Dopo il lupo
Il Borgomastro si accomodò sulla poltrona, che la padrona di casa aveva avvicinato al tavolo per lui. Il rivestimento era logoro e coperto di chiazze.
«Mia madre non si era più ripresa da allora», disse la donna. «Era come un tronco d’albero. Fissava il vuoto, parlava sempre meno, da ultimo dovevamo imboccarla».
«Mi spiace molto, Frau Kerstin».Il Borgomastro intuì che la poltrona era la stessa su cui era morta la vecchia due settimane prima. Si staccò dallo schienale e tolse i gomiti dai braccioli.
«Fu terribile per tutta la comunità, quella vicenda. È inimmaginabile quello che passò vostra madre. E poi», si voltò a guardare la giovane Rot, che se ne stava vicina al fuoco a studiare le ombre, avvolgendo i capelli biondi attorno al dito e scribacchiando su un vecchio libro, «anche la ragazzina. Mein Gott, terribile, terribile».
«La mia bambina l’ho persa quando è entrata in quel bosco. Non è più in sé», disse la madre con voce strozzata. «E ora la morte di sua nonna. Non so proprio come ne uscirà». Frau Kerstin portava ancora un fazzoletto nero al collo in segno di lutto, ma da un paio di giorni era tornata al suo abito verde scuro, liso e dignitoso come lei. Due rughe, due sole ma pesanti, le solcavano le guance partendo dal naso e scendendo alla bocca, minuta e rossa come quella della figlia.
«Non intristire il Borgomastro, donna», la rimbrottò il marito dall’uscio di casa. Aveva ancora la casacca e lo schioppo a tracolla. Rot alzò lo sguardo su di lui, si alzò e fece una lieve riverenza senza dire una parola, quindi tornò seduta a fissare le fiamme del caminetto. Il sole passò dietro gli alberi del bosco e la casa entrò nell’ombra della sera.
«Herr Kaspar», il Borgomastro andò incontro al padrone di casa. «Perdonatemi se mi sono fatto introdurre in vostra assenza». Gli tese la mano, che l’uomo strinse con esitazione.
«Siete sempre il benvenuto, Herr Borgomastro», disse Kaspar il cacciatore, sfilandosi il fucile dalla spalla e poggiandolo sul tavolo. Si avvicinò alla propria sedia e la moglie scattò verso l’acquaio, dove spillò un paio di birre da una botticella. Tornò con due boccali colmi.
«Grazie Frau Kerstin», disse il Borgomastro. «Mi duole disturbarvi in un momento già carico di dolore».
«La vecchia è morta da giorni. È ora di finirla con il lutto», disse Kaspar scolando mezzo boccale e pulendosi i baffi scuri con la manica. «Le donne sono così. Per una settimana è parso di stare in un cimitero». Spinse il boccale verso la moglie e Kerstin si alzò e lo riempì, quindi lo portò di nuovo in tavola. «Almeno la ragazzina non si è vestita di nero. Non si separa mai da quella maledetta mantella».
Da dietro il suo boccale, il Borgomastro, un uomo rubizzo e dagli occhi piccoli e chiari, sollevò le sopracciglia bianche. Quindi posò la tazza e sospirò.
«Herr Kaspar, sono qui per un motivo», disse, mentre con le dita correva lungo le venature del tavolo. «Potremmo parlarne in riservatezza?».
Kaspar lo fissò in silenzio per qualche istante, che al Borgomastro parve infinito. Quindi fulminò la moglie e lei si alzò da tavola, raggiungendo la figlia di fronte al caminetto.
«Forse lo saprete già». La voce del vecchio notabile si fece più bassa. «Ci sono stati avvistamenti inconsueti».
Il cacciatore tacque ancora una volta, come se quelle parole faticassero a farsi strada nella sua corteccia. Poi bevve di nuovo e quando tirò giù il boccale i baffi erano intrisi di schiuma. Non perse tempo a pulirli, stavolta.
«Avvistamenti?», disse. La voce era sospettosa. Fuori, le tenebre avevano inghiottito la campagna. Il Borgomastro vide le nuvole illuminarsi di lampi silenziosi.
«Herr Becker. Herr Müller. Herr Schmidt, il figlio, non il padre. Tutti e tre lo hanno visto, tra gli alberi».
«Visto cosa?», chiese il cacciatore, spostando con l’avambraccio il boccale.
