Il collasso dell’universo
È una di quelle mattine di fine dicembre dove il peso dell’anno te lo senti tutto addosso e le vacanze sono ancora troppo lontane. Sento il vento che fischia e fa tremare le finestre e qualcosa picchia sui vetri, sicché probabilmente o nevica o piove. Ma onestamente non ho mezza voglia di mettere anche solo un dito fuori dalle coperte per capire che tempo fa. Stendo il braccio verso il comodino, spengo la sveglia del cellulare e ritiro nuovamente il braccio come la testa di una tartaruga.
Fin da piccolo ho imparato a dormire con la testa sotto le coperte senza soffocare (lo facevo perché avevo paura dei mostri e mi pareva che con la testa fuori dalla coperta mi potessero saltare addosso nel buio in qualunque momento). Dopo avere spento la luce, mi tiro il lenzuolo sopra la nuca, a pancia in giù; poi con una mano sollevo l’orlo della coperta puntandolo sul mio naso, formando una finestrella sopra la mia bocca, e tirandolo nuovamente giù sul mento. Quel tanto che basta per respirare. Se ho voglia di voltare la testa dalla parte opposta, non ci vuole niente a fare la stessa cosa dall’altro lato.
La sveglia suona di nuovo. E io la rispengo, vaffanculo.
Sì, ok, l’avevo messa alle otto del mattino, ma mi aspetta una giornata lunga, complessa, perché iniziarla così, con arroganza, buttandosi giù dal letto? Ci vorrà un minimo di stile nella vita…? Faccio poi presente che il riscaldamento nel mio condominio non è un granché (si doveva dire e si è detto!), per cui ho messo il piumone nuovo due sere fa e la stufetta elettrica in bagno, ma comunque dal letto al bagno ci sono almeno tre metri di eternità e chissà quali orrori di ghiaccio. Qui sotto, viceversa, un calore uterino.
Mentre premo con la guancia destra il cuscino, provo a socchiudere gli occhi. Li richiudo subito (nevica). Non c’è fretta, mi dico. Aspetta ancora un po’. Non è che tu debba timbrare il cartellino. Ci sono cose da fare, ma non c’è scritto esattamente quando farle. Certo, le devi fare entro oggi, ma mica alle nove in punto, o alle dieci o alle undici. In teoria se le fai entro le 23:59 è ancora ‘oggi’ e nessuno ti può dire niente.
E allora dormi. Dormi ancora un po’.
Volto quindi la testa dall’altra parte. Però, che nervoso, tutta la roba che ho da fare. Dovrei scrivere alla mia laureanda e non so che cazzo dirle, a parte ‘scusi Pagnani, proprio non ho idea di cosa farLe fare di tesi, perché di quello che vuole fare Lei io non ne so niente e le cose che vorrei fare io non c’entrano niente con Lei, facciamo che la tesi la chiede a qualcun altro?’. Ma lei ci tiene, povera, come faccio a risponderle così? A un certo punto mi dovrò alzare e scriverle due righe. Dio, che palle.
Provo a iniziare la mail nella mia testa. Riscrivo le prime righe sei volte. Ma che ne so io di cosa dire a questa qua. Ma uccidetemi. Oddio, ma stasera alle nove c’è il Pasticcio! (la chiamata Skype con i miei amici di Napoli dove ci leggiamo cose, abitudine presa in pandemia) e non ho scritto una riga del racconto da portare, aiuto. Mi ero completamente dimenticato che c’era anche questa tegola. Altro che 23:59, devo avere finito quel pippone per molto prima.
Hop hop, trotta cavallino. Adesso penso al tema e mi faccio venire in mente qualcosa. Dai. Forza. Pensa al tema. Adesso mi viene l’idea, e mentre mi ripeto che ora deve venirmi l’idea, lentamente passo a pensare alla spesa. Latte, cereali, biscotti, fetta di bovino, due buste d’insalata. Oddio, pure lo spazzolino da denti, l’ho scritto sulla lista…? Secondo me no. Dai, mi alzo e lo aggiungo, e provo a metter fuori una mano.
Troppo freddo. La tiro dentro.
