Il pensionato di Madame Legrand – Pt.2
L’interno dell’appartamento si rivelò una Babilonia. Adolfo, per la sorpresa, si arrestò dopo pochi passi e rimase imbambolato a guardarsi intorno: l’arredamento sembrava essersi fermato a uno stile di cent’anni prima, il soffitto costipato da una cappa di fumo voluttuoso; dappertutto, uomini, donne, giovani, anziani – talmente tante persone che non riuscì a contarle – se ne stavano a farsi gli affari propri, chi faceva l’amore in un angolo imbottito di cuscini, chi fumava pipe, altri che giocavano a scacchi, qualcuno leggeva un libricino di poesie a un gigantesco levriero afgano dal pelo bluastro, una donna baciava i piedi di un panzone pelato, una coppia di gemelli posava per un dipinto e un altro uomo completamente vestito di latex nero supervisionava tutto. Ai lati della grande sala centrale dove si consumavano tali faccende, una manciata di camere sembravano occupate da altrettante persone e ognuna di esse portava impresso sullo stipite un numero ben preciso e una sottile scritta.
Adolfo avvertì la mascella cadergli sotto i piedi. Mai in vita sua aveva visto un luogo simile, ma l’unica cosa che riuscì a pensare fu: Dov’è Madame Legrand?
Una musichetta simile a quella dello strip club suonava in sottofondo insieme al vociare degli ospiti, ma lui si voltò verso l’uomo che lo aveva fatto entrare e si predispose in modo risoluto.
«Dove trovo Madame Legrand?»
Quello scoppiò a ridere, mostrandogli una fila di denti ordinati, poi lo afferrò per il gomito e lo costrinse a sedersi su un enorme cuscino da pavimento. Adolfo, che della vera risolutezza non conosceva i segreti, fu costretto ad attendere. Per passare il tempo si concentrò sulle camere: notò i numeri e le scritte e strinse gli occhi per riuscire a decifrarle. Nel frattempo, proprio di fianco a lui, l’uomo che leggeva poesie al cane aveva preso a osservarlo.
A capire i numeri ci mise poco – si trattava di caratteri in latino – ma sulle scritte fece cilecca: safran, poivre, aneth, gingembre, piment, anis, non aveva la più pallida idea di cosa significassero.
«Trattasi di spezie» intervenne l’uomo delle poesie, «Spezie in francese. È per tale motivo che si chiama Le pensionnat des épices.»
Adolfo strabuzzò gli occhi.
«Lei è italiano!»
«Molto piacere, mi presento: sono il Conte Insidioso.»
«Insidioso come nomignolo?»
«Affatto. È il cognome di famiglia. Bizzarro alquanto, ma rispecchia perfettamente la nostra natura.»
Adolfo lo guardò: portamento distinto, baffi all’insù e un monocolo appuntato alla giacca di velluto bordeaux. Gli occhi erano grandi e luminosi. Si fidò di lui immediatamente e fu pronto a confidargli tutta la sua vita.
«Io sono Adolfo Cappello e sono un morto che cammina.»
«Oibò.»
«Non avrei dovuto dirlo!»
«Affatto. Non mi meraviglia: qui lo siamo tutti.»
Adolfo ammutolì. Intanto, l’uomo che lo aveva fatto entrare tornò da lui con un taccuino e una penna.
«Louis, qui presente, necessita delle sue generalità» tradusse il Conte per lui.
«Le mie?»
«Le sue.»
«Perché?»
«Perché è così che funziona a Le Pensionnat des épices.»
Adolfo allora si rivolse a Louis.
«Mi chiamo Adolfo Cappello, cinquantasette anni, sono nato ad Arcisate, provincia di Varese, ero contabile negli uffici amministrativi di un impianto di raccolta rifiuti, sposato, una figlia, e sono un morto che cammina.»
Il Conte pensò a fare da interprete tra i due.
«Di quale malattia è affetto? Qualcosa di contagioso?» chiese ad Adolfo.
«Tumore al pancreas. Ho tre mesi di vita.»
Louis trascrisse sul taccuino e fece una smorfia, a metà tra il dispiaciuto e il beffardo.
«È presente in codesto luogo molta gente con questo male – cosa comune oggigiorno – ma credo che lei sia l’unico che abbia così poco tempo.»
«E lei Conte? Che malattia ha?»
