Categories

Micetti, la gang!

Autore
Iago Menichetti
Ciclo #5 - Le sette vite di Spaghetti
Narrativa
13 maggio 2021

Il Barone avanza baldanzoso sul cornicione, mentre Danny arretra nell’angolo.
Non ha scampo. Quel randagio caffellatte da due soldi non può competere con un gatto della sua levatura. Il Barone si passa la lingua sugli artigli, posiziona il sederone sulle zampe posteriori, carica l’assalto, poi si slancia imperioso contro il randagio che, inaspettatamente, si scansa.
Il micione così precipita nel vuoto, un piano alla volta. Ognuna delle sue vite passate gli scorre davanti in tanti fotogrammi, dove si proiettano tutte le scatolette che il padrone gli apre, premuroso, per viziarlo a suon di leccornie. Chiude gli occhi, si lecca i baffi e così, beato, finisce per spiaccicarsi al suolo.
Danny dall’alto osserva incredulo la scena, miagola al cielo per ringraziare la sua buona stella, poi fugge via.

Intanto sulla strada, la carcassa del Barone ha un sussulto: le zampe si riassestano, riacquistando una posizione consona all’anatomia felina. Le interiora ritornano al loro posto nello stomaco che si salda, di nuovo integro. Anche il muso, spappolato nell’impatto, si presenta adesso nella sua bellezza originale.
È tornato in vita.
Soffia. Non la sua morte migliore, ma del resto sono i rischi del mestiere: non si fa una frittata senza rompere qualche uova.