Ne possiamo parlare dopo, penso cambiando posizione e mettendomi sul fianco sinistro, sempre in posizione fetale. Tra l’altro oggi devo anche mettere su Wattpad il quarto capitolo della saga di Eugenia. Che non ho finito di scrivere. Vabbè, ma quelli sono sempre 10-12.000 caratteri, cosa vuoi che ci metta? La storia è sempre quella – Eugenia scoglionata che ci prova col suo capo, lui le dice picche ma in realtà è un alieno, c’è un’emergenza, Eugenia va e lo disintegra, magari le scappa fuori una tetta ma comunque ne esce viva. Oppure Eugenia è con sua sorella e la stronza che sta con sua sorella, e alza gli occhi al cielo perché loro sono cretine. Quando farai copulare Eugenia con il suo capo?, mi chiedo a occhi chiusi. Dovrai inventarti una cosa zozza ma imbarazzante, tipo che lui ha una tasca ventrale per riporre il pene (magari ne ha pure due). No, c’è la questione del calore interno e dello sperma, biologicamente non ha senso. Ma lui è un alieno…! Ok, allora passa. Penso che manderò Eugenia sui colli contro un mostro a dodicimila tette.
Faccio per sdormicchiare, ma mi torna in mente Pagnani. Quella benedetta mail per Pagnani. Dio, devo trovare un argomento per Pagnani. Cosa trovo per Pagnani?
Certo avrei pure un po’ di fame, penso infine. C’è una fetta di torta di là. Buona, la torta. Però si sta così comodi qui. Oh, la torta la posso mangiare quando voglio purché entro oggi, mica va a male in cinque secondi. È in frigo, tra l’altro. Ma non dovrò andare in bagno ad un certo punto? No. Ci sono già andato tre volte stanotte. Ho dato tutto quello che avevo alla patria. Adesso posso dormire.
No che non puoi, dico quasi ad alta voce, le tue fatiche non sono finite, non è il momento di staccare, alzati e concludi qualcosa.
Ma concludo quello che vuoi, rispondo, solo non ora, dai che non ho nessun orario oggi, non ho corsi, non ho ricevimento.
Ma che discorsi, prima fai le cose prima le finisci e poi semmai torni a letto.
Lo sai che non è la stessa cosa.
Ma sì, un sonno più uno meno.
No, poi non godo più come ora, invece fammi stare qui un po’.
Ma prima o poi dovrai uscire.
Ah sì? E chi lo dice?
…la natura delle cose?, dico finalmente ad alta voce.
Silenzio.
Poi:
Non è la natura delle cose. È la natura, punto. In De rerum natura, rerum è pleonastico. I Greci mica dicono Περὶ φύσεως τῶν ὄντων (Sulla natura degli enti), dicono Περὶ φύσεως (Sulla natura) e basta, mi ricorda la vocina erudita che ogni tanto passa a visitarmi.
Poi l’altra vocina, sfruttando quei cinque secondi di stordimento, ricomincia:
Alzati e scrivi le cose.
No, rispondo io.
Alzati.
Ho sonno.
Dormi dopo.
Dormo ora. Ci penso questo pomeriggio.
Ti impedirò di godere.
Ti impedirò di impedirmelo.
Devi anche fare il video per quell’associazione di Roma, la parodia di Euripide.
Lo faccio nel pomeriggio.
Lo volevano ieri.
Non mi hanno fatto sapere niente.
Devi fare cose.
No.
Dai.
No.
Dai.
No.
Dai – oh cazzo.
Cosa.
Guarda fuori dalla finestra.
Apro gli occhi. Fuori dalla finestra non nevica più. Non c’è più il cortile del condominio. E nemmeno il condominio. E la città. Il pianeta. C’è solo una fantasmagoria di colori e onde luminose.
Che è!, esclamo.
Il collasso dell’universo, mi rispondo.
Proprio mo’?
Eh.
Vabbè ma allora sto a letto.
Fai come ti pare. Ormai è del tutto indifferente.
A illustrare il racconto, il dipinto dal titolo “The great day of his wrath” di John Martin.