Il Borgomastro gettò un’occhiata fugace al caminetto e alle due donne, e si sporse un poco avanti, urtando il tavolo con la pancia.
«Un lupo».
«Un lupo?», rispose il cacciatore. I suoi occhi fissavano il vuoto. «Un lupo», ripeté. «Ce ne sono a bizzeffe».
«Lo so», rispose il Borgomastro, annuendo. «E so quello che la sua figliastra e la nonna hanno passato. Mi è sembrato giusto venire da voi, e riferirvi. Sono tutti uomini di comprovata onestà quelli che…».
«Onestà», ripeté inebetito il cacciatore, i gomiti poggiati sul tavolo. Poi strizzò gli occhi guardando fisso il Borgomastro. «Metà degli abitanti di questo letamaio venderebbe la madre per avere una stronzata di cui parlare. E l’altra metà venderebbe il culo». Tracannò l’ultimo sorso di birra e si gettò contro lo schienale della sedia.
Il Borgomastro inspirò. Poi si sporse ancora di più verso di lui.
«Un lupo molto grosso».
Il cacciatore si staccò dallo schienale e venne a sua volta in avanti. I due si fronteggiavano.
«Quanto grosso?».
Il Borgomastro giunse la mani e annuì. «Grosso, pare, come quello».
«Stronzate», sbottò il cacciatore. Si alzò di scatto, e la sedia quasi cadde. Andò a spillarsi da solo la birra. Le donne sollevarono lo sguardo. Kerstin prese la mano della figlia, che la ritirò lentamente, tornando ad arricciarsi i capelli. La mantella rossa da cui non si separava mai le stava scomposta sulle spalle.
«Nessuno di loro lo ha mai visto, quello», urlò Kaspar il cacciatore, agitando la brocca davanti a sé e sversando fiotti di birra ovunque. «Lo tengo giù in cantina, lo sa? Lo sa?».
«L’ho sentito dire», sospirò il Borgomastro. Era chiaro ormai che quella visita, pur doverosa, era stata inutile. Be’, pensò, io ho fatto il mio.
«C’è tutto, pelliccia e zanne. Come appena scuoiato. Chieda a loro», sbraitò, e indicò le donne. «Nessun altro lo ha mai visto. Quindi che non vadano in giro a dire stronzate. Non c’è mai stato e non ci sarà mai un lupo come quello».
Il Borgomastro allargò le mani davanti a sé. «Questo è quanto si dice in giro. E al limitare del bosco, gli Schneider hanno trovato le loro capre senza testa. Staccata di netto».
«Una maledetta volpe», disse Kaspar. «O un lupo qualunque. Ma non un lupo come quello».
«Va bene, Herr Kaspar» concluse il Borgomastro alzandosi in piedi e spostando la poltrona con il sedere. «Ho ritenuto di dirvelo, dati i vostri trascorsi e visto che vivete piuttosto… Isolati, diciamo. Da Borgomastro, raccomando prudenza». Sorrise e si avviò verso la porta, felice di andarsene.
«Sì, certo», disse il cacciatore senza guardarlo.
«Vogliate gradire i miei saluti». Il Borgomastro fece un lieve inchino quando fu sulla porta. Poi rivolse un cenno alle due donne. La madre, che con la coda dell’occhio aveva seguito la scena, si alzò in piedi e chinò la testa. La figlia fece altrettanto, ma più lenta. «Addio, Frau Kerstin, Fraulein Rot. Di nuovo, le mie condoglianze», e fece due passi indietro, finché non fu uscito. Sparì nel buio del vialetto, mentre un tuono rotolava in cielo.
«Stronzate», bofonchiò Kaspar gettando il boccale nell’acquaio. Poi guardò moglie e figliastra. «Che fate ancora qui?». Kerstin si alzò in silenzio e con le mani adagiate sulle spalle della figlia le sussurrò di alzarsi. La ragazzina posò il libro vicino al fuoco, senza guardare nessuno, e si alzò in piedi. Uscendo dalla stanza si aggiustò la mantella e coprì la testa con il cappuccio.
