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Farfalle, formiche e code di maiale

“Il venerdì, prima ancora che si alzasse qualcuno, tornò a sorvegliare l’aspetto della natura, finché non ebbe il minimo dubbio che continuava a essere lunedì”.
(Gabriel García Márquez – Cent’anni di solitudine)

Realismo magico. Cos’è? Rispondere a questa domanda pare essere una sfida degna degli enigmi matematici irrisolti o della comprensione dei segreti di Fatima. Qualcuno direbbe che è tutto e niente, l’alfa e l’omega, con tutta una pletora di tentativi falliti nel mezzo, tentativi che sfiorano il surrealismo, la magia canonica (quella del Mago Silvan, per intenderci), l’illusionismo, il fantastico, il fantasy tolkieniano, le scienze occulte, il weird, la metafisica.
Eppure il realismo magico, nonostante i suoi fumosi connotati, ha delle regole tutte sue, e se non possiamo fornire una definizione esaustiva, quantomeno possiamo capire come si costruisce un racconto di questo genere.
Inutile dirlo ma indispensabile ribadirlo, il massimo esponente del realismo magico è Gabriel García Márquez con il suo capolavoro Cent’anni di solitudine. A braccetto, Borges con L’Aleph e Finzioni, il nostro Dino Buzzati con Sessanta racconti, Haruki Murakami con L’uccello che girava le viti del mondo (e che dà il nome alla nostra call), Isabelle Allende, Anna Maria Ortese, Alice Hoffman. Questo piccolo elenco per scrostare l’etichetta del realismo magico dalla sola letteratura sudamericana: pare che in Brasile, Cile, Argentina, Colombia, Messico non si faccia altro, secondo i critici.
Chiariamo anzitutto una questione: se si sceglie di cimentarsi nel realismo magico – e non nel fantasy puro o nel weird – bisogna ricordare che l’aggancio sta nella parola “realismo”: l’efficacia di un elemento estraneo al mondo del quotidiano e del concreto è massima se tutta la narrazione sembra fondata su ciò che possiamo vedere e toccare ma all’improvviso spunta fuori il “magico”.

Facciamo un esempio per sottrazione: nel racconto Le metamorfosi di Kafka, Gregor Samsa, un modesto commesso viaggiatore, a un certo punto si sveglia e si rende conto di essersi trasformato in uno scarafaggio. Eliminiamo questo plot twist: Samsa diventa semplicemente un uomo fallito, vessato, perdente, in una società piccolo-borghese che non lo ama, così come la sua famiglia. Il fatto che invece l’autore lo trasformi in un insetto – cosa impossibile nei fatti – eleva alla massima potenza il modo in cui si sente il protagonista: un insetto, appunto, di nome e di sentimenti. L’elemento magico sottolinea la ripugnanza della gente, il sollievo dopo la sua morte, la vergogna di un’esistenza che, senza questo particolare importantissimo, sarebbe apparsa tutto sommato comune, qualcosa con cui empatizzare. La trasformazione in scarafaggio, per genetica, porta il suo disagio esistenziale su un altro piano di dolore.
Un altro esempio: ne Il tarlo di Layla Martínez (vi invito a recuperare il romanzo breve, edito da La Nuova Frontiera) la casa in cui vivono nonna e nipote si muove, si ribella, parla, sputa fuori cose. La casa è un animale vivo che respira e custodisce vita e morte. Se l’autrice avesse scelto di raccontare semplicemente le vicende delle due donne tutta la narrazione avrebbe perso quell’inquietudine gotica propria di un luogo che sembra un alleato, ma che in realtà è nostro nemico perché custodisce gelosamente i suoi fantasmi.
Il magico supporta il reale, lo rende vantaggioso, produttivo (in termini narrativi).
Dunque, se volete scrivere un racconto di questo tipo, alcune indicazioni necessarie:

  • pare banale, ma vi devono necessariamente essere uno o più elementi sovrumani, magici, surreali, ultraterreni, paranormali (chiamateli come volete)
  • i vostri personaggi accettano il sovrannaturale invece di metterlo in discussione
  • ben accette le distorsioni temporali (si vedano i personaggi secolari di Marquez)
  • rompete i confini tra fantasia e realtà
  • fotografate il reale ma inseritevi la contraddizione, lo smarrimento, il turbamento, il capovolgimento dell’ordine naturale delle cose, la rottura delle leggi fisiche
  • inserite un elemento prestato dalla flora o dalla fauna (si vedano le piogge di fiori gialli, sempre di Marquez, lo scarafaggio di Kafka, la cagna-licantropo di Albina di Jodorowsky)
  • non dimenticate l’aggancio col reale, con la vita di tutti i giorni (non state scrivendo Il trono di spade)

In via generale, e questo è un consiglio sempre valido, leggere molto aiuta a chiarirsi le idee. Ci sono innumerevoli testi che aderiscono al genere, lunghi e corti, alcuni citati anche in questo editoriale. Divertitevi, sfrenate la fantasia, parlate del mondo come vi piacerebbe vederlo se non fosse ancorato alle regole della natura. Studiate Marquez, Borges, Ortese, Esquivel. Provate, sbagliate, riprovate. Il bello del realismo magico è anche questo: tentare di volare alla cieca su un burrone e riuscirci, contro ogni previsione.

Editoriale di Deborah D’Addetta


A illustrare: Rafal Olbinski, Odysseus returns.