«Io sono giunto a Parigi per togliermi la vita, come tutti i grandi uomini della mia casata.»
«Perché?»
«Perché la nostra indole non è fatta per questo mondo.»
«E quando è previsto? Il giorno del suicidio, intendo.»
Il Conte fece finta di rabbrividire.
«Com’è rozzo lei.»
«Chiedo scusa.»
«Lo deciderà Madame Legrand. Ho rimesso a lei l’estrema decisione.»
«Madame Legrand?! Allora sono nel posto giusto!»
Il Conte batté velocemente le palpebre, infastidito da quello scoppio di gioia. Il levriero afgano invece, composto e immobile, non accusò il colpo.
«E quando? Quando potrò vederla?»
Louis gli tirò una pacca sulla testa.
«Oh, dunque…non le saprei dire. Io stesso attendo di incontrarla da mesi.»
«Mesi?! Ma io ne ho solo tre! Anzi, due e mezzo a quest’ora!»
«Mi rincresce.»
Adolfo emise un gemito sconsolato. Alzò la testa, guardò Louis e si rese conto che non avrebbe ottenuto alcuna pietà o trattamento di favore. D’altra parte, come aveva detto il Conte, lì stavano tutti per morire.
«E che faccio io nel frattempo?»
Il Conte sembrò rinvigorirsi. «Orbene, considerata la sua precaria situazione, non le rimane che attendere qui con noi! Cos’ha di meglio da fare?»
«Qui? Proprio qui vuole dire?»
«Ogni moribondo ha la sua camera. No, non quelle delle spezie, quelle servono per iniziare. Al piano superiore è locato un altro appartamento come questo, dove riposiamo e mangiamo.»
«Per iniziare cosa?»
«La sua permanenza qui a Le Pensionnat. In qualche modo si dovrà trascorrere il tempo in attesa della morte, non crede? Alcune di quelle stanze delle spezie sono piacevoli, vedrà. Altre non le raccomando.»
Adolfo non capì niente, come al solito.
«Ma lei, Conte Insidioso, come ha saputo di Madame Legrand?»
«Sono venuto a conoscenza dell’Egregia Madama dalla missiva di un mio bisnonno: pare che anche lui si recò qui per morire e non ho saputo resistere alla tentazione di venire a vedere coi miei stessi occhi.»
«Bisnonno? Ma non è possibile che Madame Legrand esistesse già all’epoca!»
«La vita è piena di misteri.»
«Io voglio solo incontrarla e…beh, insomma…»
Il Conte gli diede un buffetto leggiadro sul braccio.
«Non è forse quello che vogliamo tutti? Un ricordo perfetto di pura felicità prima di spirare?»
Adolfo valutò velocemente la propria vita e diede conferma alle parole del Conte: non aveva memoria di un momento simile. Louis gli bussò sulla spalla col taccuino, poi porse la mano, ticchettando lo stivale di pelle sul parquet.
«Oh, vorrebbe i suoi documenti, e il denaro» disse il Conte, «Per stare qui.»
«Non ce l’ho con me. Devo tornare in motel.»
«Allora faccia presto.»
«Di quanto denaro stiamo parlando?»
«Beh, tutto quello che possiede. Cos’ha da farsene ormai?»
Adolfo fece spallucce: avrebbe fatto qualsiasi cosa per incontrare Madame Legrand.
«D’accordo, accetto» disse.
Louis batté le mani, finalmente un sorriso vero gli spuntò sulla bocca.
«Mesdames et messieurs, on a un nouvel invité. Veuillez accueillir Adolphe Chapeau!»
Tutti interruppero le proprie attività e partì un applauso contenuto. Ne venne fuori un’unica voce che esultò Chapeau! Adolphe, Chapeau! Adolphe, che confuse Adolfo e lo imbarazzò.
«Faccia presto, dunque. La attendiamo di ritorno.»
Finalmente il levriero si voltò a guardarlo. Aveva degli occhi intelligenti. Una tenue speranza, quella che Adolfo non aveva mai avuto, si insinuò dentro di lui: pensò che se non aveva potuto vivere come aveva desiderato, almeno sarebbe morto decidendo accanto a chi.
Si alzò, salutò il conte e il cane e, scortato da Louis, uscì dall’appartamento. La vecchia sdentata stava ancora sbirciando la situazione dal suo uscio e lo salutò con una manina rugosa. Adolfo corse in volata, uscì in strada e scoppiò a ridere.