Il Borgomastro ammise a se stesso che non avrebbe dovuto restar fuori fino a quell’ora. La casa di Frau Kerstin, ormai casa anche di Kaspar il cacciatore, distava poche decine di minuti dal villaggio, ma la strada da percorrere era buia e deserta. Neppure la luna a illuminare il viottolo, appena qualche lampo minaccioso. «Non pioverà», disse tra sé. «È tutto un pretesto per far baccano in cielo». Il suono della sua voce in parte lo consolò, in parte lo inorridì, solo com’era nella campagna. Per distrarsi e non pensare al lupo (ci pensò più d’una volta) tornò con la mente alla scenetta familiare cui aveva appena assistito, per darne un giudizio impietoso. Quella povera donna così sciupata, quella ragazza così acerba, graziosa e sprecata, prigioniere in casa, in casa loro. Pensò a quanto avrebbero potuto ottenere di meglio dalla vita. Tutto era cambiato dopo il lupo. Si chiese perché la donna avesse deciso di sposare un uomo così bieco e incivile, e certamente violento. Poteva la riconoscenza portare a tanto? Di sicuro l’una e l’altra avrebbero trovato miglior conforto nella comoda dimora del Borgomastro, tra cuscini e letti caldi.
Rise tra sé, pensando alla ragazzina e ai suoi capelli biondi. «Un vero peccato», disse a voce alta, scrollando le spalle. «Una grazia di cui si poteva fare ben altro mercato». Rise tra sé, e il borbottio della sua risata echeggiò nella landa, facendolo rabbrividire.
Era oltre l’una di notte, perché lontano, nel villaggio, il campanile aveva battuto l’ultimo rintocco da un po’. Rot scese le scale di legno della sua casupola con la solita accortezza. Il segreto era strofinare il piede contro gli scalini quando lo poggiava. Così scivolava silenziosa, mentre al piano di sopra sua madre dormiva sonni inquieti e dabbasso il patrigno russava, crollato sulla poltrona davanti al fuoco spento. Rimase per pochi istanti a guardare dalla finestra i lampi che scaricavano la loro forza, senza che le nuvole, gonfie contro il cielo e contornate dalla luna che nascondevano a stento, rilasciassero una sola goccia d’acqua. Guardò il bosco al di là del cortile e le sembrò più vicino che mai, quella sera. Come se, nottetempo, gli alberi si fossero avvicinati, guardinghi.
Scese in cantina, ne aprì il portone e i cardini arrugginiti opposero la solita resistenza. Sul ripiano vicino alla porta c’era la lampada a olio e c’erano i fiammiferi, Rot trovò tutto senza bisogno di vedere. La accese. Il lupo la guardò dal soffitto, dove stava legato per le zampe, il ventre scuoiato e scuro, gli occhi fissi, le zanne esposte nella bocca spalancata. Il cacciatore aveva legato ciascuna zampa a un angolo del soffitto, così che la bestia dominasse l’intera stanza, quasi volesse portarla nel suo enorme stomaco aperto. Sotto, c’erano la credenza, botti di birra, bottiglie di liquori, conserve, casse di patate. Ogni volta che serviva qualcosa, lei o la madre, più spesso lei, dovevano scendere proprio lì, sotto gli occhi e la pancia spalancata del lupo.
Rot posò la lampada. Si tolse la mantella e l’appese lì accanto. Prese uno sgabello, ci salì, e le sue mani si mossero agili nella penombra della cantina, slegando una alla volta le zampe del lupo. L’enorme pelliccia le cadde addosso. Da sotto, la ragazza si aggiustò la carcassa sulle spalle, infilandosi nelle viscere della bestia. Estrasse dalla tasca della mantella un grosso ago e un rotolo di filo, e un pezzo dopo l’altro si cucì addosso il lupo, chiudendosi dentro di lui.
Si mosse piano, stiracchiandosi e allungando prima un braccio e poi l’altro, e la vecchia carcassa sembrò tornare in vita. Abbassò le palpebre, Rot. Rimase così, nella penombra, per molto tempo, respirando sempre più veloce, sentendo brividi familiari correrle in tutto il corpo, entrarle dentro, in profondità, e poi di nuovo fuori, arricciarle la pelle. Aprì gli occhi. Salì le scale, tornò al piano terra e si fermò per qualche istante a osservare il patrigno che dormiva con la testa crollata sulla spalliera della poltrona. Uscì fuori, e odorò l’aria umida, gravida di possibilità. L’ultimo lampo della notte la illuminò mentre si gettava a quattro zampe nel bosco. Poi cominciò a piovere.
A illustrare: Jessie Calderon “Bleak“.