Così è, così sarà sempre
A Roma è sempre interessante visitare la sede di una casa di produzione cinematografica perché nella capitale un po’ tutti gli uffici si trovano all’interno di palazzi antichi e decadenti, a volte ristrutturati, a volte decadenti e basta. Raramente capita un palazzo moderno o dall’architettura avanguardista, arredato con buongusto o perlomeno con creatività.
Non era questo il caso. Questa è una storia in cui non succede niente di inaspettato.
Così è, così sarà sempre.
Invece Lapo, forse perché non era né nato né cresciuto in terra romana, nutriva speranze diverse quel giorno d’ottobre. Credeva ad esempio che se fosse riuscito a fare un certo discorsetto al direttore allora, forse…
«È possibile parlare col Direttore?»
«Nun ce sta» rispose asettico il segretario all’ingresso, impegnatissimo a selezionare foto di culi su Instagram.
«Ma io avevo un appuntamento fra dieci minuti. Guardi, ho qui una conferma su WhatsApp.»
«Ha avuto un contrattempo.»
«Ma torna, sì?»
La domanda si perde nel vuoto dell’accettazione.
«Senta, la prego, è davvero urgente. Se per caso potesse telefonargli…»
Il segretario seccato interrompe la visione a scorrimento delle natiche.
«Come j’ho detto il direttore nun ce sta. Nun so popio come aiutarte.»
Sconsolato, Lapo si appoggia al bancone. Alle sue spalle si apre la porta di un ufficio da cui esce un ex giovane con una calvizie malcelatissima. Lo spelacchiato si avvicina al bancone.
«Che me daj er preventivo de’ gostumi che jo porto ar Direttore?»
«E come no» dice il segretario. Prende un fascicolo da sotto la scrivania e lo porge al calvo.
«A proposito ma ‘ndo sta’?»
«Nell’ufficio suo, come ar solito. ‘Ndo dovrebbe sta’?»
Lapo incredulo osserva il glabro vassallo allontanarsi, poi guarda il segretario che prontamente ha ripreso le sue consultazioni online. Vorrebbe mandargli più di un accidenti, ma sente che perderebbe un’occasione importante. Così scatta e segue il nuovo tizio fino all’ufficio del Direttore. Dopo aver atteso una buona ora e un quarto l’uscita di scena del Vassallo, Lapo può finalmente introdursi nel luogo tanto agognato.
La stanza è mediamente luminosa e mediamente banale: locandine di film alle pareti coi successi della casa di produzione; qualche pianta di ficus; un po’ di premi sparsi sulle mensole, alcuni dei quali vinti per davvero. Molti libri, pochi sul cinema, gli altri probabilmente opzionati dalla stessa casa per un progetto di film o di serie che resterà in gestazione da un minimo di tre anni fino a un massimo di nove, per poi, nel caso, uscire in un’epoca dove quel testo non avrà più nulla da raccontare agli spettatori, che lo boicotteranno dopo i primi cinque minuti preferendogli la nuovissima fiction con Raoul Bova, quella invece prodotta in tempi record e con share fisso del 22%.
«Buongiorno Direttore, sono…»
«Un momento che sto a fa’ un gasting.»
Lapo osserva il Direttore scorrere diverse foto di tette censurate sul suo Instagram. Essendo anche lui un uomo di una certa cultura, riconosce la pagina.
«Bikini & Bottom, gran profilo! Non pensavo fossero attrici…»
«Non lo sono.»
«Ma come non lo sono? E i casting?»
«Non usiamo attrici da armeno quindici anni.»
«Mi scusi se mi permetto, ma un pochino lo avevo notato.»
Il Direttore posa il telefono e finalmente si concentra su Lapo: «Lei non è Fernando, chi l’ha fatta entra’?»
«No io veramente…ecco, vede…»
«Me dispiace, ma il Direttore non c’è.»
«Come non c’è? E lei chi è?»
«Io so’ il Direttore.»
Lapo assume l’espressione di un pesce lesso nella sua stessa acqua.
L’altro invece scoppia a ridere: «Ma no, si rilassi, la prendevo in giro, signor…»
«Lapi! Lapo Lapi.»
«Ah, toscano!»
Poi si fa improvvisamente serio: «I toscani hanno devastato…»
«…hanno devastato questo paese. Originalissimo, guardi, se permette, Boris aveva un sacco di belle battute, non serve che ogni volta si citi proprio quest…»
«Quella “C” aspirata e quel senso dell’umorismo da quattro soldi, nessuno che dice la mi’ mamma, il mi’ babbo, passami la harne, la harta!»
«Sì, no, cioè complimenti per la memoria, però…»
«Ma insomma, perché è qui?»
«Io – non lo negherò – avrei necessità di esser pagato.»
Il Direttore fa una smorfia di dolore, quelle parole lo hanno colpito in maniera disturbante.
«Ma ha lavorato per noi?»
«Sono quattro anni e mezzo che lavoro all’adattamento di quel giovane esordiente abruzzese…»
«E vabbè, se è giovane può aspetta’, no?»
«Insomma, nel frattempo si è sposato e ha fatto due figli.»
«Allora se non è più giovane non è il caso di fare il film.»
Lapo suda freddo, quel film era la sua grande occasione di carriera. Anche vero però che sta sempre aspettando il suo primo stipendio. Da quattro, lunghi, anni. E mezzo.
«Direttore, ma la sceneggiatura è pronta da un anno, solo che stavo aspettando di essere pagato. Cioè, in realtà neanche il soggetto mi è stato pagato…e pure il trattamento…»
Lapo si stringe nelle spalle e cerca di apparire il meno pietoso possibile, anche se è impossibile per lui non sentirsi un mendicante.
«Guardi, a me basterebbe pagare l’affitto, intanto, poi il resto si può fare più avanti…»
Il Direttore riacquista un po’ di colore: «E quanto sarebbe st’affitto?»
«T-trecentosessantasette euro, spese escluse.»
«Ah, ma è poco! E perché non lo paga?»
«Eh, se non mi date i soldi io…»
«I sordi… i sordi…sempre a parlà de sordi. Ma che ce dovrà fa’ co’ tutti ‘sti sordi?»
«Ma ha detto che erano pochi!»
«So’ pochi pe’ lei! Qui vede, è un momentaccio… La grisi sa – lei capisce – e poi il covid…e poi ‘aa cresima de mi fijo, l’alimenti alla mi’ ex moje…sa, er cinema costa.»
«Guardi, posso ritrattare: a me basterebbe fare la spesa.»
«E che ce vo’, cinquant’euro?»
«Ma sì, almeno per una paio di settimane…»
«Eh, ma tutti sti sordi…»
«Maremma maiala» sbrocca Lapo, «Ma son cinquanta euri! E si frughi un po’-poino, diobono!»
Il Direttore, colpito dalla veemenza di Lapo, scivola leggermente nello schienale della poltrona. Aspetta un paio di secondi e poi recupera il suo aplomb.
«Lapo – scusa, ma se mi urli te devo da’ del tu – me pare de capì che il tuo problema è che devi mangiare.»
Lapo annuisce stanco.
«Famo così, vai giù dar segretario all’ingresso e fatte da’ qualcosa dar nostro frigo dell’ufficio. Toh, magari pure qualcosa dae macchinette. Non è molto, ma sai, la grisi…»
Lapo accetta l’offerta, è la prima volta che un produttore gli concede qualcosa che somigli a un pagamento, forse in un paio d’anni davvero arriveranno i soldi per il soggetto.
All’ingresso il segretario sta ancora guardando culi su Instagram.
Lapo sorride: «Fai casting anche tu, eh?»
«Eh?»
«No, niente. Senti palle, il tuo capo mi ha detto di offrirmi qualcosa dal vostro frigo o dalle macchinette.»
«Quale capo?»
«Il Direttore.»
«Il Direttore nun ce sta.»
«Ma ci ho parlato adesso!»
«Impossibile, nun ce sta.»
Lapo afferra un fermacarte dalla scrivania e lo tira in testa al segretario.
«Ao!-Ma che staj a fa’?? Sei impazzito?!?»
«Maremma budella, m’ avete fatto aprì la partita iva sei anni fa e non ho mai fatturato manco una sega, e mi è venuta pure l’agenzia dell’entrate a trovà a casa perché pensavano stessi a evade come una carogna, cane d’Erode. Dove cazzo è il frigo?»
«I-io sto a chiamà ‘aa polizia…»
Lapo si ferma un secondo, soppesa quelle parole e sorride: «E vai.»
Dietro alle sbarre del carcere di Rebibbia, Lapo si massaggia la pancia soddisfatto: «Oh Marco, sai che lo stufato era proprio bono oggi?»
«È vero, ma è merito del cuoco nuovo, quello che sta nel braccio est. Si è fatto mettere in cucina e devo dire che sa proprio il fatto suo.»
«Che faceva lui prima?»
«Scriveva una serie tv, mi sembra.»
«Non era scrittore?»
«No, lo avrei riconosciuto, facevo l’editor, ti ricordi?»
«Ah già. Beh, quasi quasi stasera a cena se lo vedo ci parlo, magari scriviamo qualcosa insieme.»
«Ma sì, con un po’ di fortuna ti fanno allestire lo spettacolo di Natale.»
«Magari, sarebbe una bella soddisfazione, tanto il cinema è morto.»
Ad accompagnare: René Magritte, Decalcomania, 1966, olio su tela, 81 x 100 cm.