa fin dentro la pancia. Il Caligula è un bordello su più piani, un ammasso di corpi disgustosi che si muovono a ritmo di cassa dritta unz unz unz. Entriamo diretti al cesso. Quando siamo dentro, Igor tira fuori la roba. L’ha presa da un suo amico ultrà, uno giusto. Ignoro l’odore di piscio. Ce la tiriamo lì, sul coperchio dello scarico. Sento amaro fino in fondo alla gola. Usciamo dal cesso come due lupi. Li guardiamo in mezzo alla pista, che ballano tutti appiccicati, che vivono e godono di questa merda, che crescono nel nulla e che finiranno a ingropparsi nei bagni, pure tra maschi. Mi sale il vomito solo a pensarci. Mi guardo con Igor e ci capiamo subito. Ho una vena che mi pulsa sulla tempia unz unz unz. Ci muoviamo.
La sera ci muoviamo nel buio. Mi infilo nella pista con il coltello già in mano. Infilzo il primo che mi viene davanti. Lo sento urlare come un porco tra la musica. Igor ne prende un altro. Io un altro ancora, poi un altro, poi un altro. Meno a ritmo di quella musica di merda. La strobo ci illumina mentre affettiamo. Capisco solo dopo che la lama l’ho lasciata dentro la coscia di qualcuno. La gente se n’è accorta e parte il casino. Mi tirano un pugno sulle tempie ma io non sento un cazzo. Lo ringrazio, gliene restituisco il triplo e quello casca a terra. L’adrenalina mi irriga il cervello, mi giro e cerco il prossimo. Tentano di bloccarci, ma Igor tira fuori il ferro dai pantaloni. Sotto le luci brilla che è un piacere. L’ha presa dalla scrivania di suo padre, il terzo cassetto da destra. Lo ha spiato per giorni, fino a capire dove nascondesse la Beretta. La punta ad altezza uomo, con un ghigno stampato sulla faccia da crucco. È scarica, ma loro non lo sanno. Arretrano tutti, li teniamo per le palle, la pista è nostra. Se c’è qualche eroe, abbiamo un confetto per lui, dice Igor. Io tengo tutti sotto controllo con il coltello. Meno fendenti tanto per far capire che non è mica finita qui. Un tipo grosso si fa largo tra la folla. È il buttafuori di prima. Igor gli punta la pistola alla tempia e lo fa inginocchiare. Quello ubbidisce come un cagnolino. Tanto per gradire, gli faccio un bel disegno su quel braccio ciccione, così si ricorderà della serata. Si accascia a terra, tenendoselo con la mano. Nessuno si azzarda a soccorrerlo.
La sera ci facciamo strada. Quando ci stanchiamo, Igor apre un corridoio tra la folla come Mosè, la bocca della M34 spianata che li fa scappare come ratti. Tiriamo coltellate basse a chi non si leva di torno. Ne prendo cinque o sei, Igor mi sta a fianco e ne trancia un altro po’. È bellissimo guardarlo agire. Odore di ferro e di ascelle. Nessuno ha il coraggio di fermarci. Buttiamo giù la porta d’emergenza e usciamo nel freddo della notte. La musica ormai è spenta e si sentono solo urla. Questa è la mia musica. Me la vorrei godere di più, ma dobbiamo andare. Scavalchiamo il muretto e corriamo in mezzo alla nebbia. Io ormai non ho quasi più una camicia e sono pieno di sangue fino al gomito. Igor è una maschera di carne. Ridiamo come due maledetti demoni neri, le bocche sdentate e piene di sangue e le voci sguaiate, mentre superiamo un fossato e andiamo verso il bosco. Siamo potentissimi. Il Kaiser ha fatto il suo dovere.
La sera è roba nostra. Stasera, al Caligula nessuno scoperà.
A illustrare: fotografia da archivio Pinterest.