L’aveva trovata. Era felice.
Tornando indietro verso Pigalle, sbagliò nuovamente fermata della metro, così arrivò in motel che era sera. Le luci del quartiere si stavano di nuovo illuminando.
Una volta in camera, raccolse i suoi quattro stracci, li infilò nel borsone e contò tutti i soldi che possedeva: non erano più di diecimila euro – qualcosa in meno, visto che avrebbe dovuto saldare il conto del motel – ma gli parvero una buona cifra da investire per incontrare Madame Legrand. Poi decise di portarsi dietro anche la bambola gonfiabile, in fondo era ciò che di più simile aveva avuto come compagna in quelle ore e si era convinto che portasse fortuna.
Chiaramente non era affatto così, ma un uomo con una nuova speranza è disposto a credere a qualsiasi cosa per giustificare la propria felicità.
La piegò in un fagotto quadrato e la infilò nella borsa, insieme ai vestiti e ai soldi. Pensò bene di rubare anche gli asciugamani e tutti i kit da bagno della camera. Infine fece la cacca, così, per non presentarsi a Le pensionnat con un malloppo in corpo, ché non gli sembrava elegante. Saldò il conto e prima di tornare a Montparnasse decise di mettere qualcosa sotto i denti. Girovagò un po’ per il quartiere, poi gli venne in mente di tornare dall’indiano dai capelli verdi. Quando entrò nel sexy shop lo trovò nella stessa posizione della sera prima, chino sul giornale.
«Salve» lo salutò.
Quello fece una faccia allegrissima nel vederlo.
«Volevo dirle che ho trovato Madame Legrand grazie al suo aiuto.»
«Yeah, good! Plastic doll is good.»
«E che, insomma, adesso vado a stare da lei per il tempo che mi rimane.»
«Magnifique. You fuck, fuck.»
«E le volevo chiedere, ma come faceva a sapere dove si trovava Le pensionnat?»
L’uomo si picchiettò un dito sulla tempia.
«Pakistani people, smart people.»
«Ah, è pakistano. Ma poi, lei, come si chiama?»
«Anoop Bi Mohamed.»
«Mi piace Anoop. E quindi? Madame Legrand?»
L’uomo sorrise. Lo lasciò per qualche istante da solo, allontanandosi verso il fondo del negozietto. Ne tornò con un paio di bibite giallo fluo sulla cui etichetta c’era scritto “Inca Kola”. In più – non si sa da dove – tirò fuori anche un piatto di cartone pieno di riso e carne. Adolfo, che già era affamato, accolse il profumo di spezie e cipolla con gioia. Poi, l’illuminazione.
«Le spezie! Ecco come la conosce!»
Anoop dispiegò un tavolino di legno e due sedie minuscole e pregò Adolfo di accomodarsi. Di seguito, prese a mangiare con le mani. Adolfo aveva una fame tremenda, così lo imitò. La bibita sapeva di shampoo, il pollo invece era delizioso.
Circondati da falli di gomma, cartonati di donne poppute e bikini in vinile, i due cercarono di comunicare. Ne venne fuori che Adolfo, che mai aveva capito nulla, aveva indovinato: Anoop non solo forniva Le Pensionnat le spezie ma anche i giocattolini sexy e i costumi. Ricordò l’uomo vestito di latex nero che supervisionava la sala centrale dell’appartamento e fece due più due.
«E tu l’hai mai vista?» chiese, indicandosi gli occhi, «Madame Legrand.»
Anoop annuì e curiosamente fece lo stesso gesto che Adolfo aveva visto fare alla vecchia sdentata, quel circondarsi il corpo con le mani, come a indicare qualcosa di ingombrante.
«E com’è? Dimmi! È bella? È giovane?»
«Yeah, good.»
«E ti ha parlato? È francese, no? Come diavolo farò a comunicare con lei?»
«It’s ok, monsieur! If you like…»
«E… insomma, tu… ci sei andato a letto?»
«Lettò?»
«Sì, beh…» lo indicò e imitò il gestaccio che gli aveva visto fare due volte.
Anoop scoppiò a ridere. Aveva proprio dei bei denti.
«No, no! C’est pas possible! Ah ah ah, you funny, mon ami!»
