Categories

Voci.

Autore
Iago Menichetti
Ciclo #8 - Spaghetti Asylum
Narrativa
4 novembre 2021

In mezzo al nulla, in una notte profonda.
Un uomo se ne sta seduto con una pala in mano. Davanti a lui ci sono due fosse scavate da poco, da cui fuoriescono le voci di altrettanti prigionieri.
«Aiuto! Aiuto!»
Dalla fossa di sinistra arrivano grida di aiuto a cui l’uomo con la pala risponde scuotendo la testa.
«Non ti sentirà nessuno qui.»
La voce rotta dal panico allora si rivolge direttamente al suo carceriere.
«Ascolta, siamo sempre in tempo, non è successo ancora niente. Liberaci, lasciaci andare, e dimentichiamoci tutto questo. Possiamo anche restare insieme. Andiamoci a sbronzare! Andiamo a suonare al campanello del Berta in piena notte come facevamo sempre da ragazzi o a fischiare alle puttane per strada. Facciamo che è stato tutto un brutto sogno. Solo un brutto sogno. Uno scherzo del cazzo tra amici.»
L’uomo con la pala non risponde, resta con lo sguardo fisso a terra, quando si accorge del silenzio che aleggia sull’altra fossa.
«Tu non dici niente? Non invochi il mio perdono?»
Risponde una voce rassegnata.
«Non ho niente da farmi perdonare.»
«Il solito arrogante. Ti sbagli. Siete qui solamente per colpa vostra, io non ho fatto altro che concludere una cosa che avete iniziato voi. È stata un’amicizia fatta di bugie e tradimenti a seppellirvi.»
«Tu sei pazzo.»
L’uomo con la pala non riesce a trattenersi: scoppia in una risata che riempie il vuoto prima di spegnersi poco dopo.
«Sai lo pensavo anche io. Mi ripetevo che quello con dei problemi ero io, che era una roba tutta nella mia testa e che avrei dovuto smetterla di essere così diffidente anche con quelli che consideravo i miei migliori amici, ma in fondo una parte di me lo sapeva che non mi stavo sbagliando.»
Nella fossa di sinistra il prigioniero controbatte.
«Noi siamo i tuoi migliori amici. Lo siamo sempre stati, ci conosciamo da una vita. Ti prego liberaci, tutto questo non ha senso, è una follia.»
Quei singhiozzi non sembrano toccare l’uomo con la pala che prosegue il suo discorso come se non avesse sentito.
«È difficile per me fidarmi completamente degli altri. Ogni volta che giro l’angolo, mi metto a letto o rientro a casa, mi sembra quasi di sentirli: me li immaginavo ghignare alle mie spalle, deridere la mia pancia sporgente o la mia sudorazione costante. Davanti mi fanno sorrisi, mi abbracciano, ma cosa succede appena giro le spalle? Nessuno può dirlo con certezza. Nessuno può sapere cosa nasconde un sorriso o che una dichiarazione di affetto non sia solo l’ennesima bugia. È così che ho dato il mio primo bacio, sapete? Lei disse che mi trovava proprio carino, che era da tanto che avrebbe voluto chiedermi di uscire invece poco dopo venni a scoprire che lo stava facendo solo per fare ingelosire il suo ex. La sentii ridere in bagno, con le sue amiche, mentre raccontava loro di quest’imbecille che ci era rimasto sotto come un idiota.»
«Per questo ci vuoi uccidere, per una che ti ha preso per il culo quando avevi, quanto? Tredici anni? Oppure è per la tua sindrome da cazzo piccolo?»
La voce della fossa di destra non sembra disposta a reggere un monologo senza controbattere.
«Che fai ora, lo provochi? Sei impazzito?!»
Quella di sinistra replica esterrefatta.
«Se vuole uccidermi che lo faccia, ma non ho intenzione di stare anche a sentire le sue stronzate da paranoico.»
L’uomo con la pala sembra piuttosto divertito da quel battibecco. Da dove si trova non riesce a vedere in faccia i due uomini, ma la cosa non lo disturba. È abituato a sentire le voci nella sua testa, immaginare gli altri che si ritrovano di nascosto per deriderlo, elencare tutte le sue inadeguatezze e compatirlo per la sua condizione. In fondo l’amicizia di quei due non è mai stata altro che un atto di pietà: un qualcosa fatto per sentirsi persone più utili e migliori alle spalle di qualcun altro.
«Sapete, quando abbiamo formato la band, io non ero d’accordo. Non lo sono mai stato. Sapevo fin da subito che qualcosa non avrebbe funzionato, che quello tra me e voi non sarebbe mai potuto essere un rapporto paritario. Quelli belli e maledetti siete sempre stati voi due, io non avrei potuto essere altro che lo sfigato nel buio delle vostre spalle.
Però poi voi siete venuti da me, più e più volte, avete provato a convincermi. Sapevate cosa fare, avevate grandi progetti, tu avresti cantato e suonato la chitarra mentre tu saresti stato la seconda voce e il basso. Vi serviva solo un batterista. Sembravate così sinceri, onesti, quasi innocenti nel vostro entusiasmo.»
La voce di sinistra si difende ancora.
«Eravamo sinceri e infatti è andato tutto alla grande, la band va alla grande!»
«Davvero e allora perché avete deciso di sostituirmi?»
L’uomo con la pala solleva lo sguardo da terra.
«Non abbiamo nessuna intenzione di sostituirti. Quante volte te lo devo ripetere? È tutto nella tua testa, ti stai immaginando un complotto che non esiste! Ok, è vero, hai ragione, non andiamo alla grande. È un momento difficile ma è così per tutti: ci sono sempre meno posti per suonare, i gestori dei locali sono un branco di stronzi, lo ripeti sempre pure tu, fanno di tutto per non pagarti, mentre gli affitti di casa quelli sì che arrivano sempre puntualissimi. Ma non è colpa tua: tutte le band hanno il loro periodo di merda, pure i Beatles lo hanno avuto, cazzo! Ma ci rifaremo, torneremo in pista. Magari incidiamo un album nuovo o, non so, ci inventiamo qualcosa ma di sicuro lo faremo tutti e tre insieme. Siamo una squadra… Non abbiamo mai avuto intenzione di sostituirti. Avanti diglielo anche tu.»
Silenzio.