Restiamo nello stesso quartiere, ci spostiamo solo qualche isolato più in là, dove troviamo una colonia felina intenta a razziare il pasto a domicilio che la vecchia Tilde, la gattara più nota della zona, serve loro tutti i giorni.
Sono poco più di otto mici, una piccola gang.
Ritroviamo Danny, stavolta sta discutendo con Fuffino, un gattone dal pelo rosso che gli urla addosso:
«Oggi le crocchette toccano a me, ieri le hai prese tu!»
Danny difende le crocchette con entrambe le zampe: prima ancora che di stomaco è una questione di principio! Peccato che Fuffino non sia dello stesso avviso:
«Spostati tappo o finisce male.»
I due sgherri si soffiano contro mentre Gastone, un cocktail insidioso di madre bengal e padre randagio, tenta sotterfugi diplomatici:
«Via, via, quanto rumore per nulla. Che brutto vedere dei fratelli discutere per cose simili. Ci penso io a fare le porzioni per tutti, passa qui le crocchette.»
Parole al vento. Danny e Fuffino si fronteggiano, lo scontro è inevitabile.
Il piccoletto tenta la sortita: con una zampata sbilancia Fuffino che in risposta attenta alla gola del compagno, ma i suoi propositi si infrangono su un’enorme zampa nera che da dietro gli schiaccia a terra il muso.
«Imbecille. Le crocchette toccano a Danny oggi, tu sei già abbastanza grasso.»
È Rosco. Un gatto nero con criniera da leone. Il capo della gang.
Quando arriva gli altri cedono il passo, in segno di rispetto.
Rosco scorre in rassegna la banda. In testa ha un progetto dei suoi, gli altri lo capiscono subito.
Salta su un sasso poco distante e comincia a declamare.
«Ho una buona notizia per voi: è arrivata l’ora della resa dei conti. In un colpo solo ci prenderemo il quartiere e ci libereremo dei bastardi del Barone.»
Il discorso si fa interessante. Gastone lecca i baffi e si fa portavoce dei pensieri del gruppo:
«Non tenerci sulle spine, capo. Che novità hai?»
Rosco aspettava solo quella domanda.
«Non ho novità, ho un piano. Danny perché non dici ai tuoi compagni quante vite restano al Barone?»
Danny sembra preso in contropiede. A dire il vero ha già iniziato a divorare le sue crocchette, approfittando del momento di distrazione.
«Capo ti ho già detto tutto quello che so. Stamani ho visto il Barone spiaccicarsi al suolo, ma non ho idea di quale vita fosse. Lo sanno tutti che esistono solo due tipi di gatti che rivelano le proprie vite: quelli stupidi e quelli morti.»
Rosco replica con sorriso sornione.
«Sbagliato. Vedi Danny, è per questo che io sono il capo e tu invece rischi il collo per delle crocchette scadute: perché io sono sempre due mosse avanti!»
Pausa teatrale. I membri della gang si scambiano sguardi interdetti. Rosco alza il mento per dare il profilo migliore al pubblico: «Una sola vita e puff! Il Barone è fottuto» sentenzia..
Non può essere vero, nessuno ha mai fatto le scarpe al Barone, di questo Fuffino è certo.
«Eppure è così, stupido trippone che non sei altro,» continua Rosco «ho avuto una soffiata, mi è costata un intero gomitolo di lana ma so per certo che con il volo di stamani il Barone si è giocato la penultima vita. Quindi non ci resta che fargli la festa un’ultima volta e il quartiere sarà nostro.»
L’attenzione adesso è totale: la faida con la banda del Barone per il controllo del quartiere va avanti ormai da troppo tempo. Il solo pensiero di togliere di mezzo il boss dei boss basta a fare rizzare il pelo sulla schiena.
«Ora ascoltate, il piano è questo.»
In un nonnulla si forma un capannello intorno a Rosco. I gatti drizzano le orecchie mentre il capo illustra il piano d’attacco, ma non tutti i membri della gang sono proprio delle volpi, così le ore si allungano mentre il sole si abbassa. Arriva il tramonto. Un fascio di luce, di un arancione caldo, si introduce con cautela tra le tapparelle di una finestra della villetta più bella del quartiere. Un 400 mq con ampio giardino intorno. Il campanello indica che il proprietario è un nobile decaduto che ha ereditato la proprietà e vive lì insieme alla sua signora, anche se adesso sono da amici per una partita di bridge.
In realtà però tutti i mici del quartiere sanno che quella è casa del Barone.
La luce filtra dalla finestra fino agli occhi dell’opulento Sacro di Birmania dal pelo chiaro con le zampe scure, come se portasse dei calzerotti, che se ne sta spanciato sul divano a faccia in su.
«Cosa… che succede? Una sortita. Ai posti di combattimento, ai posti di combattimento!»
Il Barone si è svegliato. Pare confuso, di sicuro turbato.
«Tranquillo capo, è solo la luce. Qui fuori è tutto tranquillo.» Parola del compagno Tovarish, un siberiano con una benda sull’occhio che fa la vedetta davanti alla porta a vetri della Villa.
Il giardino è pattugliato dalla banda del Barone: saranno otto in tutto, forse dieci.
Il perimetro sembra impenetrabile quando, a terra, dietro un pino maestoso, non si apre una buca da cui gattonano fuori Fuffino, Danny e Gastone. Il trio è nervoso, con le orecchie ben tese. Sfruttano l’albero come copertura, guidati da Gastone: «Allora, ripassiamo il piano. Danny tieni l’arma segreta.»
«Cosa, perché io? Non può farlo Fuffino?»
«Ho le zampe grosse, non riesco a premere quel pulsantino.»
«Inutile ciccione.»
«Non sono ciccione! Ho le ossa grandi.»
Gastone si porta una zampa sul muso.
«Ora ascoltate, è semplice: adesso noi tre ci bendiamo, poi Danny prende il puntatore e lo punta contro il muro per scatenare il panico tra le guardie così che Rosco e gli altri si possano intrufolare nella villa per fare la pelle al Barone. Tutto chiaro?»
Danny e Fuffino annuiscono, Danny però ha un dubbio.
«Ma se prima mi bendo, come faccio a essere sicuro di puntare il laser nella direzione giusta?»
Gastone fissa Danny come si fissa qualcosa che si vorrebbe sventrare.
«Danny, il muro non solo è enorme ma è anche di fronte a te, ti basta prendere questo maledetto puntatore laser e premerlo, è fisicamente impossibile sbagliare. Adesso metti questa benda e fai quello che ti ho detto.»
I tre mici mettono in atto il piano: si bendano, poi Danny solleva il piccolo puntatore laser che la gang aveva trafugato da un portachiavi abbandonato su una panchina. Non vede più nulla, trema, un piccolo errore e sono fottuti, preme il pulsantino, segue un silenzio lungo un attimo che sembra infinito, poi l’inferno.
Il primo ad avvistare il piccolo cerchio rosso è Tovarish, col suo occhio di lince, vorrebbe trattenersi ma il corpo reagisce senza che lui possa fermarlo: abbandona la posizione, si fa tutto il prato a corsa e salta addosso al muro per cercare di agguantare quel pallino intangibile. Gli altri gatti di pattuglia si allarmano, si girano verso compagno Tovarish e in breve si scatena un effetto domino: una guardia dopo l’altra inizia a inseguire il laser lungo il muro preda di un raptus inarrestabile. Le palle di pelo ipnotizzate si accalcano, si montano addosso, si mettono le zampe sul muso pur di raggiungerlo. Vedono rosso, come i tori, anzi no, come i gatti: perché nessun gatto può resistere al puntatore laser.
La porta a vetri della villa è rimasta sguarnita.
«Cos’è questa Babilonia?!»
Il Barone ha fiutato il pericolo, ma è troppo tardi: Rosco con gli altri mici della gang ne ha approfittato per iniziare l’attacco. Il gatto nero entra in salotto e sfida il suo rivale fissandolo dritto negli occhi.
«Quanto tempo, vecchio mio. Spero tu abbia salutato per bene i tuoi padroni perché hai chiuso.»
Il Barone risponde soffiando tutto il suo disprezzo altolocato.
«Maledetto figlio di una sgualdrina in calore, se pensi che uno come me ceda la pelle a un randagio pulcioso come te, sbagli di grosso!»
Sono tanti contro uno, ma al sacro di Birmania non sembra fare molta differenza: dal divano si getta addosso a Rosco al grido di “Avanti Savoia!”

