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I cassetti di Luka

Autore
Piergiorgio Andreani
A scelta dello Chef
Narrativa generale
22 aprile 2023

Luka inserisce il CD nel lettore e fa partire la canzone. È l’unico modo, perché suo padre non farebbe mai mettere Internet a casa, quella mostruosità che è piena di video di malati come te.
Da quando l’ha scoperta la ascolta trenta o quaranta volte al giorno perché parla di lei, al punto che ha deciso di chiamarsi Luka come il protagonista della canzone: desiderava tanto un nome che finisse per A e quando ha sentito per la prima volta la voce di Suzanne Vega ha capito di averlo trovato.

My name is Luka, I live on the second floor
I live upstairs from you, yes I think you’ve seen me before
If you hear something late at night, some kind of trouble, some kind of fight
Just don’t ask me what it was
Just don’t ask me what it was
Just don’t ask me what it was

Ogni tanto Luka si domanda se qualcuno senta mai i rumori che vengono da casa sua. Il padre è furbo, evita il viso, per cui nessuno dei vicini le chiede mai nulla. Lei crede che la gente sappia eccome, solo non gliene importa.
A volte pensa che vorrebbe un cane o un gatto. A loro non frega di come sei o non sei e di cosa vuoi o non vuoi essere. Se ti prendi cura di loro, si prendono cura di te. Semplice. E io vorrei qualcuno che si prendesse cura di me. Ma figuriamoci se il padre vorrebbe. Anzi, ci sarebbe il rischio di non vedere più la bestiolina da un giorno all’altro.
Luka va a scuola ma non ha amici; il suo unico passatempo è osservare i palazzi da camera sua, che però è al settimo piano e non al secondo come quella della canzone. Il suo quartiere è in una periferia grigia, di quelle che provocano, a chi si trova a passarci, un sussulto di pietà per chi ci vive e anche sollievo per  non essere tra loro.
I palazzi sono tutti uguali e hanno tutti le stesse finestre, piani costruiti a catena di montaggio in fabbrica e messi uno sopra l’altro, come giocando a Jenga, piazzandone il più possibile senza farli cadere.
Guardando le luci accese o spente, Luka immagina cosa stia accadendo dietro i muri opachi che occultano i segreti delle persone. Ogni famiglia nasconde qualcosa, è sempre così.
L’unico modo per vedere all’interno è tirare fuori i cassetti. È questo che le sembrano quei palazzi: enormi cassettiere che custodiscono, al posto di lenzuola, mutande e calzini, piccoli esseri umani che si spostano tra i vani. Ogni piano è un cassetto. Qualcuno gioca, qualcuno guarda la TV, qualcuno litiga, altri piangono, altri fanno l’amore con passione, altri ancora sperando ogni volta che sia l’ultima.

I think it’s because I’m clumsy, I try not to talk too loud
Maybe it’s because I’m crazy, I try not to act too proud
They only hit until you cry, after that you don’t ask why
You just don’t argue anymore
You just don’t argue anymore
You just don’t argue anymore

Luka scosta il filo delle cuffiette dal braccio; poi allunga la mano, prende la maniglia immaginaria di uno dei piani di un palazzo e tira fuori il cassetto. Dentro c’è quella coppia di mezza età che non vede scambiarsi mai neanche un sorriso. Perché stanno ancora insieme se non c’è più nulla tra loro? pensa Luka. Forse in un quartiere come questo sei in trappola, anche quando non sei ostaggio di qualcuno come mio padre, che mi ammazzerebbe piuttosto che lasciarmi andare.
Luka infila le mani giganti nel cassetto, prende marito e moglie sollevandoli per i pantaloni con indice e pollice e li posa sulla strada, in direzioni opposte. Ecco, ora siete liberi. Poi lo richiude.

Yes I think I’m okay, I walked into the door again
Well, if you ask that’s what I’ll say, and it’s not your business anyway
I guess I’d like to be alone, with nothing broken, nothing thrown
Just don’t ask me how I am
Just don’t ask me how I am
Just don’t ask me how I am

Luka apre un altro cassetto, quello in cui un uomo sui trentacinque vive da solo, e poi un altro, dove abita una donna più o meno della stessa età. Non li ha mai visti insieme, non sa nemmeno se si conoscano, ma ha sempre pensato che sarebbero una bella coppia. Chissà qual è la casa più comoda delle due, si chiede. Che importa?, risponde subito e, sollevando lui per i pantaloni, lo posa nel salotto di lei. Non essere timido, non vedi che hai la felicità davanti agli occhi? Baciala e fuggite via da qui. Poi lascia loro intimità, chiudendo entrambi i cassetti.

My name is Luka, I live on the second floor
I live upstairs from you, yes I think you’ve seen me before
If you hear something late at night, some kind of trouble, some kind of fight
Just don’t ask me what it was
Just don’t ask me what it was
Just don’t ask me what it was

Luka è stufa di giocare coi cassetti per oggi. Una lacrima le scende lungo la guancia, mentre si chiede perché nessuna mano gigante arrivi mai ad aprire il suo, di cassetto, per sollevarla e portarla via da quel quartiere, via dalle botte e dalle sbornie di suo padre che non ha mai accettato di avere un figlio che vuole essere una figlia. Bastava un po’ d’amore e invece quello se n’è andato da quattro anni con sua madre, in una sera in cui pioveva e l’asfalto era viscido e le gomme erano lisce perché non c’erano i soldi per quelle nuove.
Luka immagina la mano della madre che la salva dai palazzi costruiti giocando a Jenga, dalle giornate sempre uguali, dai silenzi delle persone che vede tutti i giorni e continuano a essere fantasmi, dai compagni di scuola crudeli, dal cassetto che le è toccato, che chissà poi se è davvero il peggior cassetto del quartiere, magari c’è di peggio, ma di sicuro non è tra i migliori, e da un padre distrutto dal dolore e incapace di non riversarlo nelle bottiglie riversandosi il loro contenuto in gola, per poi riversare la rabbia su Luka.
A volte si domanda se vivere a un piano così alto non possa tornarle utile, in fin dei conti, come soluzione, ma poi scaccia l’idea. Un giorno andrò via da qui, questo asfalto non merita il mio sangue.

And they only hit until you cry
After that, you don’t ask why
You just don’t argue anymore
You just don’t argue anymore
You just don’t argue anymore

Luka attende la fine della canzone, poi spegne il lettore e va a letto. Domani sarà uguale a oggi e dopodomani uguale a domani, ma intanto sogna del giorno in cui, mentre l’acqua le scorrerà addosso sotto la doccia, con le dita sentirà ciò che manca e smetterà di sentire quello che è di troppo. La mano gigante arriverà e la tirerà fuori dal suo cassetto, ne è certa, e quel giorno lei dirà addio ai palazzi grigi. E il primo posto che visiterà sarà l’ufficio anagrafe.


A illustrare il racconto, il dipinto su legno “Holiday rhapsody” di Zhiyong Jing, 2022.