L’uomo con la pala riprende da dove aveva lasciato.
«Lo ammetto, all’inizio fu bello. Le prove, tutte quelle ore trascorse insieme in compagnia solo delle birre e dei discorsi sulla musica che volevamo fare o sul sound che volevamo ottenere. Passavamo tanto di quel tempo insieme che non me ne era rimasto altro per dubitare di voi. Deve essere per questo che le persone mettono su famiglia o vanno a vivere insieme: è più facile controllare qualcuno se ci passi le giornate insieme. Per lui, o per loro, diventa più difficile tradirti ma, quando ci riesce, il dolore è più grande: ti odi per esserti fidato così integralmente e stupidamente di qualcuno. Per esserti lasciato ferire così nel profondo.»
Di nuovo, la voce di sinistra tenta di sviare l’uomo dal suo flusso.
«Ascolta, ti ricordi quella sera al concerto in quel localaccio che sembrava un ritrovo per motociclisti… Route qualcosa, mi sembra. Te la ricordi, vero? C’era quella tipa che ti piaceva, quella con i capelli a caschetto castani e la mano di Fatima tatuata sulla schiena. Mi aveva puntato, te lo dissi che mi aveva puntato e te ne eri accorto pure tu. Tutti ce n’eravamo accorti. Ma cosa feci io? La tenni forse per me? No!, andai da lei, ci parlai un po’, le offrii due giri, qualche sorriso e poi la girai a te. Sì, proprio a te. Me la sarei potuta scopare anche in quello stesso bagno che puzzava di piscio e Tennent’s se avessi voluto, eppure quello che si è beccato un bel pompino nella macchina dietro al locale sei stato tu. Ti sembra il comportamento di uno che vuole solo sfruttarti o che ti sta prendendo per il culo? Siamo amici. Noi siamo amici. E adesso, ti prego, tiraci fuori di qui.»
L’uomo con la pala prova a imitare il timbro della voce a sinistra.
«“Scommetto cinquanta sacchi che gli faccio scopare la tipa.”»
L’altro resta interdetto.
«Cosa? Che vuol dire?!»
L’uomo con la pala risponde ripetendo lo stesso timbro.
«“Scommetto cinquanta sacchi che gli faccio scopare la tipa.” È quel che hai detto quella sera. Precisamente lo hai scommesso con lui. Non è stata amicizia, hai solo puntato sul brocco di turno per divertimento. Per passare la serata.»
«Questo… questo è falso. È tutto falso. Io non ho scommesso su di te… ti voglio bene. Io non ho… Tu non puoi avere sentito una cosa del genere. Ti stai inventando tutto.»
L’uomo si lascia andare in un grande sorriso.
«Stavo cercando di dire proprio questo prima. Da ragazzo pensavo che tutte le congetture che facevo sulle persone, tutte le cose brutte che sentivo da loro quando non c’ero, tutte le cattiverie e le prese in giro, fossero solo un prodotto della mia mente. Fantasie malate legate alla mia insicurezza e al mio senso di inadeguatezza, ma crescendo e scoprendo puntualmente che tutto quello che sospettavo finiva per riverlarsi vero, che tutte quelle malignità venivano dette o pensate davvero alle mie spalle, e non solo da voi ma da tutti, ho finalmente capito: le mie non sono fantasie, il mio è un dono! Posso sentire la cattiveria delle persone, posso sentire tutte le cose orribili e mostruose che nascondono dietro una faccia sorridente, buone maniere e cordialità. Posso sentire tutte le loro malignità come fossero infinite voci di un teatro dell’odio.
È il mio dono, il mio superpotere, chiamatelo come volete, fatto sta che posso farlo. Per questo, anche se non ero lì quando hai pronunciato quelle parole, quando hai scommesso su di me, le ho potute sentire ugualmente.»
La voce di sinistra inizia a balbettare.
«No… non è vero. Io non ho mai detto quelle cose. Non ho mai, mai, mai, scommesso su di te. Tu stai male, sei andato fuori di testa, hai bisogno di aiuto… »
«Sono stato io a proporre di sostituirti.»
La voce di destra torna a farsi sentire, interrompendo il discorso dell’amico.
«Che cazzo fai, stai zitto, non dire altro…»
A sinistra l’altro prova a spezzare sul nascere la confessione, ma la voce a destra procede con parole ferme, sicure.
«Non sei male alla batteria. Anzi, a dirla tutta sei piuttosto bravo, hai talento. Peccato tu sia anche un’enorme testa cazzo, oltre che il tuo primo sabotatore.
Sai perché nessuno ci chiamava più a suonare? Per colpa tua. Non ti fidi mai di nessuno, per te ci vogliono sempre tutti fregare: ogni proposta la giudichi una truffa e inizi a discutere con tutti appena metti piede in un locale, farneticando di mancanze di rispetto o scorrettezze nei tuoi confronti. Ci siamo fatti una brutta nomea e adesso nessuno ci vuole più intorno, perché ci considerano dei piantagrane. Avrei potuto parlartene prima, certo, peccato sia impossibile affrontare un discorso con te visto che appena ci si prova inizi a recitare il tuo copione da povera vittima, incompreso o paranoico del cazzo.
Il tuo problema è che vivi nell’invidia e tutto quello che fai lo anneghi nel rancore per gli altri. Non è un discorso di fica, di successo o di aspetto fisico, non è davvero il cosa che conta. Tu pensi di essere destinato al fallimento e per questo invidi chi riesce, a prescindere. Spargi intorno l’odio che reprimi dentro, credendo che nessuno possa sentirlo e invece è facile per chiunque avvertirne il fetore. Tu puzzi, amico mio, e non è il sudore ma l’invidia che ti porti addosso.
Personalmente cominciavo ad averne abbastanza di te e quindi ho proposto di sostituirti con un nuovo batterista, nella speranza di tenere viva questa stronzata della band.
Una stronzata che mi pagava da vivere.
Sai, dopotutto non sbagli: la tua paura, la tua più grande paura, quella che tutti ti parlino alle spalle e ce l’abbiano con te, è vera. È così. È esattamente così.
Lo fanno perché tu come uomo sei una nullità. Solo una nullità. Niente altro.»