Intanto in giardino, Gastone, Danny e Fuffino bendati cercano di indovinare cosa stia succedendo:
«Stiamo vincendo?» Domanda Fuffino da dietro.
«Credo di sì.» Risponde Gastone, mica troppo sicuro.
«Da cosa lo credi? Io sento solo un gran casino.» Replica Danny, scettico.
«Sì ma sembra un casino a favore nostro.» Incalza Gastone.
«Pensate che il Barone nasconda in casa molte crocchette?» Fuffino è pensieroso.
«È una possibilità.» Sempre Gastone, leccandosi la zampa.
«Nel dubbio mi sono portato dietro qualcuna di quelle di Tilde, per quando avremo fatto la festa al vecchio bastardo.» Sghignazza Danny.
«Quelle erano le mie crocchette!» sbotta Fuffino.
«Oddio ora ricominciano.» Gastone fiuta il disastro imminente.
«L’hai sentito il capo, no? Niente crocchette per te, ciccione!» Eccoci. Questo Danny non avrebbe dovuto dirlo.
Il pelo dell’enorme micio passa da rosso a paonazzo per la rabbia: Fuffino non ci pensa due volte e in tutta risposta rinvia addosso al muro il compagno con una zampata. Danny nell’impatto lascia cascare il puntatore e, all’improvviso, il laser sul muro scompare.
L’incanto si interrompe: la banda del Barone si sveglia dall’ipnosi. Lentamente i gatti riacquistano il controllo.
Compagno Tovarish è il primo a commentare:
«Cos… Ma cosa… Ci stanno attaccando. Presto, dobbiamo difendere il capo!»
Tovarish guida la rappresaglia, il fronte di guardie compatto si riversa dentro la villa, scovando il Barone che, coperto da graffi profondi, sciabola gli artigli in pieno furore guerriero. La gang di Rosco si ritrova accerchiata ma il capo non ha nessuna intenzione di chiamare la ritirata: vuole l’ultima vita del Barone e la vuole oggi.
È una bolgia, le due bande si affrontano senza esclusioni di colpi. Qualche gatto muore col collo squarciato o il ventre aperto, ma poco dopo si rianima e riprende a combattere più furioso di prima.

Dal giardino Gastone e Fuffino osservano la scena interdetti, mentre Danny è ancora steso a terra privo di sensi.
«Ehm… Gastone cosa prevede il piano adesso?»
Fuffino non fa nemmeno in tempo a finire la domanda che Gastone si tuffa nella buca da cui erano arrivati, battendo in ritirata. Il rosso ci pensa sopra qualche secondo, quindi si avvicina a Danny, inizia ad annusare il pelo del compagno finché non scova la crocchetta nascosta, poi imita Gastone e abbandona il campo di battaglia, stringendo nelle fauci il prezioso tesoro commestibile.

Nella villa la gang di Rosco sta subendo l’inferiorità numerica, ma il loro capo invece è riuscito a mettere alle strette il Barone che adesso si ritrova braccato, spalle a un mobile sormontato da un grosso vaso soffiato di Murano. Rosco avanza, muso a muso col suo rivale, pregusta il sapore del sangue sui baffi.
«Aspettavo questo momento da molte, molte, vite: hai fatto il tuo tempo, vecchio mio. Ora è arrivato il mio turno.»
Nonostante l’affanno, il Barone non sembra per nulla intimorito, anzi, in tutta risposta scoppia a ridere.
Rosco resta interdetto: «Cosa ci trovi di tanto divertente?»
Il Barone sfodera il suo miglior sorriso: «Sei rimasto il solito bifolco che presi sotto la mia ala, quando ti trovai vicino a quel cassonetto, a miagolare impaurito. Sai chi ha messo in giro la voce che l’ultima fosse la mia sesta morte?»
Rosco è scosso da un fremito, le orecchie gli si appiattiscono mentre le pupille si dilatano alla loro massima estensione. Il Barone risponde alla sua stessa domanda: «Sono stato io. Dopo che Gastone mi ha confidato, in piena sbornia da latte, che ti era rimasta una sola vita.»
Appena pronunciata l’ultima parola, il Sacro Birmano zompa addosso al mobile dietro di lui. Il colpo si ripercuote sul vaso soffiato di Murano che inizia a vacillare sempre più, sempre più, finché, ormai completamente sbilanciato in avanti, non precipita addosso ai due mici.
Rosco osserva la fine giungere dall’altro nella forma di un’ombra gigante che si schianta al suolo, sbriciolandosi in mille pezzi. Pezzi molto costosi.
I due gatti muoiono sul colpo, con la lingua di fuori e la testa fracassata.
Richiamati dal frastuono, le gang interrompono di botto la faida. Sono confusi.
Compagno Tovarish si avvicina ai corpi senza vita.
Pochi secondi dopo, la lingua del Barone schiocca un colpo: la testa del micione si ricompone, mantenendo qualche cicatrice sul muso, in una sorta di kintsugi di pelo.
Il Sacro di Birmania è tornato in vita, Rosco invece resta steso, inerte, di fronte a lui.
Gli altri randagi della gang non ci pensano sopra due volte e si arrendono al nuovo capo.
Il Barone si avvicina ai resti del suo rivale e li osserva pensando che oggi è andata bene, ma la ruota gira e un domani quello a non rialzarsi più potrebbe essere lui.
Dopotutto, da micio di mondo qual è, sa bene che è così che funzionano le vite dei gatti.