U ietta sentenza
Nonostante il caldo dello scirocco avesse lasciato il passo ad una leggera brezza estiva, il signor Logiudice sudava sempre di più. Teneva gli occhi chiusi provando a calmare il suono martellante del proprio cuore nelle orecchie. Sentì la voce del presentatore che lo chiamava ed uno scroscio di applausi mentre avanzava costretto in dei pantaloni rossi non più adatti alla sua figura, così come la camicia porpora serrata sul collo: come se un peperone ripieno del sindaco fosse appena entrato in scena.
«Aspetti!» Aveva aggiunto quel pomeriggio U ietta sentenza al tavolo del bar. «Si ricordi che il blu le donerà calma ma è il rosso che le permetterà di tirar fuori l’energia necessaria a superare le sue prove.»
Quelle parole risuonarono nella testa del sindaco mentre stringeva il microfono fra le mani grassocce.
«Buonasera miei concittadini,» iniziò il signor Logiudice, «oggi sono qui non come vostro sindaco, bensì per partecipare e vincere questo Talent Show!»
Dal pubblico si sollevò qualche risata e qualche sopracciglio, mentre i ragazzi più giovani gli facevano il verso.
«Signor Sindaco, lei ha molte capacità che non ha sfruttato a suo vantaggio. Questo è il momento di farne uso ma, stia attento, sa bene che talvolta è imprudente essere troppo sinceri con gli altri.» Così aveva chiosato il veggente con fare misterioso.
Continuando a fissare il pubblico il sindaco sembrò tentennare, domandandosi se fosse o meno il caso di salvarsi prima che fosse troppo tardi, ma dopotutto i presagi erano tutti a suo favore, come testimoniava il libro sacro d’U ietta sentenza. Lo cercò con lo sguardo trovandolo fra la gente, stringeva ancora il libro dalla copertina grigia e consunta. Di tanto in tanto ficcava il naso fra le pagine prima di rispondere alle domande dei suoi vicini.
«E se poi me ne pento?» Gli aveva chiesto titubante il sindaco sorseggiando il terzo caffè.
«Tendi ad essere critico nei tuoi confronti.» Rispose criptico Martino U ietta sentenza.
La musica si diffuse per la piazza e correndole dietro il sindaco Logiudice intonò la prima strofa. Per qualche secondo gli unici suoni che si sentirono furono quelli della sua voce e dell’accompagnamento.
«L’unica cosa che ci separa dai nostri sogni siamo noi stessi.» Gli ricordò Martino.
Il sindaco ora avanzava sotto la luce dei riflettori, cantando a voce sempre più alta. Con la mano libera si sbracciava, totalmente coinvolto nella sua esibizione. Sentì un brivido, un’emozione, corrergli lungo la schiena.
Le parole di Martino lo incalzavano: «Qualcosa che stai aspettando da tempo succederà a breve, e ti sentirai più confidente!» Il brivido proseguiva, arrivando fino al pubblico che adesso rideva fragorosamente. Per quanto confuso dalle loro risate su di un pezzo così struggente il signor Logiudice non si fermò, l’esibizione doveva continuare.
«Delle volte sai essere troppo critico con te stesso.» Lo aveva rincuorato Martino.
La gente che prima rideva sotto i baffi adesso aveva le lacrime agli occhi, ma non per le motivazioni che si sarebbe aspettato il sindaco che intanto sentiva sempre più caldo. «Solo lasciandoci andare saremo liberi di diventare chi siamo destinati ad essere.» Lo rimproverò Martino.
Le risate erano diventate ululati di derisione, il signor Logiudice quasi si sentì mancare.
«Una persona saggia sa quand’è il momento di lasciar perdere e quando lottare fino alla fine. Lei, sindaco, è un guerriero nato.»
Lanciò un acuto conclusivo proprio quando scoprì i suoi concittadini tutti rossi in volto per le risate. Tutti tranne Martino. U ietta sentenza lo guardava pallido come un cencio, sventolando il libro come a dirgli di fermarsi. Il sindaco alzò lo sguardo sul maxischermo, vedendo sé stesso vestito di rosso come un Gabibbo, così concentrato da non essersi nemmeno accorto che i bottoni della camicia erano saltati durante le sue piroette. Tornò a cercare U ietta sentenza con lo sguardo, lo vide correre verso il lungomare dandosela a gambe levate. Arretrò di qualche passo, sotto l’eco delle risate ed i commenti del presentatore.
Il sindaco incespicò giù per i gradini del palco e cominciò a correre. Dapprima per allontanarsi, fuggire dalla gente, ma dopo qualche secondo si rese conto che l’unica cosa che voleva era fargliela pagare. Vide in lontananza il veggente, U ietta sentenza, il miglior consigliere del paese. Lo vide infilarsi fra gli scogli alla fine del lungomare. I compaesani, intanto, si erano riversati fuori dalla piazza per godersi la scena: un toro rosso che inseguiva la sua preda.
Quando il signor Logiudice raggiunse Martino lo trovò con le spalle al mare, senza via di fuga. Quest’ultimo impanicato aprì il libro e sfogliandolo velocemente iniziò a leggere ad alta voce, come si farebbe con un incantesimo: «Hai un intenso desiderio di farti accettare dalle persone!»
Sfogliò qualche altra pagina e riprese. «Talvolta dubiti seriamente di aver preso la decisione giusta o di aver fatto la cosa giusta.»
Il sindaco ormai a pochi passi da lui sbraitava ma Martino era così impegnato a sfogliare che non lo sentiva.
«La rabbia è nostra nemica, c’è potere nel perdonare.» Quando finì di parlare Martino alzò lo sguardo dal libro, l’ultima cosa che vide fu una furia rossa che reggeva una pistola puntata verso la sua testa.
Quella sera il signor Logiudice fu arrestato e portato al carcere nella città vicina. Omicidio di passione: le vittime erano il signor Martino Ietta Sentenza e la passione per il canto del signor Logiudice.
Passarono le settimane e la gente smise di parlare del sindaco e Martino, ma nel carcere c’era adesso un nuovo individuo che tutti chiamavano “U spara sentenza”. Andava in giro portando sempre con sé un vecchio libro grigio, sentenziando sul destino di guardie e carcerati. La sera si addormentava con il libro aperto sulla pancia, sulla prima pagina svettava il titolo:
“La scienza degli oroscopi!”
Ad accompagnare il racconto, Pizia, Gran Sacerdotessa del Tempio di Apollo di Heinrich Leutemann.