Adolfo ripiombò nella confusione. Fu però sollevato dalla consapevolezza che Madame Legrand non si concedesse a chiunque. Ripensò alla sua immagine sul giornalino e fantasticò sul momento in cui l’avrebbe finalmente avuta. S’intrattenne piacevolmente ancora un po’, poi salutò Anoop, incerto se quella sarebbe stata o meno l’ultima volta che lo vedeva, e tornò a Montparnasse che era ormai quasi notte.
Ad accoglierlo trovò di nuovo Louis. La sala era vuota, così venne accompagnato al piano superiore da una scala interna foderata di moquette, e infine nella sua nuova stanza. Era piccola ma pulita, e piuttosto femminile, con un arredamento che si accordava con quello del piano inferiore, ma tutto sui toni del giallo. Una finestra dava proprio su Rue Daguerre e sui tetti d’ardesia di Parigi.
Si sentì in pace.
Louis cominciò a parlargli in modo velocissimo, ma Adolfo fece la faccia da pesce lesso. Capita l’antifona, gli indicò un foglio sulla scrivania di mogano, poi si fece consegnare i documenti e tutto il denaro che aveva portato. Adolfo gli passò l’intero borsone, senza nemmeno togliervi gli abiti e la bambola. Louis ne controllò velocemente il contenuto senza fare commenti, poi uscì. Il foglio non era altro che una sorta di elenco delle informazioni utili su Le Pensionnat: l’ora dei pasti, il divieto di non disturbare il sonno degli altri ospiti, il numero di Louis per le emergenze e così via. Adolfo si chiese in che stanza si trovasse il Conte Insidioso e quel suo cane strambo, ma d’improvviso si sentì stanco. Era stata una giornata eccitante, frenetica.
Si sedette sul letto, molleggiandosi per testarlo. Ne fu soddisfatto, poi si rese conto di non avere né il pigiama né le ciabatte o lo spazzolino da denti. Fece spallucce – non voleva già chiamare Louis e infastidirlo – si spogliò, prese un sorso d’acqua dal rubinetto e piombò nel sonno.
Il mattino dopo si svegliò che erano le nove passate, ritrovando tutte le sue cose sulla scrivania, compresa la bambola piegata ordinatamente su se stessa. Si lavò, si rivestì e scese al piano inferiore. Nella sala centrale trovò solo il Conte e il suo cane. Dopo i primi convenevoli, il discorso andò subito al sodo.
«Le attività delle stanze aprono alle undici del mattino» spiegò quello, indicandogli le porte numerate, «Stanno dormendo adesso.»
«Chi?» chiese Adolfo.
«Dunque sì, le persone che vi praticano. Le incontrerà anche lei, di certo.»
Adolfo tacque, ma solo per non fare la figura del citrullo.
«Potrebbe ingannare il tempo facendo una passeggiata a Le Jardin du Luxembourg, è qui vicino, sa? È una splendida giornata oggi.»
«E lei non viene?»
«Oh no, la ringrazio di cuore, ma ho da finire un componimento lirico in onore del mio funerale.»
Adolfo ci pensò su. C’era l’ipotesi che uscendo avrebbe perso l’occasione di incontrare Madame Legrand, quindi decise di restare e aspettare. Alle undici in punto, Louis fece la sua comparsa, con tanto di grembiulino che gli lasciava le natiche scoperte e un paio di sandali dal tacco ancor più alto del giorno prima.
«Quando Louis è qui, vuol dire che le stanze delle spezie sono pronte» disse il Conte, «Non deve seguire un ordine numerico, può scegliere come le aggrada, ma se vuole ascoltare un consiglio, io inizierei dalla numero cinque.»
Adolfo si voltò in direzione della stanza con lo stipite “V – Poivre”.
«Non serve bussare, basta che entri.»
Si fidò. Entrò nella stanza senza indugio, spaventato ma curioso. Scoprì di trovarsi in una sorta di sgabuzzino totalmente illuminato da luci rosse. Lo spazio era diviso in due da una lastra di vetro, da una parte c’era una sedia, dall’altra un divanetto. Adolfo non poté far altro che sedersi sulla sedia e attendere, di nuovo.
Puoi leggere la prima parte qui: Le pensionnat de Madame Legrand Pt.1.
Ad accompagnare: Henri de Toulouse-Lautrec, Au salon de la Rue des Moulins, 1894-95. Olio su tela, 111 × 132 cm. Albi, Musée Toulouse-Lautrec.