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La giustizia selvaggia della Vendetta

Quella stessa notte, Fantozzi firmò due cambiali giganti e si pagò la specialità più costosa della casa: Spaghetti alla Montecristo!
Fantozzi (1975).

Rimuginare, esercitare ed esaurire una vendetta è un po’ come cucinare un piatto di spaghetti: ognuno lo fa a modo suo. Ne è testimonianza la sconfinata produzione artistica, letteraria e poetica dedicata a questo tema, come non citare infatti Misery di Stephen King o Il Conte di Montecristo di Dumas padre? Romanzo quest’ultimo che ha ispirato il lancio della nostra ultima call. Anche nella storia dell’arte, la violenza, il risentimento e l’odio sono sicuramente terreni fertili su cui costruire corpi e movimenti plastici, dinamici, non disdegnando soggetti religiosi, soprattutto biblici: non è forse Giuditta che decapita Oloferne nella sua tenda in qualità di Azrael al femminile, un angelo della morte mandato da Dio per punizione? Storia molto simile sarà quella di Giaele e Sisara o di Salomè.
E staremmo qui anni volendo elencare tutti i film che hanno scelto la vendetta quale matrice da cui partire per la propria trama, Kill Bill uno su tutti, Old boy, un classico che fa parte della Trilogia della Vendetta, Mystic River e l’indimenticabile Il corvo.
Le declinazioni possibili sono infinite: il fatto che si parli di vendetta però non dovrebbe far pensare automaticamente alla violenza, anche se, per natura intrinseca, essa la richiama; piuttosto è interessante domandarsi quale sfumatura poco prevedibile potrebbe nascondere, in quale modo si possa scrivere e raccontare una storia che abbia come fondamento la vendetta senza cadere nel cliché.
C’è chi la disdegna: “La vendetta più crudele è il disprezzo di ogni vendetta possibile” (Goethe), c’è chi ne fa una scusa per elevarsi e riscattarsi con un tocco di stile “La miglior vendetta è un imponente successo” (Frank Sinatra), e chi non trova pace finché quel risentimento non viene acquietato “Bene, vai per la tua strada, ma non ti allontanerai da questo bosco, finché non ti avrò torturato per questa offesa” (Shakespeare).
Qualcuno invece si fida, poi viene fregato e si incazza. E sempre, in questo genere di storie, quel qualcuno era proprio quella persona che non si dovrebbe mai fare arrabbiare.
Qual è allora il miglior modo per vendicarsi di qualcuno o di qualcosa? Reagire? Ignorare? Meditare una vendetta, tremenda vendetta, come cantava Rigoletto (e Gilda, poverina, cercava di calmarlo)? Probabilmente l’ago della bilancia cade sull’indole personale o sull’entità dell’offesa (reale o immaginaria) subita. E anche gli strumenti per esercitarla sono molteplici: il sesso, il disprezzo, la morte, l’indifferenza, l’ossessione, il denaro, l’ironia fantozziana. Si potrebbe parlare di vendetta tanto quanto si potrebbe parlare della vita stessa, ché essa esiste dall’alba dei tempi: non è forse Dio che caccia via Adamo ed Eva dal paradiso terrestre per la loro disobbedienza? È una vendetta anche quella, il perdono si è fatto da parte e noi tutti siamo qui a parlarne.
Questi ultimi due anni poi, sono stati l’apoteosi della violenza e di una redenzione a metà: il 2022 è stato infatti l’anno in cui ci siamo stancati di tutto, della pandemia, delle quarantene, della guerra, della vita in stand-by in attesa di…
La pazienza era finita allora, anche tra i più rassegnati.
Così una volta tornati liberi – ma liberi da cosa? – abbiamo realizzato che il tempo perduto non ci sarebbe mai stato ridato, ché non esiste una macchina del tempo e soprattutto non è mai esistito un piano per noi persone qualunque per riappropriarsi del maltolto.
È proprio da questa rabbia e da questa presa di coscienza che cominciano le storie di Vendetta. Gli Spaghetti Montecristo sono il piatto da abbinarvi, sono il sostentamento di chi sta elucubrando per rivalersi sui suoi nemici. A ogni boccone la mente passa in rassegna nuovi, golosissimi modi per punire i torti subiti. Perché se la vendetta è un piatto che si serve freddo, gli Spaghetti Montecristo vanno mangiati subito e a lungo invece, tutto il tempo che serve per elaborare un osceno piano di malvagità.

Deborah D’Addetta e Giulio Lepri

Ad accompagnare l’editoriale, Giuditta che decapita Oloferne (1612-13) di Artemisia Gentileschi, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli.