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EKTORP

Autore
Alessia Del Freo
Ciclo #1 - Una porta si apre
Narrativa generale
24 settembre 2020

Elena arrivò che Paolo sedeva su un divano nuovo, l’ultimo bottone della camicia slacciato, le gambe accavallate ma la schiena scivolata tra i cuscini. Sullo schermo spento dall’altra parte del salotto si rifletteva la sua immagine atona. Più in là, i bambini avevano mosso le sedie della cucina adiacente, c’erano saliti sopra in ginocchio e giocavano a scomporre la tavola apparecchiata con le stoviglie in mostra.

Elena li salutò con un bacio sulla testa, per poi rimproverarli: «Rimettete subito tutto come l’avete trovato, non siete a casa vostra!», e andare a sedersi sul divano col marito, ma in punta, la borsa ben stretta sotto l’ascella: «Allora hai già visto qualcosa?»
«No, ti aspettavo.»
«Potevi iniziare, no? Anziché stare qui seduto comodo?»
«Che ne sapevo che saresti arrivata così tardi?» Paolo scavallò le gambe e si tirò su con la schiena. 

Ma Elena aveva appena tirato fuori il cellulare e i suoi occhi si muovevano linea dopo linea: qualcosa l’aveva resa sorda anche all’altoparlante che gracchiava nei corridoi.
I bambini erano passati intanto a esplorare il mobilio della cucina, aprivano e chiudevano le ante, vi si nascondevano dentro, bussavano sul legno e con il dito seguivano le linee degli sportelli.
Elena bloccò lo schermo del cellulare: «Cominciamo allora» e lo fece scivolare in borsa, rivolta al marito: «Questo divano ti sembra comodo?», poi batté i palmi sulle cosce urlando ai figli: «Ho detto di fare piano con quelle maniglie!»

Si alzò, mentre Paolo scuoteva la testa, e subito il figlio più grande le corse incontro: «Maaamma, immaginati un letto a castello bellissimissimo che sopra c’è una tenda e quando dormi ti sembra di essere nella giungla e sul letto ci sono anche i peluche di leoni e zebre.»

Mentre Nicola mimava la tenda, Edoardo con due finestre da denti da latte scivolava sulla gamba della madre, abbracciandola: «C’era anche la giraffa, mami. La vuoi vedere? È al piano di sopra.»

Il cellulare di Elena vibrò. «Perché non lo chiedete a vostro padre?», ficcò una mano nella borsa «Siete stati insieme fino adesso.»

Si allontanò per ascoltare il vocale appena arrivato. Intorno a lei le superfici dei mobili nuovi rilucevano,  in sottofondo ascoltava il ronzio sinistro di centinaia di elettrodomestici.

Ele ciao, niente, ti volevo scrivere, poi mi son detta la chiamo, siccome a pilates non vengo domani, e niente, insomma, te lo dico ora e non ci si pensa più i bambini più in là saltellarono verso il padre sul divano io li ho rivisti insieme, sono sicura che è lui; giacca, occhiali scuri che ha sempre… Ah, e aveva una valigetta molto elegante, color crema. Può essere? Insomma io te lo dico perché ormai ci conosciamo da un po’, da dietro il divano Paolo aveva appena recuperato la valigetta crema e le si era avvicinato: «Ancora con questo telefono?»; lei aveva risposto stizzita: «Lavoro» – se vuoi chiamarmi più tardi, ci sono. Cerca di stare su, pensa ai bambini.

L’audio s’interruppe ma lei seguitò con il telefono all’orecchio e gli occhi che scorrevano sulla cucina nuova, gli sportelli dove si erano rinchiusi Edoardo e Nicola, la tavola scomposta, il divano che il loro peso aveva sgualcito a malapena. Sullo schermo nero si rifletteva ora una coppia giovane, per mano; ma non erano loro.

Elena evitò lo sguardo del marito, quando si accorse che i bambini erano scomparsi.
Si chinò a vedere dentro gli scompartimenti della cucina, ma erano vuoti. Buttò il telefono in borsa  e andò a cercarli, con Paolo che le correva dietro.
I bambini si trovavano in un piccolo bagno moderno: Edoardo in piedi sullo scalino ripiegabile per avvicinarsi al lavandino, Nicola in ginocchio sulla base di marmo, con un rossetto in mano. Aveva disegnato un bassotto sullo specchio.


«Papi ci regala questo per il nostro compleanno!»
Elena prese in braccio Edoardo: «Amore tu e Nico non siete nati lo stesso giorno.»
«Ma se siamo fratelli non si può festeggiare insieme mai?»
«E tu che sei il più grande me lo dici che stai facendo? Poi non c’è posto a casa per un bassotto o nessun altro cane!» Strappò il rossetto di mano a Nicola, che corse ad abbracciare Paolo con gli occhi già gonfi.
«Mi avevi detto di sì papi!»
«È un cagnolino che ci siamo fermati ad accarezzare all’entrata…» spiegò il marito.
Elena fece scendere Edoardo di braccio.
«Senti, prenditeli tu, vado a vedere la scarpiera.»
Si asciugò gli occhi quando gli ebbe voltato le spalle e tornò nel primo salotto.
Si voltò solo un attimo: oltre il divano la parete era aperta – così li aveva trovati appena era entrata nello stabile – e li vedeva ora camminare sulle scarpe dalle suole illuminate che avevano comprato insieme tempo prima.

Tolse il cellulare dalla borsa e digitando nevrotica cancellò la conversazione con l’amica.
Poi prese a cercare la scarpiera. Si sporse oltre lo schermo nero: un altro salotto a specchio ma con tonalità amaranto si disponeva accanto a un’altra cucina con un’invitante isola famigliare al centro; dall’altra parte del corridoio si accedeva alla zona bagni, lo specchio con il bassotto, accappatoi appesi in mostra, docce e specchi in esposizione; attraversò un piccolo giardino interno con l’erba e le piante finte, si trovò in un’altra cucina – oltre i varchi nelle pareti aveva perso la sua famiglia ma ne vedeva centinaia d’altre che camminavano per il corridoio –; in fondo una porta bianca con appesa l’insegna ripostiglio. Si disse, lì dev’essere la scarpiera per noi, ma quando aprì, dietro alla porta, c’era solo la parete bianca dell’impalcatura che sosteneva l’arredo.

Andò a sedersi su un divano, lo stesso modello dove si era seduta con Paolo, stavolta sola.


Illustrazione di Maca