L’uomo con la pala aspetta che dalla fossa di destra la voce concluda il discorso.
Lascia passare qualche secondo, forse riflettendo sulle parole appena ascoltate o forse solo per assicurarsi che nessuno avesse altro da aggiungere, poi si alza, stringe la pala con due mani e la affonda nella terra morbida, cominciando a ricoprire le due fosse.
È un processo lungo, che richiede il suo tempo. Le fosse sono profonde e l’uomo intende fare un buon lavoro.
Mentre le spala terra addosso sente la voce di sinistra urlare, piangere, dimenarsi, chiedere pietà, mentre da destra non arriva più nessun altro fiato.

Quando ha finito, l’uomo pareggia il terreno con il dorso della pala così da renderlo più liscio, quindi si decide ad abbandonare quel luogo e tornarsene da dove era venuto ma, dopo pochi passi, qualcosa gli arriva all’orecchio: come una voce.
«Sono stato io a proporre di sostituirti.»
L’uomo si gira di scatto. Controlla sconvolto ma le fosse sono al loro posto, coperte come le aveva lasciate. Non può essere la sua voce.
«Il tuo problema è che vivi nell’invidia e tutto quello che fai lo anneghi nel rancore per gli altri.»
Il cuore comincia a battergli sempre più forte. Suda, nonostante il freddo della notte non riesce a smettere di sudare. Si annusa le ascelle, poi passa al resto dei vestiti. Puzza. È un odore acido, penetrante, che lo disgusta.
«Lo fanno perché tu come uomo sei una nullità.»
L’uomo salta sulle due fosse, comincia a batterci sopra la pala sempre più forte, sempre più forte.
«State zitti!» Urla.
La pala colpisce a terra e torna su, colpisce a terra e torna su, colpisce a terra e torna su.
«State zitti! State zitti! STATE ZITTI!»
All’ennesimo colpo la pala si spezza in due, proprio nel mezzo. L’uomo cade in ginocchio.
Ha il respiro pesante, il volto pallido come la luna.
«Solo una nullità. Niente altro.»
L’uomo si sdraia a terra, in posizione fetale. Chiude gli occhi e con i palmi delle mani si tappa le orecchie. Inizia a piangere.

«Volevo solo che stessero zitti.»


Illustrazione Who shall we be today? di Ian Crawley.